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Rischioso fare affari con Teheran: un’altra azienda italiana inciampa nelle sanzioni Usa

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 27 ottobre 2019

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Dagli Stati Uniti giunge una notizia – per ora totalmente ignorata dai media italiani – che conferma quanto sia rischioso fare affari con la Repubblica Islamica dell’Iran. Su Atlantico Quotidiano ci siamo più volte occupati, con gli articoli di Dorian Gray (che si è preso una pausa), dei rischi a cui sono esposte le nostre imprese, a quanto pare nel disinteresse delle istituzioni.

Lo scorso 26 marzo il Dipartimento del Tesoro americano ha reso noto che una compagnia con sede in Italia, la Nordgas S.r.l, che produce componenti per impianti e caldaie a gas, ha accettato di pagare ben 950 mila dollari per “estinguere la sua potenziale responsabilità civile” nella violazione delle sanzioni Usa all’Iran. Le violazioni si sarebbero verificate nell’arco di un periodo di circa quattro anni, durante il quale Nordgas avrebbe consapevolmente riesportato 27 spedizioni di pressostati per aria acquistati da una società statunitense e destinati fino a dieci clienti in Iran. Così facendo, Nordgas ha nascosto la riesportazione e i clienti finali iraniani dell’azienda statunitense, inducendola ad esportare indirettamente le sue merci in Iran.

Ma non è il primo caso di una società italiana che incorre in multe per aver violato le sanzioni Usa all’Iran. Nel 2016, come riportato anche da diversi organi di stampa, Banca Intesa fu multata per 235 milioni di dollari per “violazioni rilevanti delle leggi anti-riciclaggio dello Stato di New York e del Bank Secrecy Act“. Tra le accuse, riportava Milano Finanza, anche quella di “attività illecite con l’Iran”, per aver “istruito i dipendenti a gestire operazioni riguardanti l’Iran in modo da poter essere collegati a soggetti sotto sanzioni”.

Nel 2017, a finire sotto indagine fu Unicredit, sempre con l’accusa – questa volta da parte dell’amministrazione Trump – di “potenziali violazioni di regimi sanzionatori statunitensi e questioni relative all’operatività nei pagamenti in dollari statunitensi”. Nello specifico, come riportava Business InsiderUcb Ag, ovvero la controllata tedesca del gruppo bancario aveva ricevuto “una citazione dal Nyda in relazione a passate operazioni che avevano coinvolto alcune società iraniane e le loro affiliate”.

Infine, ricordiamo alcuni casi ancora aperti, non collegati direttamente agli Stati Uniti, ma comunque indicativi dei rischi potenziali nel fare business con l’Iran. Il caso della nave cargo fabbricata in Italia e trasformata in nave da guerra iraniana – la Shahid Rudaki – su cui pende in Parlamento una interrogazione del deputato Antonio Zennaro (oggi alla Lega), ancora senza risposta; e il più recente caso della Alpi Aviation, su cui pendono le accuse di aver violato le sanzioni verso Teheran, vendendo materiale dual use. Sospetti che, secondo quanto riporta Formiche.net, erano già stati avanzati in passato dal Dipartimento di Stato americano.

Insomma, fare affari con l’Iran continua a rivelarsi molto rischioso per tutte le aziende occidentali, italiane comprese, e anche a prescindere dalle sanzioni Usa. Il Paese da alcuni descritto come un El Dorado economico, è in realtà dominato da un regime fondamentalista che primeggia al mondo per mancanza di trasparenza, corruzione, violazione dei diritti umani, assenza di stato di diritto e finanziamento del terrorismo internazionale. Nonostante due tentativi parlamentari, la Repubblica Islamica non ha ancora uniformato il suo sistema bancario alle richieste del Financial Action Task Force (FATF) al fine di garantire che i soldi investiti in Iran non siano riciclati per finanziare il terrorismo internazionale.

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