Molti, per spiegare l’invasione russa dell’Ucraina, ipotizzano un’alterazione dello stato mentale di Vladimir Putin sino a definirlo “folle”. Risulta difficile, però, accettare una simile tesi, anche perché le azioni dello zar moscovita hanno il pieno appoggio dei membri del circolo ristretto che lo circonda. Inclusi personaggi in precedenza ritenuti moderati quali l’ex presidente Dmitrij Medvedev e l’attuale ministro degli esteri, Sergej Lavrov.
In realtà, il capo del Cremlino si rifà ad alcune tesi politiche e filosofiche elaborate dopo il crollo dell’Unione Sovietica, tesi basate sul vecchio imperialismo russo dell’epoca zarista, sostenute anche da Kirill I, il controverso patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie. Sembra a chi scrive che le suddette tesi vadano prese sul serio, poiché forniscono un quadro teorico che può, almeno in parte, spiegare l’invasione di un Paese indipendente e membro a pieno titolo dell’Onu.
Dopo la dissoluzione dell’URSS, alcuni politici russi cominciarono a parlare di uno “spazio post-sovietico”, definito anche “estero vicino russo”. Si tratta di una nozione geopolitica che indica le ex Repubbliche Sovietiche. Anche se diventate a pieno titolo nazioni indipendenti e sovrane, i fautori dello “spazio post-sovietico” ammettevano le differenze pur insistendo sulla loro “perdurante vicinanza”, soprattutto culturale.
Tale spazio, al quale la Russia resta molto legata, è un’estensione geografica che la Chiesa ortodossa rappresenta tuttora come un unicum con la madrepatria russa. La rinnovata sintonia tra governo e Chiesa ha trasformato quest’ultima nel principale strumento di soft power per le politiche della Federazione guidata da Putin. Il maggiore risultato della rinnovata unione è la dottrina del “Russkij Mir”, che dipinge la nuova Russia guidata da Putin quale unica alternativa al modello occidentale.
Il “Russkij Mir”, che significa “il mondo/la pace russa”, impone il superamento della subalternità all’Occidente colpevole, tra l’altro, di essersi introdotto nell’area d’influenza russa. Secondo questa dottrina l’Occidente va invece sfidato proclamando la superiorità della civiltà russa in ogni campo. L’Occidente, in particolare, è considerato sinonimo di caos e di decadenza irreversibile. In questo senso il patriarcato diventa il “braccio spirituale” del Cremlino, che deve dar vita a una diversa civilizzazione, fondata sulla tradizione ortodossa e sui valori che essa incarna.
Anche l’ordine mondiale imperniato sugli Stati Uniti e i Paesi anglosassoni deve quindi cambiare, poiché l’ordine nuovo che Mosca auspica è multipolare. Al progressismo occidentale va sostituito un mondo fondato sulla tradizione russa e, più in generale, slava. E a questo punto entrano in scena gli ucraini, assunti quale esempio emblematico di popolo slavo, e affine a quello russo, che si è ribellato alla suddetta tradizione per abbracciare totalmente la cultura occidentale.
Naturalmente queste tesi sembrano, per usare un eufemismo, strane ed estranee al nostro tempo. Eppure Putin ne ha fatto il cardine della sua azione politica. Si rammenti, infatti, la sua aspra critica del liberalismo inteso come concezione politica sterile e superata. La tradizione deve tornare a prevalere abbandonando il sentiero scelto dall’Occidente che, attraverso la globalizzazione, ha imposto al mondo intero la logica del globalismo. Fu proprio Kirill, con il pieno appoggio di Putin, a indicare la globalizzazione quale “sfida del secolo”, alla quale soltanto la Russia poteva rispondere.
Alcune considerazioni finali. Gli ucraini, che hanno adottato la civiltà occidentale, vanno quindi severamente puniti, anche con la violenza quando è giudicata necessaria. La galassia russa deve ritrovare il suo splendore elaborando un diverso modello di società, basata sui valori della tradizione. Se rifiutano, gli ucraini devono essere “rieducati” sottoponendoli a un processo di ri-russificazione coatta. Come pare stia avvenendo a quelli deportati nel territorio della Federazione Russa. In secondo luogo, occorre riflettere su quanto sia arduo condurre trattative serie con Putin e il suo circolo ristretto. Non stanno infatti conducendo soltanto un’operazione bellica, ma anche una battaglia culturale così dottrinaria da non prendere nemmeno in considerazione la sconfitta. Ed è proprio questo fattore a rendere così inquietante la guerra che ora si combatte sul suolo ucraino.