C’è “la” piazza e poi c’è “una” piazza. C’è “il” popolo e poi c’è “un” popolo. La piazza, quella “determinata”, di “People”, riunitasi all’ombra del Duomo di Milano per manifestare contro la piazza “indeterminata”, quella che potremmo attraversare in una cittadina qualsiasi d’Italia, l’agorà cattiva, che rappresenta il popolo, il volgo, la pancia del Paese, e non un popolo esemplare (o fintamente tale) privo di pregiudizi e animosità. La novità più importante dell’attuale stagione politica non sta nel registro usato dai protagonisti della scena e, se vogliamo, neanche nella comunicazione resa ancora più celere e diretta dall’avvento dei social, bensì nella necessità di crearsi una platea, più o meno ampia, di seguaci e sostenitori, rifiutando l’idea che al di là di essa esistano altri spettatori.
Si fa presto certo, ad agitare lo spauracchio del regime, soprattutto se la mistificazione del partito avversario è resa ancor più semplice dai mainstream media. Eppure, duole osservare come il “rischio regime” sia divenuto un alibi, al pari del “rischio razzismo”, dietro cui riassemblare una sinistra ormai lacerata da dissidi e innumerevoli correnti.
Viene in mente la denuncia tutt’altro che partigiana, e ancora attuale, di Marco Pannella: l’abuso della legislazione d’urgenza, la mancanza di una regolamentazione del sistema dei partiti, la denuncia della eccessiva subordinazione del singolo parlamentare alla disciplina di partito (così da aggirare il divieto di vincolo di mandato tanto caro a Burke), l’esasperata discrezionalità della Corte costituzionale nel decidere quali referendum ammettere e quali no, leggi elettorali poco rappresentative del volere degli elettori e così via. Problemi e giochi di potere che per anni hanno minato la credibilità e il funzionamento delle nostre istituzioni.
Un regime partitocratico che con i suoi meccanismi è in larga misura preesistente al governo gialloverde e di cui, con onestà intellettuale, quest’ultimo più che corresponsabile ne è l’ennesimo fruitore. Quel “rischio regime” gridato in piazza e paventato in tv da leader come Emma Bonino, non è altro che l’ultimo afflato di un pezzo di vecchia politica corresponsabile dell’ascesa dei cosiddetti “populisti”. Soggetti politicamente disperati che affannosamente cercano di rastrellare una strada già spianata in precedenza.