Riaperture limitate: troppo poco, troppo tardi, troppo lentamente. Ma qualcosa si muove, il pressing funziona

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Altro che dati ed evidenze scientifiche, dietro le decisioni c’è (come sempre) la politica: il pressing delle proteste, dei governatori, della Lega, ha pesato più di curve epidemiologiche e di una campagna di vaccinazioni ancora in forte ritardo. Se Draghi non ha avuto più coraggio è solo per equilibri interni alla maggioranza, per non umiliare ministri e partiti chiusuristi… Resta l’assurdo coprifuoco, clamorosamente contraddetto dalle stesse ‘evidenze scientifiche’ sulla base delle quali ora si decide di riaprire bar e ristoranti all’esterno

Ritorno alla casella di partenza, cioè al sistema a zone colorate compresa quella gialla, che era stata cancellata da metà marzo con provvedimento del Governo Draghi. Quindi, sostanzialmente, dal 26 aprile si torna al regime anti-Covid in cui ci trovavamo con il Governo Conte (già oggi, con i criteri validi fino ad un mese fa, ben 11 Regioni sarebbero gialle). Non una grande rivoluzione dunque. È questo il succo delle decisioni della Cabina di regia annunciate nella conferenza stampa di ieri dal presidente Draghi e dal ministro della salute Speranza.

Con qualche timida concessione, a dire la verità, ovviamente importante per gli interessati: l’apertura di bar e ristoranti in zona gialla sia per il pranzo che per la cena, o meglio per l’“apericena”, considerando la conferma del coprifuoco alle 22. Ma solo all’aperto. Rispetto alla situazione pre-15 marzo, i ristoratori in zona gialla “riconquistano” la cena, ma perdono, pare di capire, la facoltà di servire il pranzo al chiuso. Tanto che il direttore di Fipe-Confcommercio ha evidenziato la disparità di trattamento che viene introdotta tra chi ha spazi esterni e chi no, e ha auspicato che duri solo un paio di settimane.

Tutta da verificare nei fatti la linea “aperturista” che riguarda le scuole. In teoria, è la seconda nota positiva rispetto ai mesi scorsi: in presenza le scuole di ogni ordine e grado in zona gialla e arancione. In presenza fino alla terza media e al 50 per cento le superiori in zona rossa. Ma in pratica, bisogna capire se le Regioni potranno o meno emettere ordinanze più restrittive come è accaduto fino ad oggi. Permessi gli spostamenti tra Regioni gialle, ma anche arancioni e rosse, sebbene sia da verificare cosa significhi esattamente il pass evocato dal premier.

Il calendario di riaperture abbozzato dal ministro Speranza, speriamo ancora da definire, è invece ampiamente insoddisfacente. Dal 26 aprile “apericene” e scuole, come detto, mentre per tutte le altre attività se ne riparla a maggio, se non a giugno/luglio. Dal 15 maggio “l’idea è che possano riaprire le piscine all’aperto”, dal 15 giugno le palestre, a luglio le fiere. Troppo poco, troppo tardi, troppo lentamente.

Un segnale politico però è innegabile. Si è invertita la tendenza, si comincia a parlare di riaperture, anche se sarebbe esagerato definirlo un cambio di passo. Con una campagna vaccinale ancora in forte ritardo ma il numero dei vaccinati destinato fatalmente ad aumentare, una curva epidemiologica che si stava già appiattendo nei giorni della stretta e oggi è in discesa, la bella stagione (e gli Europei 2021) alle porte, di coraggio se ne vede davvero poco. E i motivi, di nuovo, sono tutti politici. Riaperture più estese, per esempio la fine dell’assurdo coprifuoco, sarebbero apparse una sconfitta per chi nel governo ha difeso la linea chiusurista, e al contrario una vittoria troppo netta per la Lega, minando così gli equilibri interni alla maggioranza.

L’esempio è il caso Speranza. Draghi ha voluto ribadire la sua fiducia nel ministro della salute, sempre più al centro delle polemiche, anche per l’inchiesta della Procura di Bergamo che lambisce il Ministero, chiarendo di aver ritenuto “fin dall’inizio” le critiche nei suoi confronti “né fondate né giustificate”. “Mi secca un po’ dirlo in sua presenza, ma lo stimo e l’ho voluto io nel governo”, ha ribadito.

Se Speranza non si tocca, è solo per non alterare gli equilibri politici del governo, sostanzialmente per non regalare una vittoria politica alla Lega, ma il ministro è di fatto commissariato, non è più il dominus – con i suoi consiglieri – del regime di restrizioni. È evidente che il premier Draghi ha imposto di dare per lo meno un segnale, che fosse delineato per lo meno un cronoprogramma, che si accendesse una luce in fondo al tunnel, per rispondere al disagio crescente degli operatori economici più colpiti ma anche alla generale insofferenza dell’opinione pubblica, alle pressioni dei governatori e della Lega. E il ministro non ha potuto far altro che piegarsi.

Come ha osservato Marco Faraci, che si parli finalmente in termini di “gestione del rischio”, e non solo di ideologia del “rischio zero”, rappresenta una novità da registrare con favore. Non facciamoci ingannare dal “dipende dai dati” e dal “decide la scienza”. Le scelte sono state e saranno sempre politiche, anche perché questi mesi di pandemia ci hanno insegnato che persino in condizioni epidemiologiche e demografiche simili non c’è un’unica strada possibile, bensì una varietà di approcci tra i quali compiere una scelta, appunto, “politica”.

Purtroppo, dobbiamo registrare il fatto che il governo rimane ancorato a due elementi di continuità che più volte abbiamo denunciato su Atlantico Quotidiano.

Resta, anche se sfumata dai toni più rispettosi del premier Draghi, rispetto a Conte, la spiacevole sensazione che la responsabilità di chiusure e aperture sia scaricata interamente sui cittadini. Sebbene graduali, le aperture saranno irreversibili? Ecco come ha risposto: “Quando ho detto che è stato un ‘rischio ragionato’, la risposta è questa: sulla campagna vaccinale non ho dubbi che sarà sempre meglio; se i comportamenti saranno osservati la probabilità che si debba tornare indietro è molto bassa”.

Dunque, in sostanza no, non sono definitive. Il “rischio ragionato” di cui ha parlato il premier se lo accollano, in realtà, i cittadini, non il governo: se bisognerà tornare indietro, la colpa sarà di clienti ed esercenti che non avranno rispettato i protocolli, e delle forze dell’ordine che non avranno ben vigilato, anche se ovviamente, come in passato, la percentuale delle sanzioni sul totale dei controlli dirà il contrario. Se non vi comportate bene, richiudiamo, è il messaggio. Ma questo è esattamente lo scaricabarile che denunciavamo ai tempi del Governo Conte.

Cosa sta facendo e cosa farà il governo per far sì che non si debba richiudere? Draghi si è detto certo che la campagna vaccinale andrà sempre meglio. Noi ci permettiamo di nutrire qualche dubbio: l’obiettivo delle 500 mila dosi giornaliere somministrate entro il 15-20 aprile è già mancato. A che punto siamo con le cure domiciliari? E il potenziamento dei trasporti pubblici? Il tracciamento?

Insomma, per i nostri premier e ministri aperture e chiusure sembrano non dipendere mai dal “comportamento” e dall’efficienza del governo, ma sempre dal comportamento dei cittadini.

L’altro elemento di continuità è la mancanza di trasparenza, di dati ed evidenze scientifiche a supporto delle misure adottate. Quando si assume un provvedimento che va a ledere libertà fondamentali o il diritto al lavoro, ogni singola misura dovrebbe essere corredata di studi e correlazioni empiriche alla situazione concreta, che dimostrino come il beneficio in termini di riduzione del contagio sia tale da giustificarne i costi economici e sociali. Non basta citare genericamente, in conferenza stampa, l’ultimo studio riportato dai giornali, occorre allegare ad ogni singola norma un’analisi costi-benefici, così che trascorso un certo arco temporale si possa verificarne l’utilità e la proporzionalità.

Con sprezzo del ridicolo, sia il premier che il ministro, per giustificare la decisione di riaprire i ristoranti, ma solo all’esterno, si sono aggrappati al recente studio irlandese – in realtà uno dei molti – secondo cui è assai improbabile contagiarsi all’aperto. Premesso che non ci voleva certo un anno per arrivare a tale “evidenza”, se è così, se all’aperto la possibilità di contagiarsi è molto remota, allora il coprifuoco alle 22 è del tutto insensato e sproporzionato. Il coprifuoco è contraddetto dalle stesse evidenze scientifiche sulla base delle quali ora si decide di riaprire bar e ristoranti all’aperto. Meglio la movida, potendo controllare l’uso della mascherina, che gruppi di adolescenti che si riuniscono in casa per giocare alla Playstation.

Una contraddizione così eclatante che dimostra quanto siano campate per aria molte delle misure restrittive fin qui adottate.

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