Articolo pubblicato da Lettera 43
Era la stessa sera, anzi la notte tra il 30 e il 31 agosto di 21 anni fa. Difficile credo dimenticare per ognuno dove fosse quel giorno, anzi quella notte quando l’estate finì con quasi un mese di anticipo. Schiantandosi nel tunnel dell’Alma, a Parigi. È stato detto, scritto tutto e di più e forse di troppo sulla morte di Lady Diana e di Dodi Al Fayed. Ma una cosa è certa credo: quell’estate ci abbandonò di colpo, traumaticamente. Ci svegliammo quella mattina del 31 agosto 1997 attoniti, come privati di colpo di quel poco di spensieratezza ancora rimasta in anni già difficili. Di quel senso di libertà che le immagini dell’Anglosfera trasmettono. Dai Beatles al sempiterno Mick Jagger (che Iddio ce lo mantenga) all’icona reale Lady D. Bellissima e trasgressiva. Fino alla morte a 36 anni.
Sono stati scritti fiumi di inchiostro, sono stati fatti predicozzi per carità ragionevoli, ma acidi e, mi si passi il termine, pallosissimi dei maitre à penser sul comportamento di questa splendida ragazza con un tasso di nobiltà nelle vene ancora più elevato di quella dei Windsor. Gli Spencer sono pura nobiltà inglese. Ho sentito in questi anni non solo commenti retorici e agiografici di Lady Diana, nata contessa Spencer. Ma anche commenti acidi, mi si passi il termine, un po’ zitelleschi di donne ma anche di uomini su di lei e la sua condotta. Ho sempre pensato forse un po’ semplicisticamente ma d’istinto: vi sarebbe piaciuto (per le donne) eh avere i suoi amanti, la sua avvenenza, oppure avere un’avventura con lei (per gli uomini). Tutti a impancarsi, tutti a giudicare sia tra gli opinionisti sia tra la gente comune. Sono sempre stata istintivamente dalla parte di Lady D. Il suo inno alla libertà e la sua tragedia contribuirono a dare una ventata di modernità a quella grande istituzione che è la monarchia inglese. Che, come ha scritto Daniele Capezzone, è grande proprio perché ha sempre il coraggio di rinnovarsi. E poi le canzoni degli Abba, di Elton John che Lady D adorava, gli abiti di Versace, i profumi di Hermès…
Quanto era bella, con tutti i suoi simboli anche estetici e di vita di tutti i giorni Princess Diana. Quella mattina del 31 agosto 1997 ero allo Sheraton di Hammamet per intervistare Bettino Craxi. Come scrivo nel libro “I conti con Craxi” (Male Edizioni di Monica Macchioni), stavo per rientrare in Italia. Telefonai a Craxi per salutarlo e ringraziarlo per le sue litografie mandatemi la sera prima allo Sheraton dall’autista e factotum Marcello. L’intervista ahimè non c’era ancora. Non mi fece neppure quasi parlare e con tono energico ma addolorato: “Si, si, ma si è capita la dinamica dell’incidente?”. Poi, riferito a Lady D, che aveva conosciuto e incontrato in più occasioni ufficiali da presidente del Consiglio, un sospiro di quelli quasi interminabili di Craxi che disse solo alla fine con affetto: “Povera figlia!”. E l’estate di colpo finì.