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Putin impugna l’arma del gas contro l’Ue: nel mirino Kiev, sanzioni e Nord Stream 2

La faccia tosta di Biden: chiede più produzione alla stessa industria petrolifera che aveva promesso di voler chiudere

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Gazprom ha tagliato i flussi di gas diretti in Germania attraverso Nord Stream 1 di un altro 33 per cento, dopo il 40 di ieri. Quindi, in 48 ore siamo passati da 167 milioni di metri cubi al giorno ai 100 di ieri e ai 67 di oggi. Ciò vuol dire che il gasdotto opera in questo momento al 40 per cento delle sue capacità.

Come abbiamo riportato ieri, Gazprom ha spiegato la riduzione delle forniture con l’interruzione del funzionamento di una turbina Siemens sul gasdotto: “Siemens Energy afferma che una delle turbine a gas per Nord Stream, dopo essere stata riparata, non può ancora essere restituita alla Germania da Montreal a causa delle sanzioni canadesi contro la Russia”, si legge in una nota. Colpa delle vostre sanzioni, sembra essere il sottotesto.

Oggi ridotto anche il flusso di gas verso l’Italia del 15 per cento, senza fornire spiegazioni.

Dopo la nuova riduzione, i prezzi dei future sul mercato di Amsterdam sono schizzati a 120 euro/MWh dopo il primo aumento a 99 euro di ieri.

Cosa vuole ottenere Putin

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha parlato di “rappresaglia” per il sostegno all’Ucraina, mentre il ministro dell’economia e vice cancelliere tedesco, Robert Habeck, di una “decisione politica e non tecnica”.

Non è casuale, forse, che siamo nel periodo del riempimento degli stoccaggi per l’inverno e che Bruxelles abbia reso noto proprio in questi giorni che siamo al 50 per cento rispetto al 40 dello stesso periodo dello scorso anno. Berlino ha ripreso il controllo del sito di stoccaggio che era di Gazprom Germania, la quale dal giugno 2021 aveva mantenuto ai minimi i livelli – ciò che aveva contribuito all’aumento dei prezzi da allora.

Evidentemente Vladimir Putin vuole regolare il rubinetto del gas in modo da non perdere la sua leva sul mercato europeo il prossimo inverno. Per il presidente russo il gas è un linguaggio. Il linguaggio della forza e del ricatto, che usa per ricordarci chi fa i prezzi del gas europeo, e quindi dell’energia elettrica. Il gas come arma per riportare sul tavolo della trattativa le sanzioni occidentali e l’apertura di Nord Stream 2.

Non è casuale, forse, nemmeno che le forze ucraine in Donbass stiano vacillando e che domani si recheranno a Kiev dal presidente Zelensky, per la prima volta insieme, i leader dei tre principali Paesi Ue: Germania, Francia e Italia.

Mosca è vicina alla conquista del Donbass ma la resistenza ucraina può durare settimane e Putin spera che siano gli europei a convincere Kiev a cedere prima del dislocamento dei lanciamissili Himars e dell’arrivo di nuove armi Usa.

La faccia tosta di Biden

Nel frattempo, ci vuole tutta la faccia tosta di Joe Biden per intimare alle sette major petrolifere Usa di adottare “azioni immediate” per aumentare la produzione, rinfacciando margini di profitto “inaccettabili”. Perché si tratta della stessa industria che il presidente Biden durante la campagna elettorale aveva promesso di voler chiudere con la famosa frase, durante un duello tv con Donald Trump, “I will get rid of fossil fuels”.

E durante un dibattito con Sanders:

“Number one, no more subsidies for fossil fuel industry. No more drilling on federal lands. No more drilling, including offshore. No ability for the oil industry to continue to drill, period, ends, number one”.

Lo abbiamo ripetuto più volte su Atlantico Quotidiano: l’unica sanzione efficace contro la Russia di Putin è aumentare la produzione di energia elettrica, tornando a investire in idrocarburi e nucleare, così da aumentare l’offerta globale e abbassare i prezzi, e ridurre la nostra dipendenza dalle forniture russe. Ma stiamo facendo l’opposto, inseguendo l’ideologia gretina della transizione green. Finché non rottameremo la transizione green, saremo sotto il ricatto energetico di Putin.