Domenica d’agosto che caldo fa, e due giovanotti, Marcell Jacobs e Gaianmarco Tamberi regalano all’Italia due ori olimpici in quel di Tokyo a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro.
Fosse stato ancora vivo mio nonno, appassionato, malato, maniaco delle competizioni olimpiche, che seguiva per giornate intere senza schiodarsi dalla poltrona sudato come uno straccio, in perenne pericolo di pleurite in quanto posizionato, in canotta d’ordinanza e bermuda davanti al ventilatore della casa al mare – un feticcio impresso nella memoria e retaggio della sua campagna di Libia alla ricerca del petrolio mai trovato – avrebbe fatto i salti di gioia.
Ecco, quella generazione lì, quella dei nostri nonni che hanno fatto la guerra senza alcuno spirito anti-italiano, non esiste più ed invece è a quella che dovremmo guardare.
È vero, diciamocelo, siamo il Paese della retorica e degli allenatori nel pallone, oggi tutti coach di centometristi e saltatori con l’asta, ieri virologi e dopodomani esperti di incendi estivi e Canadair: l’italiano non resiste alla tentazione di dire la sua su tutto, ed è probabilmente questo che ci rende così odiosi e tronfi e incomprensibili individualisti agli occhi dei francesi o dei tedeschi o degli inglesi sempre, perennemente, algidi e morigerati e oltremodo nazionalisti.
Il telefono del mio fidanzato ieri era tutto un dlin dlon di messaggi di amici dall’estero che “oh, ma quest’anno voi italiani state vincendo tutto”, con una punta di invidia – che poi è la nostra forza, come direbbero i camionisti. E io un po’ di goduria, sinceramente l’ho provata.
Eppure, da stamattina riecco il solito tran tran della stampetta preconfezionata: e quello è nato negli Stati Uniti, e la percentuale degli atleti di origini miste con stranieri, e chi è ”il vero italiano” e chi no. Per poi passare – scadere – ad indagare sulle storie strappacuore: i padri, i figli, i nipoti ,gli infortuni e l’immancabile cosa hanno mangiato oggi a colazione (no, sul serio: è uscito un articolo nel quale Tamberi si prende gioco dell’altro oro Barshim per il suo miscuglio dolce-salato).
Non una riga, una, su quell’abbraccio che racchiude il senso dello sport, il senso della solidarietà umana, il senso della grandezza di un individuo e il suo esempio, che poi dovrebbe essere il vero messaggio dello sport, olimpico o meno: quello della nobiltà d’animo e della fratellanza anche tra rivali, in senso neanche tanto lato. Tutti abbiamo storie, tutti abbiamo sacrifici, un passato, delle sconfitte, delle rivalse, ognuno di noi ha una sua storia e una sua dignità, tutti siamo diversi ma eguali.
Una medaglia d’oro ex aequo è cosa rara ma, ancor più raro di questi tempi, specie per il suddetto italiano individualista, è accettare di pareggiare qualcosa, qualsiasi cosa. Qualcuno dirà che non potevano fare altrimenti perché sarebbero risultati due meschini, ma di fatto non lo sono stati.
Non sono stati meschini come tutti quelli che invece stanno scatenando una caccia al non vaccinato con quell’indice puntato contro chi vuole mantenere la sua libera scelta riguardo al proprio corpo e alla propria famiglia, anche assumendosene i rischi per sé e per gli altri e accettando persino di limitarsi nei propri diritti per tutelare quelli di un altro. L’azzardo logico, magari un paradosso forse, anche giuridico alla base di questa mia riflessione è che la posizione filosofica è la stessa identica di quell’abbraccio olimpico per la stessa medaglia: entrambi, vaccinati e non, rinunciano a qualcosa per avere tutto tutti. E quel tutto si chiama libertà.
Il presidente Mattarella ha, giustamente, sottolineato il punto che le scelte in contesti privati sono una cosa e quelle in contesti pubblici sono un’altra, ma, così facendo, invece di invitare all’unità nazionale ha creato ancora una volta un senso di divisione, di non accettazione e non condivisione di un comune sentire, che dovrebbe essere primariamente quello di poter vivere in un contesto sociale che protegga e promuova veramente la libertà. Limitare alcuni luoghi e alcune attività ad alcuni cittadini è senz’altro una scelta di responsabilità istituzionale e non ci mettiamo a discuterla, così come non discutiamo che l’invito a non vaccinarsi è un invito – chiaramente iperbolico – a morire, però, forse, va sottolineato che milioni di cittadini vengono esclusi da questo modo di ragionare.
Il presidente Draghi ieri ha chiamato al telefono i neo campioni e gli ha detto “siamo orgogliosi di voi”. Ecco, anche noi siamo orgogliosi di voi e di quello che rappresentate carissimi atleti olimpici, quel valore di eccellenza individuale e di gruppo unito per un obiettivo, quello spirito di unità nazionale che riuscite a evocare nonostante i tempi bui, quel senso di comunità che ci fa ricordare, ogni tanto, di essere tutti cittadini italiani, di essere uniti anche nelle differenze grazie ai valori fondanti della nostra Costituzione. Dovremmo avere tutti lo stesso valore come persone e non essere divisi in persone di serie a e di serie b, siamo fieri di essere italiani, non sarà una malattia o peggio una cura a svuotare la nostra preziosa individualità né a declassare il nostro diritto alla libertà finché saremo orgogliosi di noi, ma di tutti noi.