Mentre ancora non si capisce se la temuta invasione russa dell’Ucraina costituisca una minaccia reale, oppure se si debba interpretare come una montatura di alcuni servizi segreti ostili a Mosca, la tensione ai confini sta crescendo. E si abbina ad ulteriori elementi di tensione presenti in Bielorussia, Kazakistan e altre ex repubbliche della defunta Unione Sovietica.
Il caso ucraino, tuttavia, è il più complicato per parecchi motivi. Innanzitutto perché è uno Stato importante che i russi, da sempre, considerano parte integrante della loro stessa storia, a partire dalla medievale Rus’ di Kiev. Poi perché in Ucraina esistono sentimenti anti-russi assai forti, soprattutto nella parte occidentale del Paese. Ma sappiamo pure che vi sono sentimenti filo-russi altrettanto forti nell’importante area del Donbass, in cui sono sorte repubbliche autonome e vicine a Mosca.
Non si può inoltre trascurare il fatto che, ai tempi dell’Urss, l’Ucraina era strategica anche economicamente e da essa provenivano parecchi leader sovietici di primo piano. Si pensi per esempio a Lazar Kaganovic, a Nikita Kruscev (il più noto), a Nikolaj Podgornyj. Di origini ucraine era pure la moglie di Gorbaciov, Raisa. Si tratta insomma di un territorio che Putin – e i russi in genere – stentano a considerare come “straniero”.
Quando l’Urss implose, a quanto pare, l’amministrazione Usa fornì a Mosca informali rassicurazioni che l’Occidente non avrebbe cercato di espandersi nelle ex Repubbliche sovietiche. Promesse però disattese per l’aperta ostilità di parte del deep state americano, con il Pentagono in testa. L’unico ministero Usa ad appoggiare tale linea è il Dipartimento di Stato (anche se non in modo continuativo). All’apparato militare americano fa tutto sommato comodo perpetuare un clima di Guerra Fredda, pur essendo chiaro a tutti che, ai nostri giorni, la Repubblica Popolare Cinese pone sfide ben più serie di quelle della Federazione Russa.
Chi scrive ritiene che Vladimir Putin abbia delle buone ragioni per non permettere che altri territori dell’ex Urss assumano atteggiamenti apertamente ostili a Mosca. Il leader russo semplicemente non desidera che la Russia, superpotenza militare e tuttora dotata di un arsenale nucleare in grado di competere con quello americano, venga ridotta al rango di semplice potenza regionale (come la Turchia, per esempio). Non vuole altresì ai suoi confini nazioni ostili in grado di minacciarla direttamente o per interposta persona.
Se ne sono accorti soprattutto i tedeschi, per vari motivi poco disposti ad assumere un atteggiamento troppo favorevole all’Ucraina. Il vice-ammiraglio Kay-Achim Schobach, capo della Marina di Berlino, ha dovuto addirittura dimettersi per aver detto che “Putin merita rispetto” e che la Russia è utile in funzione anti-cinese. Ma i dubbi serpeggiano anche nella Nato e nella Ue, tant’è vero che la Croazia ha deciso di non impegnare le proprie truppe nel caso il conflitto tra Russia e Ucraina dovesse davvero esplodere.
Naturalmente si sa che numerose nazioni dell’area temono i russi per ragioni storiche, anche perché la loro potenza militare è rimasta pressoché intatta dopo la fine dell’era sovietica. Il problema si può tuttavia risolvere con accordi bilaterali, mediante i quali Mosca s’impegna a rispettare la loro indipendenza se esse non aderiscono ad alleanze militari che la Federazione percepisce come ostili. Non v’è nulla di strano in tutto questo, si tratta solo di praticare un sano realismo da parte di tutti gli attori in causa.
Alcuni segnali indicano che Joe Biden è favorevole a un approccio di questo tipo, ma anche lui – come molti suoi predecessori – deve fare i conti con un apparato militare e diplomatico che vede Mosca quale principale avversario dell’Occidente. È auspicabile che la sua notevole esperienza internazionale lo conduca lontano dai venti di guerra, consigliandogli di mantenere con la Russia rapporti utili anche in vista della crescente tensione Usa-Cina.