Matteo Renzi e il Pd non hanno certamente bisogno di consigli: sanno benissimo sbagliare da soli, e lo dimostrano ogni giorno. Ma, nella cupa assemblea di qualche giorno fa in un albergo-casermone romano, ci sono almeno tre errori macroscopici, altrettanti segnali di totale scollamento dalla realtà, di perdita di contatto con il modo di ragionare degli elettori, delle persone normali, di quelli che – alla fine della fiera – dovrebbero dare il voto a un politico.
Il primo è un classico del renzismo: mai un minuto di autocritica. Qualcuno ha scritto su Twitter ascoltandolo: “Anche oggi Renzi l’autocritica la fa domani”. E infatti tutto il discorso renziano è stato un fuoco di fila di attacchi verso altri: verso Gentiloni (algido, non appassiona, ha sbagliato qui, ha sbagliato là), verso il resto del partito (colpevole di non aver saputo credere-obbedire-combattere), verso i media ostili (lo dice proprio lui, che ha avuto per anni un controllo venezuelano di radio-giornali-tv). È semplicemente incredibile che un uomo che ha avuto tante responsabilità non abbia la lucidità (magari anche solo per tattica, per furbizia, per un minimo di captatio benevolentiae) di dedicare un momento di riflessione sincera alle cose che lui ha sbagliato, che lui non ha capito, che lui ha fatto male. Ed è ancora più incredibile che non ci sia un solo amico sincero, uno della sua cerchia, capace di dirgli: “Matteo, guarda che manca l’altra metà del tuo discorso, quella sui tuoi fallimenti”. Niente, impensabile.
Il secondo errore – anche qui, siamo in una dimensione psicopolitica, cioè legata alla personalità di Renzi – è un egocentrismo smisurato, patologico, ossessivo. Un film di Blasetti del 1953 aveva per titolo: “Io, io, io e gli altri”. Ecco, nel caso di Renzi “gli altri” non arrivano mai, se non come colpevoli di errori. Tutto gira intorno a lui stesso. E, una volta perso il potere, le due classiche manifestazioni di questo approccio egotico ed egoriferito sono prima la propensione a bloccare il partito, quasi per inchiodarlo a una stagione passata, e poi il mito del “comeback”, l’attesa del “grande ritorno”, come se l’Italia fosse col fiato sospeso per sapere quando Renzi tornerà in plancia di comando. Non serve uno psicologo per sapere che la prima domanda (più o meno consapevole) che scatta nella mente di un elettore ascoltando un politico è: “Sta parlando di sé o sta parlando di me?”. Con Renzi il dubbio non c’è proprio: sta sempre e solo parlando di se stesso. Il che è ancora più surreale in tempi di turbopolitica, di politica che cambia ipervelocemente: già la presunzione di indispensabilità è ridicola di per sé (in qualunque ambito dell’azione umana), a maggior ragione diventa tragicomica in un’era in cui i leader politici si consumano così rapidamente.
Il terzo tragico errore di Renzi è la banda che si porta dietro e che lui stesso plasticamente guida, incarna e rappresenta: banda in senso politico, si capisce. Chi scrive è un garantista assoluto: mai e in nessun caso, senza alcuna eccezione, ritengo che si debba fare uso politico di sospetti, illazioni, indagini, eccetera. Il punto, infatti, non è giudiziario, ma di immagine, di atmosfera: se vai in giro con Boschi e famiglia (e se il problema del Pd sembra sempre quello di sistemare la Boschi: un posto sicuro nel governo Gentiloni, un collegio blindato in Trentino Alto Adige, eccetera), forse è un tantino difficile rivolgerti credibilmente a chi è stato toccato dalle crisi bancarie. Se esibisci uno stile di vita (vacanze, ville, vestiti, orologi) impegnativo perfino per lo stipendio che hai (o per lo stipendio che non avevi), forse è un po’ complicato metterti in comunicazione con la parte crescente d’Italia che non ce la fa, che fa fatica. E che fatalmente tenderà a percepirti (non è detto che tu lo sia: ma questa è l’immagine che viene fuori) come il solito furbo che si è “sistemato”.
Sono tre errori elementari e grossolani. E che rimandano tutti alla stessa mentalità, purtroppo tipica sia di molti politici sia di molti osservatori: considerare la politica solo dal punto di vista dei suoi protagonisti, come un videogioco per smanettoni abili e veloci, e non da quello dei suoi fruitori. “Esci da questo blog”, aveva detto efficacemente Renzi a Grillo. Forse è il caso che qualcuno dica a lui, a Matteo: “Esci da questa PlayStation”.