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Recovery Plan: l’esca di una grande mangiatoia. Ma di riforme e sacrifici Draghi non fa cenno al Parlamento

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Abbiamo parlato dei tempi dell’eventuale incasso del RF-Recovery Fund. Oggi, vogliamo discutere delle riforme collegate al RF nazionale (o Pnrr): di quelle descritte da Draghi al Parlamento e di quelle altre che egli ha taciuto.

La grande mangiatoia – Draghi ha dedicato la gran parte del discorso a sventolare un’esca. Un’esca fatta di una infinita lista di capitoli di spesa: dagli investimenti “nella crescita dimensionale delle nostre imprese e in filiere ad alta tecnologia”, alla “riqualificazione ambientalmente sostenibile delle strutture dei servizi turistici”, alla “rivoluzione verde e transizione ecologica”, al potenziamento del “servizio civile universale per i giovani tra 18 e 28 anni”, alla “creazione di unità dedicate alle semplificazioni dei processi, alla riorganizzazione degli uffici” pubblici, alla “centralità dello sport”. In replica alla Camera, ha aggiunto “l’investimento parco agri-solare, che sarà realizzato senza consumo di suolo”, nonché 21.200 “punti di ricarica dei veicoli elettrici” e “investimenti nelle batterie”. Insomma, una grande mangiatoia democristiana.

Poi, certo, iniziative lodevoli, come: 6,3 miliardi per banda larga e 5G nella forma di un “contributo statale”, un pochino di TAV, un pochino di edilizia popolare, qualche soldo per l’idrogeno, per le aree terremotate, per la ricerca. Ma a fare la figura dei sopravvissuti alla grande mangiatoia. Lo stesso Draghi ha ammesso che, col RF, “nel 2026, il Pil sarà di circa 3,6 punti percentuali superiore rispetto a uno scenario di riferimento che non tiene conto dell’attuazione del piano”. Cioè niente, per un Paese che ha perso l’8,9 per cento del Pil nel 2020.

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Le riforme – Dopo ben 39 minuti di salmodìa, è giunto alla ciccia: “il Pnrr non è soltanto un piano di investimenti ma, anche e soprattutto, un piano di riforme”. La riforma del processo penale, “la semplificazione delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti”, ovvero “una riduzione dei tempi” della VIA-Valutazione di Impatto Ambientale. Che sono cose buone e giuste. Ma compensate da più onerosi controlli (“un significativo rafforzamento delle attività di ispezione vigilanza nei luoghi di lavoro”) e nuove perversioni (“un sistema di certificazione della parità di genere”).

Poco sulla riforma del processo civile. Zero sulla riforma del fisco (“è presto per dare risposte su quale sarà”). Zero sui tempi di pagamento delle PA. Fra le semplificazioni, ha citato “appalti pubblici e concessioni”, nonché il “completamento degli obblighi di gara per i regimi concessori” … con tanti saluti a ciò che resta dell’industria turistica nazionale.

Infine, egli ha accusato chi si oppone di “corruzione e stupidità” [sic]. In replica al Senato, ha poi sfumato l’accusa in “inerzia istituzionale”, avendo premesso che, sulle riforme, “tutti siamo d’accordo”: qualche parlamentare deve essersi seccato di farsi dare dello stupido e del corrotto, preferendo farsi dare dell’inerte. Un piccolo segnale di dignità, che Draghi si è affrettato a condire con un orpello: “tali cambiamenti si possono attuare soltanto se c’è accordo”. Ma con l’aria di chi dice: vae victis. D’altronde, di 945 e più parlamentari, ha elogiato per nome solo Elena Cattaneo, fatta senatrice a vita da Napolitano.

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Le cose che Draghi ha taciuto – Sin qui, ciò che il novello Brenno ha detto al Parlamento. Ma c’è una infinità di materie delle quali egli, al Parlamento, non ha fatto cenno.

In riferimento al superbonus al 110 percento, Draghi si è limitato a commentare: “tira poco perché le procedure son troppo complesse. Quindi, con un decreto legge che sarà presentato entro il mese di maggio, interveniamo con importanti semplificazioni per far sì che la gente lo possa usare”. Successive indiscrezioni hanno poi chiarito si tratterebbe di imporre il principio del silenzio assenso alle Soprintendenze, nientepopodimeno. Un provvedimento non giusto ma sacrosanto. Ma che è certamente profondamente impopolare a sinistra e, infatti, starebbe incontrando la cocciuta opposizione del ministro Franceschini.

In riferimento al processo civile, come accennato, egli si è concentrato sul popolare tema della velocizzazione. Mentre si è ben guardato dal declinarla nei termini della velocità delle esecuzioni (accelerazione dei meccanismi di recupero dei crediti e rapida espropriazione degli immobili). Debitori, famiglie ed imprese travolte dalla crisi sapranno essere riconoscenti.

In riferimento alla riforma fiscale, come abbiamo visto, Draghi si è rifiutato di parlare. Al contrario, Gentiloni, comparso avanti alle Commissioni Finanze di Camera e Senato, ha offerto un dettaglio importante: essa dovrà “rispondere anche ad alcune storiche sottolineature da parte dell’Unione europea. Prima, la riduzione della tassazione sul lavoro”. Il che sottintende un aumento di gettito da altre fonti impositive: l’Imu sulla prima casa, ad esempio, oppure la cancellazione delle detrazioni fiscali Irpef. Un passaggio talmente importante, da aver innescato una provocazione da parte del senatore Bagnai: “forse, sarebbe opportuno che la Commissione ci facesse sapere quale tipo di riforma desidera che l’Italia attui, in modo da evitare, per l’Italia, di vedersi tagliati i fondi”. Provocazione accolta dall’imbarazzo del povero commissario: “il contenuto di questa riforma non è scritto a Bruxelles … le raccomandazioni dell’Unione europea contengono principi molto generali … mi sembra che siano principi condivisibili che, ovviamente, la Commissione insiste perché obiettivi e tempi siano scanditi in questi piani” … cioè, in definitiva, sì: la Commissione ha già fatto sapere quale tipo di riforma desidera che l’Italia attui. I nuovi tartassati sapranno essere riconoscenti.

In riferimento agli effetti occupazionali della rivoluzione verde, al Parlamento, Draghi si è detto convinto che essa sia “un motore di sviluppo e di occupazione”. Salvo poi ammettere, giorni dopo a Porto, che “il mercato del lavoro sta subendo dei mutamenti straordinari … – e saranno mutamenti importantissimi – dovuti alla transizione energetica e alla transizione ecologica”. I nuovi disoccupati sapranno essere riconoscenti.

In riferimento alla questione dei sussidi cosiddetti ambientalmente dannosi (cioè gli sconti sui carburanti che tengono in vita agricoltura e trasporto su gomma), Draghi si è limitato ad accennare all’ammodernamento del parco macchine dell’industria agricola “al fine di ridurre le emissioni”. Al contrario, Gentiloni ha specificato che l’Unione tali sussidi li vuole proprio “eliminare”. Agricoltori e camionisti sapranno essere riconoscenti.

Gentiloni ha rincarato la dose, rispondendo ad un deputato preoccupato per l’innalzamento del prezzo delle materie prime: “stiamo vedendo, ad esempio, il prezzo del carbone [ma forse intendeva: prezzo dei diritti di emissione di anidride carbonica, ndr] quanto stia aumentando e questo perché i mercati stanno in qualche modo immaginando gli effetti delle misure, sul piano del cambiamento climatico, di cui parliamo”. Le imprese manifatturiere sapranno essere riconoscenti.

Infine, vi sono altri capitoli di riforma, sui quali si sa che la Commissione ha formulato pure altre osservazioni di sostanza al piano Draghi. Un po’ su tutto, in effetti: pubblica amministrazione, semplificazioni, giustizia, contrasto al lavoro nero, concorrenza. Roma avrebbe fatto presente di “chiedere tutto e subito”, cioè non vuole trovarsi tutto scritto nelle osservazioni della Commissione. Ma non è affatto detto che Bruxelles e la commissaria Vestager si accontentino, anzi.

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Di tutto ciò Draghi non ha parlato, nel proprio discorso, al Parlamento. Così si capisce perché i parlamentari prendano per una mangiatoia ciò che è, per molti di loro, una fossa: la fossa della loro carriera politica.