Avrà un tono diverso dal solito l’appuntamento annuale che cade all’undicesima ora dell’undicesimo giorno nell’undicesimo mese, nel Regno Unito e nei territori del Commonwealth: è conosciuto come il Remembrance Day, istituito nel 1919 e contraddistinto dai poppies, i papaveri rossi che compaiono nelle spille sui baveri delle giacche o nelle corone deposte ai piedi dei monumenti eretti a ricordo dei caduti durante la Prima guerra mondiale.
Ormai sono passati cent’anni da quando cessarono le ostilità nelle trincee europee, anche se il conflitto terminerà ufficialmente solo con la rettifica del Trattato di Versailles avvenuta un anno più tardi: è una tappa storica carica di significati che devono sopravvivere al trascorrere del tempo, per evitare che tutta quella tragedia – e le sue conseguenze – diventino solo una data come un’altra da riportare nei testi di storia.
I papaveri rossi sono quelli descritti nei versi della poesia del colonnello canadese John McCrae, dislocato sul fronte occidentale nelle Fiandre, teatro di violentissimi scontri tra le truppe alleate e quelle degli imperi centrali: In Flanders fields the poppies blow / between tre crosses, row on row. Sono diventati il simbolo più popolare del ricordo, assieme alla cerimonia che vede il sovrano depositare al Cenotaph di Whitehall una corona, accompagnato nel gesto dal Primo ministro, dal leader dell’opposizione e dai rappresentanti degli altri stati del Commonwealth, mentre risuonano le note del Last Post, intonato in occasione di funerali militari . Rituali che oggi servono a rendere omaggio ai soldati morti in tutti i conflitti e le operazioni militari che hanno visto coinvolti il Regno Unito e i suoi alleati.
Ovviamente non piacciono a tutti e quest’anno la polemica pare più accesa del solito. Esiste infatti anche la variante dei white poppies, introdotta per la prima volta nel 1926 ed oggi prodotta dalla Peace Pledge Union, la più grande organizzazione pacifista britannica che ha annunciato numeri da record nelle vendite dei papaveri bianchi con la scritta “Peace”, intesi a ricordare tutte le vittime delle guerre, compresi i civili. Scambi di battute su Twitter che hanno coinvolto anche un deputato conservatore, perplessità sugli interventi di personale militare nelle scuole d’Oltremanica e nuove adesioni alla campagna per indossare il poppy alternativo stanno contraddistinguendo le ultime settimane.
Rossi contro bianchi, come se poi ce ne fosse davvero bisogno. I poppies tradizionali non sono un invito ad elogiare la guerra, ma a non dimenticare (Lest we forget) chi ha perso la vita per garantire alle generazioni successive – dunque anche alle nostre – libertà e prosperità, sacrificando le proprie. Sarebbe buona cosa che se lo ricordasse anche il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, che la scorsa settimana, in un battibecco a Strasburgo con Nigel Farage, ha attribuito all’Ue il merito di aver sconfitto nazismo e comunismo (“Grazie a Dio, queste due dittature sono scomparse grazie all’Unione europea”).
La sua uscita infelice e storicamente scorretta manca di rispetto ai soldati Alleati morti per liberare l’Europa dal giogo nazifascista durante la Seconda guerra mondiale, allo sforzo della Nato per mettere all’angolo il Patto di Varsavia durante i lunghi anni di Guerra fredda e si adatta perfettamente e purtroppo ad un clima retorico in cui il senso in sé dell’essere un soldato passa irrimediabilmente in secondo piano, come analizzato nei giorni scorsi su queste colonne da Simone Zuccarelli. Certa politica si vergogna dei militari o le manca del tutto di rispetto, come dimostrò già due anni fa l’allora Primo ministro socialista francese Manuel Valls che difese la corsa campestre di migliaia di ragazzini nel cimitero militare di Verdun ideata per celebrare l’anniversario della fine di una battaglia durata oltre trecento giorni e costata 300.000 morti.
Il buonsenso ci viene ricordato da chi, per questioni anagrafiche, ha vissuto da vicino – se non in prima persona – quegli anni irrequieti e tremendi. “Autunno” è un racconto di Giovannino Guareschi pubblicato per la prima volta il 2 novembre del ’47 sul Candido e ripreso nel libro “Don Camillo”, nel quale Peppone non ne vuole sapere di rispettare l’anniversario del 4 novembre: “L’eroismo, il sacrificio, quello che muore buttando la stampella dietro al nemico in fuga, le campane di San Giusto, Trento e Trieste, il Grappa, la Sagra di Santa Gorizia, il Piave che mormorava, il bollettino della vittoria, gli immancabili destini: tutta roba che puzza di monarchia e di regio esercito e che serve soltanto per montare la testa ai giovani e far propaganda al nazionalismo e all’odio contro il proletariato”. Ma dopo che due corone di fiori, una con la dicitura “il Comune” e l’altra con la scritta “il popolo”, compaiono di fronte del monumenti dei Caduti, un mistero attraversa il paese, fino alla confessione in canonica di Peppone.
Incalzato da don Camillo che sa già dove andare a parare e sotto l’effetto dei continui bicchieri di vino versati in corpo per scaldarsi dal freddo, Peppone finisce per levarsi il pastrano che indossa, svelando la medaglia d’argento che s’era guadagnato in battaglia. “Be’, è un’idea”, commenta allora don Camillo cavando dal quadretto la sua medaglia d’argento e appuntandosela sulla tonaca.
Lest we forget.