Il summit NATO di Brussels, soprattutto nelle sue prime ore, è stato ad alta tensione. Il presidente Trump ha messo subito sul tavolo la questione della spesa militare dichiarando che ogni Paese membro dell’Alleanza dovrebbe, a parere suo e della sua amministrazione, portare il budget militare al 4 per cento del Pil. L’annuncio ha creato imbarazzo ai vertici NATO e soprattutto con le nazioni che si erano impegnate a raggiungere il tetto del 2 per cento entro il 2024.
Il segretario generale della NATO Stoltenberg si è trovato spiazzato, avendo appena dichiarato che i Paesi membri dell’Alleanza, come era stato richiesto negli ultimi summit, si stanno muovendo nella direzione del 2 per cento entro il 2024. Infatti Stoltenberg aveva annunciato che ben otto Paesi membri nel 2018 hanno raggiunto il quorum delle spese militari dentro i rispettivi bilanci.
Come se non bastasse, il presidente Trump è andato anche pesantemente all’attacco della cancelliera tedesca Angela Merkel e della Germania, accusandola di doppiogiochismo con la Russia di Putin. Il presidente americano ha puntato il dito in modo chiaro e inequivocabile sui tedeschi come colpevoli di essere dipendenti dalla Russia sull’energia e contemporaneamente continuare a chiedere alla NATO “sicurezza”. Logico che un paese “sicuro” sia in una posizione di forza economica e venga considerato quale “sicuro” luogo di investimento, sia finanziario sia industriale.
La Germania riceve dalla Russia almeno il 40 per cento del suo fabbisogno energetico e quindi è in buoni rapporti economici con Mosca e al contempo Berlino ottiene protezione per la sua membership dalla NATO, impegnando poco più dell’1 per cento del Pil per la difesa. Anche la Francia non è stata esente da un attacco similare sulle spese militari. Chiedendo conto ai due principali contributori dell’Alleanza dopo gli Usa, il presidente americano ha voluto segnare chiaramente il solco economico per la sicurezza che allontana le due sponde dell’Atlantico.
In sintesi, Trump chiede con vigore e da subito alla Germania e per sua via all’Europa, di non far principalmente pagare la “sicurezza” assicurata dall’ Alleanza ai soli contribuenti americani. Logicamente, negli incontri bilaterali del pomeriggio sono stati abbassati i toni e le dichiarazioni post bilaterali sono state accomodanti, ma rimane il fatto che già in serata si era tornati a parlare di un 2 per cento da raggiungere subito, e non nel 2024, e di un 4 per cento come obiettivo a lungo termine (gli Usa sono tra il 3,5 e il 4,2, a seconda delle fonti).
Comunque, alla conclusione del summit, e nonostante i suoi attacchi contro i Paesi alleati e il suo rimarcare la necessità di maggiori spese militari, il presidente americano si è unito agli altri 28 leader firmando la dichiarazione del summit che riafferma gli impegni esistenti, incluso l’obiettivo di spesa militare del 2 per cento. Un esito positivo e una novità, se si ricorda che il mese scorso alla fine del vertice del G7 non si era giunti a un comunicato concordato.
La dichiarazione della NATO, di 23 pagine e 79 punti, che riflette mesi di negoziati, ha censurato le azioni della Russia in Ucraina nei termini più decisi: “Condanniamo fermamente l’annessione illegale e illegittima della Crimea alla Russia, che non riconosciamo e non riconosceremo”. Poco più di una settimana fa, fonti giornalistiche riportavano che il presidente Trump stava prendendo in considerazione l’idea di non condannare del tutto l’annessione della Crimea del 2014. Gli alleati hanno, inoltre, hanno concordato una iniziativa di prontezza della NATO, che consentirebbe al gruppo di riunire una forza combattente di 30 battaglioni terrestri, 30 squadroni di aerei e 30 navi da guerra entro 30 giorni. Infine, è stato dichiarato operativo lo Strategic Direction South Hub (iniziativa di cooperazione con Nord Africa e Medio Oriente) di Lago Patria, che assume importanza se messo in relazione con il problema, ormai centrale per la sicurezza europea, del controllo accurato dell’immigrazione clandestina attraverso il Nord Africa e la Turchia.
Il summit si è comunque tenuto ad un punto cruciale di decisione per l’Alleanza, che ha compiuto progressi significativi dal 2014 nel rafforzare la deterrenza contro la Russia e nell’iniziare a contrastare seriamente e consapevolmente le minacce provenienti dal Sud. La richiesta del presidente Trump sulla eguale ripartizione delle
spese minaccia di erodere l’unità e lo scopo comune che sono il centro di gravità dell’Alleanza.
A parere dei più importanti analisti, è la solidarietà politica la vera difesa contro tutti gli avversari presenti e possibilmente futuri dell’Alleanza. Solo con questa unità la NATO raggiungerà l’ambizione strategica necessaria per avere successo nei prossimi anni. Ma tale ambizione si realizzerà solo se integrata in una nuova relazione transatlantica, più equilibrata, in cui gli Stati Uniti continuano a offrire ai propri alleati europei la garanzia di difesa e il supporto di sicurezza di vitale importanza per la stabilità dell’Europa. In cambio, gli alleati europei più il Canada, coscienti delle pressanti e mutevoli esigenze della sicurezza americana e globale, devono mostrarsi realmente più capaci e desiderosi di aiutare a soddisfare tali esigenze, come hanno fatto dopo l’11 settembre.
Infatti, la NATO si avvicina al suo settantesimo anniversario, rischiando di non essere preparata nei confronti del ritmo dei cambiamenti politici e degli sviluppi tecnologici. Saranno problemi da affrontare la cibernetica e l’intelligenza artificiale, la disinformazione e altre minacce “ibride”, come il fallire di Stati, la sdemocratizzazione di un paese membro, estremismo violento e la massiccia migrazione clandestina incontrollata.
A mio parere, gli alleati europei devono impegnarsi da subito adeguatamente in uno sforzo economico per il bene della propria sicurezza e quella di di entrambe le sponde dell’Atlantico. Tutti i ventinove alleati si dovrebbero impegnare a fare la loro parte mettendo a disposizione capacità militari credibili. In sintesi, si è riaffermato che “la NATO ha bisogno di una strategia lungimirante, che definisca in che modo l’Alleanza affronterà le sfide di un mondo imprevedibile e in rapida evoluzione”.
Per quanto riguarda il nostro paese, le Forze Armate sono impegnate nelle missioni dell’Alleanza e continuano con il loro duro lavoro a primeggiare e a dare credibilità all’Italia. Il vertice è stato una buona occasione per ribadire questo stato di cose e nella sua imminente visita a Washington, il prossimo 30 luglio, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte potrà porsi come credibile interlocutore per gli Stati Uniti in ambito NATO e come tale, di conseguenza, rafforzare il ruolo dell’Italia anche presso le istituzioni europee.
Sottolineo che l’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Alleanza Atlantica e dell’Ue; ospita un numero di basi Usa e NATO sul suo territorio tra i più alti in Europa; ha seguito, più del Regno Unito, gli Usa nelle operazioni di mantenimento della pace; ha la responsabilità del comando delle forze terrestri della NATO Response Force; è alla guida con il generale Cuoci della missione in Kosovo; comanda con il generale Marchiò il Joint Force Command di Brunssum; si proietta con ottomila chilometri di coste nel Mediterraneo; dirige il neo costituito e già citato Strategic Direction South Hub; ha in fase di accreditamento il Centro di eccellenza (Coe) per la Security Force Assistance; ha acquisito negli Usa importanti società come Chrysler e DRS. Inoltre, i nostri migliori esperti in ambito difesa concordano che un rafforzamento della politica estera in chiave transatlantica favorirebbe quelle industrie nazionali della difesa, con base negli Usa, che risulterebbe più difficile penalizzare nell’ambito dei nascenti progetti e finanziamenti europei per la difesa.
Ci si aspetta quindi, che soprattutto a Washington, nel bilaterale del 30 luglio, l’Italia sia in grado di rilanciare la rotta atlantica e attraverso di essa il proprio ruolo nelle istituzioni euroatlantiche, perseguendo finalmente interessi nazionali come indicare i compiti che la NATO dovrà affrontare nella regione mediterranea.
Infatti, con i precedenti governi l’assioma che ha sempre saputo coniugare il processo d’integrazione europea con un forte legame transatlantico è andato smarrito. Non si può che concordare con chi afferma che “è venuto meno quell’equilibrio che aveva sempre sorretto il cammino della politica estera e di sicurezza nazionale, e che fondava la sua stabilità nella sinergia e nel bilanciamento dell’azione italiana su entrambi i pilastri dell’Ue e della NATO”. Forse l’Oceano Atlantico si sta un po’ allargando, ma non in modo irreparabile. Alla fine del mese potremo avere una idea più chiara e iniziare a capire se l’Italia può essere attore importante e partecipare attivamente a ricucire il possibile strappo.