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Recovery Fund sotto attacco/1: ecco perché è contrario ai Trattati Ue

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 28 ottobre 2019

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Abbiamo lasciato un Draghi molto scettico. Possibilista su una sola via di uscita federale: la via di mezzo del Recovery Fund. Eppure non ne è confortato. E perché?

Direttamente a Draghi risponde un articolo del corrispondente da Roma di Handelsblatt: l’Eurobond sarebbe contrario ai Trattati, in virtù del divieto all’assistenza reciproca fra gli Stati (125 Tfeu, clausola di non salvataggio). Una argomentazione ben più approfondita la troviamo, sullo stesso giornale, in una intervista al professor Matthias Herdegen: egli dice il Recovery Fund contrario al Trattato e ne invoca quattro articoli: 311, 122, 125 e 126. Procediamo in tale ordine.

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L’articolo 311 – Il Recovery Fund (Ngeu – Next generation EU) è figlio della decisione 2020/2053 relativa al sistema delle risorse proprie. A sua volta basata sul 311 Tfeu, che recita:

“Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell’Unione”.

Che ad essere in gioco sia il bilancio dell’Unione è reso chiaro dal coinvolgimento del Parlamento (289 Tfeu).

Herdegen sostiene che l‘espressione risorse proprie escluda il debito. Infatti, il Trattato recita: “il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie” (311 Tfeu); ma lo stesso articolo definisce pure le risorse proprie come i “mezzi necessari” all’Unione “per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche”, dunque pure un finanziamento; anzi, altrove si parla espressamente di “mezzi finanziari” (323 Tfeu). Un altro possibile vincolo è che “nel bilancio, entrate e spese devono risultare in pareggio” (310 Tfeu) ma, pure qui, per entrate si può ben intendere un finanziamento, non necessariamente un ricavo. Il terzo è che l’Unione “deve assicurare che le spese possano essere finanziate nel rispetto del quadro finanziario pluriennale” (310 Tfeu), ma quest’ultimo “mira ad assicurare l’ordinato andamento delle spese dell’Unione entro i limiti delle sue risorse proprie” (312 Tfeu) e, dunque, ancora una volta bastano i finanziamenti.

La sfortuna di Herdegen, è che il 311 continua dando a Consiglio e Parlamento il potere di “istituire nuove categorie di risorse proprie o sopprimere una categoria esistente”. Ciò che fa di questo articolo un’arma atomica. Perciò, “tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali”. Il che è normale, in quanto un voto all’unanimità ratificato dai Parlamenti nazionali è equivalente ad una modifica del Trattato. Infatti, la nostra decisione 2020/2053 relativa al sistema delle risorse proprie, crea il nuovo potere della Commissione, “alla Commissione è conferito il potere di contrarre sui mercati dei capitali prestiti per conto dell’Unione“. Un potere che prima non esisteva e che ora è stato creato grazie all’attivazione della clausola atomica.

Così, non ha alcun senso chiedersi perché il potere della commissione sia “eccezionale e temporaneo”, perché il fondo sia costituito “in via eccezionale e temporanea”, perché gli Stati siano sottoposti ad “un incremento straordinario e temporaneo” dei propri contributi, perché questi ultimi siano limitati nel tempo al “periodo immediatamente successivo alla crisi”, perché le concessioni di prestiti debbano terminare “al più tardi alla fine del 2026”, perché i rimborsi debbano essere completati “al più tardi entro il 31 dicembre 2058”. La risposta non è, perché lo prevedono i Trattati … bensì, perché così si sono accordati gli Stati Membri all’unanimità.

Perciò, nemmeno ha alcun senso chiedersi (come fanno i tedeschi) se il Trattato conceda all’Unione il potere di indebitarsi. Allo stesso modo, non ha alcun senso chiedersi come mai l’Unione sinora non si è mai indebitata: se non lo avevano fatto, è solo perché non avevano voluto farlo.

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L’articolo 122 – Il secondo punto di attacco tedesco, è collegato al 122 Tfeu, che consente al Consiglio dell’Ue (cioè agli Stati Membri) di “decidere le misure adeguate alla situazione economica”, nonché di “concedere un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato in difficoltà a causa di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo”. L’articolo continua chiarendo che si tratta di quattrini degli Stati Membri: “il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa”, laddove, se ad essere in gioco fosse il bilancio dell’Unione, il Parlamento non verrebbe solamente informato.

Ai sensi di quest’articolo è stato costituito il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency). Infatti, il regolamento 2020/672 che lo istituisce, continuamente ripete che lo strumento è “temporaneo” e a disposizione solo finché dura il Covid e ciò “coerentemente con la base giuridica per l’adozione del presente regolamento”. Eppoi chiarisce come, se pure è vero che è la Commissione ad indebitarsi ed a concedere i prestiti, essa lo fa a fronte di “controgaranzie” ad essa concesse dagli Stati Membri, come si trattasse di un conduit. Garanzie, peraltro, di importo complessivo non esorbitante (25 miliardi in totale, 6,3 dalla Germania) e di tre quarti inferiori al valore massimo dell’esposizione (100 miliardi).

Orbene, per le finalità di propaganda politica interna che vedremo, la CDU/CSU tedesca ha interesse a far credere che pure il Ngeu sia costituito in base al 122 Tfeu, ad imitazione del SURE: così facendo, sottolinea che si tratta di strumento eccezionale e legato esclusivamente al Covid. Ci sono cascati in molti: una possibile spiegazione è che anch’essi preferiscano il modello SURE. Comunque, è un errore da matita blu. È a loro che Herdegen parla, quando spiega: “la clausola di assistenza nell’articolo 122 del Trattato non è una base a disposizione dell’Ue per essere in grado di ottenere denaro al di fuori del bilancio” e tanto gli basta.

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L’articolo 125 – Un terzo punto di attacco tedesco, è collegato alla clausola di non salvataggio: “l’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni … di qualsiasi Stato membro … gli Stati membri non sono responsabili né subentrano agli impegni dell’amministrazione … di un altro Stato membro” (125.1 Tfeu). Coerentemente, la decisione 2020/2053 relativa al sistema delle risorse proprie esclude che il Ngeu possa finanziare “spese operative”, mentre il regolamento 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, è basato sul potere dell’Unione di agire anche “attraverso fondi a finalità strutturale” (175 Tfeu) e parla di “contributo sui generis” volto a finanziare “gli obiettivi delle riforme e degli investimenti stabiliti nei loro piani per la ripresa e la resilienza”, dunque approvati dall’Unione. E se poi non c’entrano alcunché col Covid, pazienza. Insomma, l’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni di qualsiasi Stato membro, esattamente come prescrive il Trattato.

Ma le cose non sono così semplici. Herdegen si chiede: “se un Paese non riesce ad effettuare i propri versamenti al bilancio Ue, gli altri dovrebbero intervenire con versamenti aggiuntivi. Tale obbligo è incompatibile con la clausola di non salvataggio, ovvero la sola responsabilità degli Stati membri per i loro debiti”. Di ciò, egli “è particolarmente infastidito”. E non a torto.

Infatti, dei 750 miliardi del Ngeu, fino 360 miliardi possono essere usati per erogare crediti e, dunque, vengono rimborsati dallo Stato Membro che li ha presi in prestito … ma può darsi che quest’ultimo non paghi. Parimenti, i restanti 390 possono essere destinati a trasferimenti a fondo perduto agli Stati Membri (nel bilancio dell’Ue vengono registrati come “spese”) e, dunque, devono essere coperti dagli stessi Stati Membri … ma può darsi che uno o più di questi ultimi non paghino. In entrambi i casi, il mancato pagamento viene coperto dai restanti Stati Membri: in proporzione al proprio Pil, nonché sino al massimo addizionale annuo … ma per ognuno degli anni sino al 2058. E senza dover rinnovare il proprio consenso, cioè a prima richiesta.

In termini giuridici, gli Stati membri offrono una garanzia solidale con diritto di regresso (joint and several liability), con il beneficio della divisione ed escutibile a prima richiesta: ogni Stato membro è obbligato alla parte da esso dovuta. Ma, se uno degli Stati membri non paga, ciascuno dei rimanenti è obbligato, per tale mancato pagamento, in proporzione della propria quota. E ciò è effettivamente contrario alla clausola di non salvataggio.

Alla obiezione di Herdegen, taluni rispondono con l’argomento praticone che tanto tutti gli Stati membri pagano sempre la loro quota alla Ue. A costoro un tedesco risponderebbe con la seguente osservazione. Gli Stati hanno accettato di impegnarsi a versare al bilancio dell’Unione, ogni anno sino al 2058, un massimo addizionale annuo pari allo 0,6 per cento del proprio Pil: moltiplicato per i 37 anni che dura l’impegno, fa in totale circa 3.000 miliardi di euro (il 22,2 per cento del Pil, essendo il Pil della Ue 13.500 miliardi di euro; tenendo conto dell’inflazione, la Corte dei Conti tedesca calcola più di 4.000 miliardi) … a fronte di un volume massimo del Ngeu pari a soli 750 miliardi. Tale differenza abnorme, è definita dall’Unione come “un margine sufficiente tra i pagamenti e il massimale delle risorse proprie per garantire che l’Unione sia in grado – in qualsiasi circostanza – di ottemperare ai suoi obblighi finanziari, anche in periodi di recessione economica”. La sola Germania, si è impegnata a versare un massimo addizionale pari a 789 miliardi … cioè, più dell’intero volume massimo del Ngeu.

Insomma, se è vero che tanto tutti pagano, allora perché alla Germania è stato chiesto di garantire, lei da sola, l’intero Ngeu? Sul 125 Tfeu, Herdegen ha ragione.

L’argomento di Herdegen è talmente buono, da aver attirato l’attenzione di Mario Draghi. Vediamo come. L’unica alternativa alla joint and several liability con il beneficio della divisione, sarebbero le tass€ unionali. E la decisione 2020/2053 relativa al sistema delle risorse proprie prevede, infatti, “una nuova categoria di risorse proprie basata su contributi nazionali calcolati sulla base dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati”. Ma il ricavato non basta. Così, continua la decisione, “la Commissione presenterà proposte relative a un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e a un prelievo sul digitale … il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a presentare una proposta riveduta sul sistema di scambio delle quote di emissione dell’Ue, eventualmente estendendolo ai settori del trasporto aereo e marittimo … l’Unione lavorerà all’introduzione di altre risorse proprie, che potrebbero comprendere un’imposta sulle transazioni finanziarie“. Parole al vento perché, tutte queste nuove tass€ verrebbero considerate dagli Stati Uniti alla stregua di nuovi dazi commerciali e scatenerebbero una ritorsione. Qui è intervenuto Draghi, quando, al Senato ed alla Camera, ha annunciato che la presidenza Biden avrebbe mostrato “una certa quale apertura, una certa quale disponibilità” verso “una soluzione globale e consensuale sulla tassazione digitale internazionale”; per poi aggiungere, in conferenza stampa dopo il Consiglio europeo, che questa è “una cosa … molto importante… un grosso cambiamento”. Cioè, del Ngeu ne riparliamo quando avremo capito come finanziarlo. Egli non pecca di mancato realismo.

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L’articolo 126 – Dice Herdegen che “le regole di Maastricht vengono infrante dal fondo per la ricostruzione. I debiti dei singoli Stati non vengono più conteggiati nel loro rapporto debito/Pil, anzi questo è uno degli obiettivi dell’intero esercizio“. Invocando, implicitamente, la violazione del 126 Tfeu: “se il rapporto tra il disavanzo pubblico e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento … se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento … la Commissione prepara una relazione … etc”.

Già spiegammo su Atlantico in aprile che, dall’inizio, il vero scopo di Roma è evitare di contabilizzare un prestito diretto (come sarebbe quello del Mes) nel debito pubblico. Sostituendolo con un canone annuo, a deficit ma non a debito pubblico. Alla maniera di come fanno le imprese che rifinanziano un mutuo (a bilancio) con un debito leasing (fuori bilancio). Non di federalismo si tratta, quindi, ma di ottimizzazione contabile.

Aggiungevamo come fosse facile, per i tedeschi, rispondere che le ottimizzazioni contabili hanno le gambe corte: Eurostat potrebbe comunque riqualificare il leasing come debito e riconsolidarlo nel gran libro del debito pubblico italiano. Infatti, lo hanno chiesto in dicembre Bundesbank ed in marzo il Bundesrechnungshof.

Pure sul 126 Tfeu, Herdegen ha ragione. Ed il suo argomento è destinato a sicuro successo in Germania dove, da anni, l’Unione è accusata di colpevole lassismo nell’applicazione delle regole fiscali.

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E non è finita – Su tutto questo, è calata la Corte Costituzionale federale di Karlsruhe (una nostra vecchia conoscenza), il 26 marzo, con una ordinanza di sospensione. Ricordando a tutti che, se pure il Ngeu fosse in regola con i Trattati (il che non è), esso dovrebbe pure essere in regola con la Legge Fondamentale tedesca. E, lì, per Bruxelles le cose vanno anche peggio. Come vedremo nel prossimo articolo.

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