Teoricamente dovremmo essere in primavera, ma l’inverno non pare disposto ad andarsene. In Italia, in gran parte dell’Europa e in Nord America, le temperature rimangono piuttosto basse e proseguono in molte zone sia le gelate notturne che i rovesci a carattere nevoso. Insomma, di fatto ancora non c’è la cara primavera che ci offre un po’ di sollievo dopo le rigide temperature invernali, ci consente di spegnere il riscaldamento in casa e di alleggerire l’abbigliamento. Qui qualcosa non torna se diamo ascolto in modo acritico alle teorie del cosiddetto surriscaldamento globale secondo le quali il pianeta si starebbe tropicalizzando, con temperature sempre più elevate, anche nelle sue latitudini più fredde e tutto ciò a causa dell’inquinamento atmosferico.
I teorici della catastrofe ambientale mondiale potrebbero subito obiettare come la fredda primavera 2018 non basti per mettere in discussione le loro certezze, spesso più ideologiche che documentate. Ma se affrontiamo il tema in maniera razionale e senza paraocchi, possiamo pensare anche che vi sia un’alternanza, da quando esiste il mondo, del tutto naturale fra anni particolarmente caldi e torridi ed anni invece, assai più freschi o addirittura freddi, caratterizzati da numerose precipitazioni piovose e nevose. In effetti non esiste un anno uguale all’altro e forse abbiamo a che fare con cicli e cambiamenti climatici fisiologici e spontanei sui quali l’inquinamento dell’aria incide solo relativamente. Non in modo drastico e catastrofico come sostengono alcuni. Non abbiamo la presunzione di esprimere verdetti definitivi, però ci sembra lecito coltivare qualche dubbio in merito ed andare oltre alla vulgata internazionale del pianeta destinato a diventare un forno dal Polo Nord al Polo Sud, a causa magari delle fabbriche o di qualche auto a gasolio. La stessa cosa, ovvero esternare più dubbi che slogan mal documentati, dovrebbe essere fatta dai teorici del surriscaldamento globale.
Il problema è che molti di questi, sebbene la realtà delle temperature suggerisca qualche riflessione in più, non accetteranno facilmente di ridiscutere le loro versioni spacciate per verità assolute, perché su un certo ambientalismo di maniera hanno costruito le loro carriere politiche e giornalistico-culturali. Anche l’ambientalismo di professione ha i suoi interessi da difendere, tanto quanto gli inquinatori o presunti tali del globo. Tutelare il più possibile l’aria che respiriamo ogni giorno è importante e rispettabile, ma quando la difesa di madre Terra viene trasformata in un’ideologia, magari perché altre ideologie del Novecento non sono più presentabili, si fa solo il bene di alcuni a scapito di tutti gli altri abitanti del pianeta. Personaggi scarsi di argomenti che hanno individuato nell’ambientalismo un’occasione per continuare ad avere visibilità e per fare conferenze milionarie. Fra questi spiccano volti autorevoli come l’ex vicepresidente USA Al Gore ed altri meno noti a livello internazionale. Bene ha fatto Donald Trump a sfilare gli USA dagli accordi internazionali sul clima. Anche se ha poi dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero tornare sui loro passi, il presidente americano ha comunque il merito di essersi opposto al politicamente corretto e alla vulgata ideologica del mondo che brucia.
È giusto che soprattutto i Paesi più avanzati tecnologicamente ed economicamente, ricerchino formule sempre più “pulite” per l’industria e il trasporto pubblico/privato, ma non sono accettabili né campagne all’insegna della cosiddetta decrescita felice, destinate a bloccare l’economia e a creare inevitabilmente più infelicità che felicità e né tantomeno divieti indiscriminati o caccia alle streghe verso quei possessori di auto diesel i quali magari, a differenza di Al Gore e di altri ambientalisti milionari, non possono acquistare ogni due anni un’automobile nuova.