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Provato dal Covid-19 e dalle sanzioni, i segnali di debolezza del regime iraniano

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Da Teheran arriva una notizia che fa quasi sorridere: il Parlamento iraniano pare aver approvato una risoluzione in cui chiede al Ministero degli esteri di istituire, entro sei mesi, un’ambasciata virtuale a Gerusalemme; ribadisce che tutto Israele è illegittimo; obbliga l’Iran a riconoscere Gerusalemme come sola capitale della Palestina; invita il Ministero degli esteri ad impegnarsi per preparare un referendum “in Palestina”; punisce qualunque cooperazione con Israele; vieta il transito di merci israeliane sul territorio iraniano e l’uso di tecnologie e software prodotti in Israele. Inoltre, viene punito con 5 anni di carcere e confisca del passaporto qualunque iraniano si rechi in Israele.

Quanto stabilito dalla risoluzione parlamentare iraniana contro Israele è già un dato di fatto: è noto non solo che l’Iran non riconosce Israele, ma che ne predica la distruzione (chiamandolo “tumore”), che finanzia il peggior terrorismo antisionista e antisemita, e che tutti gli iraniani che intrattengono rapporti con Israele rischiano la condanna a morte, oppure di dover fuggire dal loro Paese…

E allora che senso ha questa risoluzione? Perché proprio ora? È una risoluzione indicativa, ancora una volta, della attuale debolezza del regime iraniano. In un momento drammatico – colpita duramente dalle sanzioni americane, dal calo della vendita del greggio e dal coronavirus – Teheran sente ancora il bisogno di gridare contro il “nemico sionista”, per provare a tenere insieme un Paese dove il tasso di disoccupazione ormai non è quasi più calcolabile e dove il regime fondamentalista fatica a trovare una ragione valida che legittimi ancora oggi l’esistenza della Repubblica Islamica. Non solo: la risoluzione non contiene – per volere dello stesso ministro dello sport iraniano – neanche un articolo che esplicitamente vieti agli atleti iraniani di gareggiare contro quelli israeliani. Segno evidente che, al di là delle parole, il regime teme di venire definitivamente escluso dalle competizioni sportive internazionali. 

Se la mozione del Parlamento iraniano è meramente simbolica e segno della debolezza del regime, ciò non significa che a risentire di questa debolezza sia anche la frangia più estremista della popolazione iraniana: è di queste ore la notizia che le tombe della Regina Ester e di suo zio Mordechai – ricordati nella festa ebraica del Purim – sono state date alle fiamme. Un vile atto antisemita, che ben dimostra quanto la sorte della comunità ebraica iraniana sia sempre appesa ad un filo. Un filo che si irrigidisce drammaticamente, non appena il regime islamista si trova in difficoltà e necessita di distogliere l’attenzione interna dai propri fallimenti verso i soliti nemici esterni.

A proposito di nemici esterni, in questo periodo di estrema debolezza, il regime iraniano continua ovviamente anche a minacciare gli Stati Uniti: Khamenei si dice sicuro che gli Usa verranno espulsi dalla Siria e dall’Iraq, con il piccolo particolare che – almeno per ora – i soli a dover parzialmente indietreggiare a Damasco e Baghdad, sono proprio i jihadisti sciiti pagati dalla Repubblica Islamica. Nasrallah, per conto suo, in un discorso tv è costretto a parlare del ritiro dei miliziani di Hezbollah dalla Siria, giustificandolo come frutto del successo ottenuto sul campo… mentre i giornali discutono della crisi in atto tra Russia e Iran sul mantenimento al potere di Bashar al Assad, ormai incapace di gestire la diffusione del coronavirus e della corruzione nel Paese arabo. Infine, Teheran avverte gli Stati Uniti di non provare a toccare le petroliere iraniane che portano il greggio in Venezuela, praticamente il solo Paese rimasto a comprare da Teheran. Ennesima minaccia vuota, dato che se Washington decidesse di bloccare quelle petroliere, ci sarebbe ben poco che i Pasdaran potrebbero fare… sempre che non vogliano vedere le loro barche veloci affondare nello Stretto di Hormuz.

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