Una cosa su tutte abbiamo imparato in questi lunghi mesi di pandemia: nei momenti di emergenza, media e popolo italiano hanno sempre cercato di stringersi attorno ad un leader, ad una figura autorevole, o in grado di esprimere sicurezza attraverso l’abile uso dell’ars oratoria, a cui veniva delegato il compito di risolvere personalmente la situazione.
Questo è successo col governo Conte II, dove l’avvocato vide schizzare alle stelle i propri indici di gradimento con l’arrivo della prima ondata; ed anche con l’esecutivo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, accolto da giornali ed istituzioni come un salvatore della patria, descritto con chissà quali poteri taumaturgici capaci di risolvere l’emergenza pandemica ed economica.
Invece di affidarsi al metodo democratico, e di rigettare scelte poco rispettose dei diritti fondamentali, violati con il plauso quasi unanime degli italiani, gran parte della classe politica e del circuito mediatico ha scelto la strada del socialismo e abbandonato quella della libertà; quella della società chiusa in contrasto con quella aperta; quella della consegna di poteri straordinari a uomini della provvidenza.
In questa sede, non ci permettiamo di discutere gli orientamenti degli italiani in questi due anni di pandemia. A differenza del senatore a vita Mario Monti, che vorrebbe “un’informazione meno democratica”, qui riteniamo si debbano rispettare anche le idee contrarie alle nostre.
Ciò che ci permettiamo di sottolineare è che, da due anni orsono, tira un’aria di totale conformismo: sembra che le scelte del potere esecutivo, in particolare del presidente del Consiglio, prima Conte poi Draghi, non possano essere messe in discussione, senza vedersi attribuita l’etichetta di “negazionista” o “no-vax”; o che debba essere accettata per il nostro bene qualsiasi cosa, dal prolungamento dello stato di emergenza, oltre i limiti stabiliti dalla legge, all’estensione del Green Pass, senza poter offrire una strada alternativa a quella dominante.
Non serve essere negazionisti, no-pass o no-vax per comprendere come, in molte circostanze, anche le parole del competente Mario Draghi sono state errate e prive di qualsiasi fondamento scientifico; pronunciate per legittimare scelte di natura politica, molte volte distaccate dall’aspetto sanitario, hanno messo a repentaglio il buon andamento della campagna vaccinale.
Nel pieno dell’estate, per esempio, quando l’esecutivo decideva di imporre l’obbligo della certificazione verde, l’ex numero uno della Bce affermava che il lasciapassare sarebbe stato la “garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose”. Eppure, fin dall’inizio della campagna vaccinale, si sapeva perfettamente che il vaccino non sarebbe stato in grado di offrire uno scudo totale contro il rischio del contagio. Oppure, in risposta al leader del Carroccio, Matteo Salvini, che sottolineava l’importanza del vaccino solo per i fragili e per gli over 60, il premier ribatteva affermando che “l’appello a non vaccinarsi è appello a morire. Non ti vaccini, contagi, lui o lei muore”.
Tralasciando il fatto che, come già detto, anche i vaccinati possono trasmettere il contagio, è chiaro a tutti che, per le fasce d’età più giovani, il China virus non porta a conseguenze estreme – morte o terapia intensiva – salvo casi in cui la salute del singolo fosse già compromessa da altre patologie pregresse. Infatti, da febbraio 2020, poco meno di 40 bambini hanno necessitato il ricovero in terapia intensiva. Anzi, per di più, sappiamo che la stragrande maggioranza di chi contrae il virus è asintomatica o paucisintomatica, senza arrivare al decesso o alla ospedalizzazione.
Insomma, i due governi succedutisi si sono presentati come spacciatori di certezze, molte volte rivelatesi inesatte, all’interno di un contesto costellato di incognite. Non sappiamo quanto possa durare esattamente la difesa vaccinale; non sappiamo quante dosi dovranno essere somministrate; non sappiamo se in futuro potranno esserci nuove varianti in grado di “bucare” il vaccino; non sappiamo se gli aumenti dei contagi, in concomitanza con la somministrazione delle terze dosi, siano dovuti alla percentuale minoritaria di non vaccinati, posto il fatto che anche i vaccinati possono contagiare; non sappiamo quanto potrà prolungarsi l’emergenza; e, ancora, non sappiamo quanto può essere contagioso il virus – inizialmente, qualcuno affermava di mantenere la distanza di almeno un metro, altri addirittura due, e così via.
Come affermato da Gilberto Corbellini ed Alberto Mingardi, nel libro “La società chiusa in casa. La libertà dei moderni dopo la pandemia”, pare essere certi solamente di una cosa: l’idea che la pandemia non fosse affrontabile da una società aperta è l’opinione più politicamente corretta dal febbraio 2020. Poco conta se la Gran Bretagna, con una campagna vaccinale all’avanguardia e con un sistema decisamente più orientato alla libertà e alla vita normale, abbia più o meno lo stesso numero di decessi al giorno; o che, attualmente, abbia un minor numero di ricoverati in terapia intensiva; o, ancora, che oltre 47 milioni di britannici abbiano aderito alla somministrazione senza obblighi, limitazioni e restrizioni. Nonostante questi straordinari risultati, l’ondata informativa conformista ha sempre presentato la società chiusa come unica soluzione ai mali della pandemia.
In questi due anni, i media tradizionali non hanno cercato, bensì hanno esclusivamente guidato. Non hanno confutato, ma hanno solamente riportato; non hanno valutato gli effetti, ma solo le intenzioni. Questa ondata di unanimismo continua ad offrire un racconto pandemico dogmatico, limitativo, emotivamente controproducente, che rischia di avvolgere sempre più persone nella spirale della paura e dell’ossessione del “contagio zero”.
Eppure, riprendendo uno dei tanti moniti del padre del liberalismo, John Stuart Mill: una ristretta casta non ha l’autorità di “decidere la questione per tutta l’umanità, togliendo a chiunque altro la possibilità di giudizio”. Né il governo pro tempore, né il circuito informativo mainstream. L’orientamento di chi ha a cuore la democrazia e la libertà sarà sempre lo stesso: sì al vaccino, alla ricerca, all’innovazione; no all’obbligo, alle restrizioni, alle discriminazioni in un clima di conformismo mediatico e politico.