PoliticaQuotidiano

Pur di non fare i conti con la realtà, il Pd si butta sulle formule: la disperata ricerca di una seconda gamba

Politica / Quotidiano

A seguire tutta la meditazione post-elettorale della intellighenzia di sinistra, partitica ed extra-partitica, mi è tornata in mente all’improvviso una pellicola del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, che, se non ricordo male, si intitolava “Tre uomini e una gamba”. Mi sono chiesto che mai c’entrasse, per trovarmi da solo la risposta, costituita dall’esservi protagonista una gamba artificiale, cioè qualcosa di molto simile a quella che viene proposta e riproposta, una volta scartata anche ufficiosamente quella costituita al naturale dai 5Stelle. Non è che la tentazione di una alleanza sia sparita, ma certo ha perduto di credibilità anche agli occhi di chi se ne faceva apertamente paladino, non fosse altro perché la disamina del flusso elettorale ha dimostrato, non senza una malcelata delusione, che chi votava per i 5Stelle o si è astenuto o è passato alla Lega. Almeno per ora non c’è trippa per gatti da quella parte; ne è detto che a breve ce ne possa essere, a causa della caduta del governo gialloverde, auspicata a gran voce anche dal Pd e compagni di viaggio, con conseguente ritorno alle urne. 

Non sembra che questa caduta sia prossima, se pur la quotidiana punzecchiatura fra i due partiti al governo continua, peraltro con una incredibile camera d’eco su giornali e telegiornali. Non è prossima, non perché sia esclusa all’unisono dai due leader, ma perché non conviene a nessuno: non ai 5Stelle che già tramortiti dal colpo ricevuto rischierebbero di certo la numerosa rappresentanza parlamentare, destinata ad uscirne non solo notevolmente ridimensionata ma anche radicalmente modificata dalla regola dei due mandati; ma neppure alla Lega che, senza una scelta traumatica quale quella di portare il Paese ad una inedita consultazione nel tardo autunno, può far valere a suo vantaggio il diverso equilibrio politico creatosi nel Paese.

Tuttavia, la sinistra a furia di dirlo ha finito per crederci, sì da essere in stato di pre-mobilitazione, che, una volta accertato non essere il Pd autosufficiente come era nella prospettiva di Renzi – il quale per dirla tutta ci aveva proprio azzeccato, perché il 40 per cento dei votanti non se l’era concesso né il Berlinguer dell’ultimo Pci, né Prodi dell’Ulivo – una volta accertato questo, la nostra sinistra s’è messa di buzzo buono alla ricerca di una seconda gamba, che non essendo disponibile in natura, ha cercato di costruirla artificialmente, per rendere credibile quel centro-sinistra esauritosi con la confluenza della Margherita nel partitone. E qui la fantasia si è proprio sprecata, perché bacchettata da Zingaretti l’opzione coltivata da Calenda, di una gemmazione dallo stesso Pd, la scelta ha finito per coprire tutte le alternative possibili: un Pd aperto alle liste civiche o, detta in modo un po’ più pudico, ai movimenti in atto nel sociale; un partito cattolico, con un ritorno all’indietro, come se il Papa attuale fosse spendibile a suo supporto; un partito verde moderno, come se bastasse enfatizzare il vento spirante in Germania e Francia, facendo finta di non vedere il contestuale crollo dei socialisti; un partito moderato, senza ulteriore aggettivazione, come se questo non dovesse essere autosufficiente e autonomo, tanto da essere configurato da un autorevole fondista come aperto sia sulla destra che sulla sinistra.

È una classica fuga in avanti, perché non sì è voluto fare autocritica sulla conduzione della campagna elettorale, con una qual sorta di dipendenza dai classici guru della sinistra, ospitati ed esaltati dai quotidiani e dalle tv “amiche”, che certo hanno contribuito a conquistare l’assenso dei quartieri alti, dei centri urbani, dei capoluoghi di provincia, dove s’addensa la gente che non avendo problemi di pancia, può quietare la sua coscienza al costo di un semplice voto. Già, purtroppo, la stragrande maggioranza del Paese ha la disabilità politica costituita dall’avere una pancia, tanto che c’è tutta una aristocratica allergia da parte di chi ha la pancia piena e, vivaddio, può far lavorare il cervello. Beh, si potrebbe dire con Brecht che quando un popolo non va bene, si dovrebbe poterlo sostituire.

Ho detto che si è sbagliata la campagna elettorale; ma si è sbagliata perché non proponeva alcuna identità in cui riconoscersi, se non quella della difesa della Costituzione e della democrazia a fronte di una ondata nera, rappresentata da un Salvini che avrebbe plagiato Di Maio. Cosa scarsamente credibile alla vigilia di una libera consultazione, con il presunto dittatore in pectore contestato da un capo all’altro del Paese; e se oggi, dopo quella consultazione, dovesse essere creduta, allora l’onda nera ci avrebbe già sommerso completamente.

Vota per l’Europa della burocrazia di Bruxelles, che, a torto o a ragione, è conosciuta solo per i richiami sul deficit e sul debito pubblico, salutari ma insufficienti, e per gli imbarazzati silenzi sugli incontrollabili flussi migratori; oppure vota per una Europa dei popoli, con le loro storie, tradizioni, religioni, senso forte di appartenenza che certo non può essere obliterato a favore di un Parlamento europeo eletto in base al numero dei cittadini di ogni Stato, diviso secondo l’ormai anacronistica distinzione fra sinistra e destra, a tutto vantaggio di una perpetuata alleanza fra popolari e socialisti.

Votare per l’apertura illimitata ad una immigrazione caratterizzata da una bassa qualifica e da una religione islamica incompatibile con la nostra scala di valori, come ben dimostra la quasi totalità dei Paesi musulmani, solo perché i nuovi arrivati, con incredibile cinismo, farebbero i lavori rifiutati dagli italiani e pagherebbero le future pensioni; oppure votare per evitare un effetto sostituzione, perché a poco a poco questa infiltrazione continua, accresciuta esponenzialmente dalla disponibilità riproduttiva di donne che anche qui da noi non hanno altra scelta, porti alla emarginazione del nostro stesso panorama cittadino, stile di vita, libertà di pensiero e di comportamento, dato il constatato fallimento di qualsiasi multiculturalismo in Europa. Votare per le famiglie arcobaleno, con tutte le varianti possibili e immaginabili, comprese le adozioni realizzate con i ventri in affitto, come se questa fosse la normalità nel nostro Paese; oppure votare per la famiglia tradizionale, come cellula fondamentale della nostra convivenza civile, per la riproduzione biologica e culturale, come previsto dalla Costituzione, non obbligando le donne a stare in casa, ma aiutandole in tutti i modi nella loro carriera lavorativa, senza renderla incompatibile con la maternità.  

Prima che un qualche lettore mi metta alla berlina, con la solita fila di epiteti, fascista, razzista, omofobo ecc. ecc., sarà bene chiarire che questa alternativa di voto non è stata la mia; ma certo lo è stata di una larga parte dell’elettorato. Prima di esorcizzarlo, bisognerebbe capire che più di un terzo del corpo votante non si è fatto guidare solo dall’odio e dalla paura provocato dal sanguinario Salvini, quasi fosse un Mefistofele faustiano, ma dal fatto di aver individuato nelle cose da lui dette, certo alla buona, qualche identità valoriale.

Di sicuro non fa comodo, perché sarebbe più facile e rasserenante pensare che basti sommare i voti dei quartieri alti, dei centri urbani e dei capoluoghi di provincia con quelli dei quartieri bassi, delle periferie e delle migliaia di comuni per avere un bilancio elettorale positivo. Purtroppo non è così, non basta una maggiore attenzione, con la riapertura di sezioni, perché ciò di cui si accontentano i primi, diciamo quelli col “cervello”, non è ciò che richiedono i secondi, quelli con “la pancia”. Qui l’apologo di Menenio Agrippa non funziona.