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Quella partita su energia e gas tra Russia e Germania

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È da sempre uno degli accostamenti più naturali: quando si parla di Russia non si può non far riferimento all’immenso potere che il paese di Vladimir Putin esercita tramite le risorse energetiche di petrolio e gas. .

Dopo la fine della Guerra fredda, dove contava più di tutto la corsa agli armamenti nucleari, abbiamo assistito alle guerre del freddo nelle quali conta invece chi detiene il quasi monopolio delle risorse energetiche. Nel 2005 e nel 2010, allorché la Russia interruppe le forniture di gas verso l’Ucraina, si scatenarono le Guerra del gas e una parte dell’Europa rischiò di rimanere al gelo. Gas e petrolio rappresentano per l'”orso russo” un’arma molto efficace in chiave non solo economica, ma anche e soprattutto geopolitica. Il gas consente al paese più grande del mondo, attraversato da undici fusi orari, e abitato da “soli” 144 milioni di persone (un numero non consistente vista l’estensione territoriale) di occupare una posizione centrale tra Europa e Asia, ma anche di tenere una posizione centrale nello scacchiere che Peter Hopkirk ha definito il “grande gioco”.

La Russia si è sempre considerata una grande nazione proiettata nella storia dell’umanità con un missione molto precisa: difendere i propri interessi nazionali. È questa la cifra della politica di Putin degli ultimi decenni ed è questo il criterio che ha spinto il numero uno del Cremlino ad aprire spesso controversie con paesi vicini che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica.

Più del 25% del gas e del petrolio che consumiamo in Europa proviene dalla Russia. Paesi come la Finlandia, la Lettonia, la Slovacchia e l’Estonia, per fare qualche esempio, dipendono al 100% dalle importazioni di gas russo; Repubblica Ceca, Bulgaria e Lituania hanno una dipendenza di circa l’80%; Grecia, Austria e Ungheria invece del 60%. La Germania di Angela Merkel dipende dalla Russia per circa il 50% del gas che viene consumato, che in termini assoluti rappresenta una cifra mostruosa visto che parliamo del primo paese industriale e manifatturiero europeo. Questi numeri servono a dimostrare la dipendenza non solo energetica, ma anche economica di molti paesi, visto che l’energia è alla base della nostra economia. L’energia muove l’economia. La può condizionare, nel bene e nel male (è molto interessante a questo proposito leggere il primo capitolo del libro di Tim Marshall, Le 10 mappe che spiegano il mondo, Garzanti).

Noi italiani dipendiamo dal gas russo per circa il 28% di quello che consumiamo (secondo i dati riportati da Snam nel 2017 con riferimento all’anno 2016). Il nostro paese per posizione geografica rappresenta uno degli hub del gas tra Est dell’Europa, il Nord del Vecchio Continente e il versante mediterraneo dei paesi del Nord Africa (Algeria e Libia prima fra tutti, e ora anche l’Egitto con le ultime importanti scoperte di risorse gasifere). Questo ruolo storico dell’Italia viene a più riprese insidiato, per esempio, da un paese come la Grecia che si trova al centro di nuove scoperte di giacimenti di gas tra Cipro e Israele.

Torniamo alla Russia: il paese di Putin dopo aver visto tramontare nel 2015 il progetto del gasdotto South Stream, osteggiato dall’Europa in nome del secondo “pacchetto energia”, ha rivolto il suo sguardo su tre direttrici che vale la pena di passare in rassegna: Cina, Turchia e Germania. Nel primo caso la Russia si è inventata un ruolo di paese-amico di Pechino, che comunque continua a dover “sopportare” visto che i cinesi hanno messo le mani sui grandi giacimenti gasiferi di paesi dell’alveo ex sovietico, come il Turkmenistan, e visto che dal 2017 i cinesi sono entrati nel capitale di Rosneft con il 14,16% (a fronte di un investimento di 9,1 miliardi di dollari).

Nel caso della Turchia invece Gazprom è l’artefice della costruzione del gasdotto Turk Stream che dopo il tramonto di South Stream – che sarebbe arrivato sino all’Italia – resta un progetto strategico per la Russia che vede così rafforzare il suo ruolo in un paese di fatto povero dal punto di vista delle risorse energetiche domestiche.

Nel caso invece della Germania, la Russia sta giocando una partita in chiave europea molto delicata e complicata allo stesso tempo. Cerchiamo di capire perché.
Parliamo del raddoppio del North Stream, conosciuto come North Stream 2. Un gasdotto lungo circa 1200 Km, con una portata massima di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno, che parte dalla località di Vyborg per arrivare nei pressi di Greifswald, cittadina a Nord-Est della Germania sul Mar Baltico.

Questo progetto parte dalla Russia e chiama in causa anche Danimarca, Svezia, Finlandia e Germania con molte implicazioni geopolitiche. Non è un caso che Stati Uniti e Polonia, a fine Gennaio scorso, abbiano preso una posizione comune contro il gasdotto perchè rappresenta “una minaccia per la sicurezza e la stabilità energetica dell’Europa nel suo complesso” (secondo quanto dichiarato da Rex Tillerson). Ad Aprile scorso, il numero uno del Governo tedesco, Angela Merkel, ha fatto una dichiarazione a sorpresa alla presenza del presidente ucraino Petro Poroschenko: “Non è possibile che l’Ucraina non abbia alcuna importanza nel transito del gas a causa del Nord Stream 2”. Dichiarazione che ha tentato di portare la Germania su una posizione di mediazione tra Russia e Ucraina, invece che di principale beneficiaria del Nord Stream 2, opera infrastrutturale che incontra ancora molti sfavori sia in sede europea che in sede internazionale.

Gli interessi in campo per la costruzione di Nord Stream 2 sono considerevoli e riguardano grandi gruppi europei dell’energia: i francesi di Engie, i tedeschi di Uniper e Winteshall, gli austriaci di OMV e gli anglo-olandesi di Shell, a vario titolo, tutti finanziatori della nuova pipeline. Gazprom risulta essere shareholder, azionista, del progetto che attraverserà il Mare Baltico. Della serie: noi ci mettiamo le risorse naturali; e voi europei ci mettete tecnologia e, soprattutto, i denari per la realizzazione delle opere. Succederà al North Stream 2 quello che è successo al South Stream nel 2015? Sarà interessante seguire questa ulteriore partita a scacchi che ancora una volta non vede l’Europa parlare una lingua sola.