Pur con tutti gli errori e debolezze, non c’è alternativa all’atlantismo e alla leadership Usa

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Joe Biden sta dimostrando, ogni giorno di più, di essere un pessimo presidente. L’entusiasmo con cui lo schieramento progressista aveva accolto la sua elezione, e l’uscita di scena di Donald Trump, è finito da un pezzo, anche se la sinistra si attarda ancora a celebrare il cambio della guardia alla Casa Bianca.

Si sapeva già che l’attuale presidente è un gaffeur seriale, come testimonia senza ombra di dubbio la sua lunga carriera politica. Eppure molti si ostinavano a sperare che la grande esperienza accumulata, soprattutto nel campo della politica estera, gli avrebbe consentito di gestire con equilibrio la politica internazionale degli Stati Uniti.

I pessimisti, invece, avevano ragioni da vendere. Non si era mai visto un presidente Usa smentito e “corretto” da membri del suo staff, e in primis dal segretario di Stato Antony Blinken. Finora i disaccordi – che esistono da sempre – venivano trattati sul piano interno, con l’ovvio intento di non offrire all’opinione pubblica un’immagine debole dell’America. Immagine debole che la potenza leader dell’Occidente non può permettersi di fronte ai tanti nemici della “società aperta”.

Non è bastato il disastroso e affrettato ritiro dall’Afghanistan. Ora l’invasione russa dell’Ucraina, e l’ondivaga reazione americana, ha consentito alle autocrazie di rimarcare la debolezza occidentale e la necessità di giungere a un nuovo ordine mondiale non più basato sull’egemonia Usa.

E il discorso non vale soltanto per le autocrazie tradizionali come Russia e Cina. Si estende infatti anche a un Paese chiave come l’India, che si autodefinisce “la più grande democrazia del mondo”. New Delhi, già vicina ai russi (in funzione anticinese) non ha condannato la “operazione speciale” di Putin, ritrovandosi così vicina ai tradizionali nemici cinesi.

Per non parlare dei tanti Stati africani, asiatici e dell’America Latina che sulla vicenda ucraina hanno assunto posizioni sostanzialmente filorusse. Il motivo è evidente, e va ricercato nell’odio per la democrazia liberale e nella ricerca di una vendetta postuma contro il vecchio colonialismo.

La situazione per l’Occidente, dunque, si fa drammatica. Gli Stati Uniti non hanno soltanto uno dei presidenti più deboli della storia americana, ma sono pure colpiti da una grave crisi interna con i due maggiori partiti in difficoltà. L’Unione europea, dal canto suo, nonostante gli entusiasmi per una sua (presunta) rinnovata unità, si trova ancora una volta in una posizione di grande debolezza, con i vari attori nazionali che cercano, ognuno, di giocare un ruolo primario nella crisi attuale.

Ciò che occorre chiedersi con forza è se, per l’Occidente, esistano alternative plausibili all’atlantismo. Ebbene, nonostante Biden, la risposta è un netto “no”. Nessuna nazione europea possiede la potenza economica, militare e diplomatica degli Stati Uniti. Anche se hanno attualmente un presidente incerto e ondivago, nessuno si può sostituire ad essi in una posizione di leadership. Neppure Emmanuel Macron e Boris Johnson, con tutto il loro attivismo.

Il centro resta sempre a Washington, e dovrebbe essere evidente per tutti che un’Alleanza Atlantica senza la guida americana è destinata all’impotenza. Certo, vengono i brividi pensando che l’eventuale sostituto di Biden sarebbe Kamala Harris. Lei pure salutata con grandi squilli di tromba dallo schieramento progressista, e protagonista di clamorose figuracce ogni volta che Biden l’ha spedita in giro per il mondo.

Eppure, nonostante tutto, l’unico orizzonte possibile per gli occidentali è proprio quello atlantico, sperando che possa recuperare in tempi brevi l’antica assertività e capacità di deterrenza, soprattutto militare. Anche se la situazione attuale spinge al pessimismo, non deve mancare la volontà di recuperare la forza parzialmente perduta.

Magari sfruttando le debolezze degli avversari. Per esempio, le inattese carenze militari della Federazione Russa, che stanno mandando all’aria i frettolosi piani di conquista di Vladimir Putin. Oppure il timore cinese di non riuscire più a mantenere i precedenti livelli di crescita, a causa delle tensioni che danneggiano i rapporti della Repubblica Popolare con gli indispensabili mercati occidentali.

È ovvio, tuttavia, che a questo fine non giovano gli eventi puramente mediatici, come il fallito “Forum sulla democrazia” organizzato da Biden. Serve piuttosto un ripensamento globale del ruolo della Nato e una condivisione delle responsabilità da parte degli europei. Senza però mettere in dubbio la leadership americana, giacché questo altro non farebbe che rafforzare le ambizioni di dominio delle autocrazie.

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