Tutti abbiamo sotto gli occhi la crisi delle Nazioni Unite, e in particolare del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Per un verso, dinanzi a nodi difficili da sciogliere, l’eventualità di una paralisi inevitabilmente legata all’esistenza del potere di veto. Per altro verso, il rischio di un costante scavalcamento a seguito dei fatti compiuti determinati sul campo – teatro per teatro, emergenza per emergenza – dalle potenze maggiori. Per altro verso ancora, il fatto che intere aree del pianeta non siano o non si sentano rappresentate. E infine, il fatto che molto spesso siano proprio attori non democratici a rivelarsi player decisivi. Su tutto questo, esiste una vasta biblioteca, una pubblicistica sterminata.
Eppure, anche in presenza di un terreno già arato, a Pierluigi Sabatini riesce la bella sorpresa di un saggio innovativo, ricco, direi indispensabile. Un libro che ha almeno tre meriti: l’aver ricollegato i problemi attuali dell’Onu alle visioni geopolitiche che si sono confrontate negli ultimi decenni; poi, l’aver messo sul tavolo in modo ordinato le proposte di riforma esistenti; e infine, rispetto alle quattro ipotesi su cui si concentra l’analisi dell’autore, il fatto di averne valorizzate due, attribuendo a ciascuna di esse connotati originali, interessanti, su cui dovrebbe aprirsi una discussione non più rinviabile.
Conosciamo la fotografia dell’esistente: un Consiglio di Sicurezza con cinque membri permanenti dotati di potere di veto (le potenze nucleari), e altri dieci membri semipermanenti di durata biennale.
Pierluigi Sabatini, “Pace fredda – Potere e democrazia”, Armando editore (2017)
Sabatini, con metodo classico, parte dalle scuole di pensiero, dagli indirizzi geopolitici di fondo. Da un lato, gli autori liberali (da Angell a Wilson a Claude), essenzialmente ispirati all’ideale della pace perpetua kantiana, orientati al superamento degli interessi nazionali e all’istituzionalizzazione via via più forte delle organizzazioni internazionali. Dall’altro, gli autori realisti (da Carr a Morgenthau, fino a Niebuhr e Waltz), più focalizzati sul ruolo degli stati e sulla logica di potenza.
Assumendo questi riferimenti come coordinate cartesiane, Sabatini prospetta quattro ipotesi per riformare l’Onu e il Consiglio di Sicurezza, incrociando proprio i fattori rappresentati da potenza e democrazia. Esaminiamole ad una ad una.
La prima è l’ipotesi Hard Power/Soft Democracy. Siamo di tutta evidenza nel campo del realismo, della potenza. Per questa ipotesi, Sabatini, prospetta due varianti per arrivare alla definizione dei quindici membri del Consiglio di Sicurezza, oltre ai cinque permanenti: o coinvolgere le potenze militarmente più forti (criterio del military power), con ciò responsabilizzando le difese più attrezzate e rendendo le missioni Onu militarmente più organizzate, oppure coinvolgere le economie più potenti, con un elemento correttivo di attenzione alla ripartizione geografica in modo da coinvolgere tutti i continenti, ma confermando un ruolo assolutamente trainante delle potenze economiche maggiori.
La seconda è l’ipotesi Soft Power/Hard Democracy, centrata sull’elemento demografico. In questo caso, oltre ai cinque membri permanenti, per arrivare a quindici occorrerebbe prendere in esame i dieci paesi più popolosi al mondo. Ovvio che ci sarebbe una maggiore rappresentatività della popolazione mondiale; altrettanto ovvio però che a risultare schiacciati sarebbero i paesi europei, per evidenti ragioni di dimensione e popolazione.
La terza è l’ipotesi Hard Power/Hard Democracy, una sorta di bilanciamento tra potenza e democrazia, In questo caso, Sabatini suggerisce di considerare simultaneamente sia l’elemento demografico sia quello militare (o economico, se si preferisce questa variante della potenza). Ad esempio, dovendo coinvolgere altri dieci paesi oltre ai cinque membri permanenti, se ne potrebbero scegliere cinque in base al criterio della popolazione e cinque in base alla potenza (militare o economica). Dal punto di vista americano, sarebbe un modo di aprire di più anche ad altre componenti, senza però sacrificare gli ideali di democracy, di ancoraggio al modello occidentale.
La quarta e ultima è l’ipotesi Soft Power/Soft Democracy, che sarebbe centrata su un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni regionali già esistenti (Organizzazione per l’Unità Africana, Organizzazione degli Stati Americani, Consiglio d’Europa, Asean, Lega Araba, ecc). L’attuazione sarebbe più facile, basandosi su reti organizzative già esistenti, il coinvolgimento sarebbe amplissimo, ma, di tutta evidenza, ci sarebbe una fortissima delegittimazione degli stati nazionali, oltre che una fiducia forse eccessiva in queste organizzazioni regionali sovranazionali già esistenti.
A Sabatini il merito di un quadro preciso e informato, di aver delineato puntualmente pro e contro di ciascuna ipotesi, di aver in particolare inserito elementi innovativi nelle ultime due (comunque la si pensi nel merito), e, se è consentito aggiungere una nota personale, di averci consegnato nella prima e nella terza ipotesi due schemi di lavoro su cui il nostro Occidente dovrebbe riflettere.