La vittoria di Bonaccini in Emilia-Romagna e la sentenza della Consulta che ha dichiarato inammissibile il referendum per l’abolizione della quota proporzionale del Rosatellum hanno riproposto alcuni classici imperituri della vita politica italiana: il ritorno del proporzionalismo e l’auspicata nascita di un nuovo centro.
Fautore di entrambe queste ipotesi è il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha parlato della creazione di un “Fronte – o Asse – Progressista” – nulla di nuovo anche qui in realtà – facendo implicitamente capire che dovrebbe coagularsi attorno a un centro rappresentato, naturalmente, da lui. In un passato non molto lontano Conte è stato premier di un governo che, parole sue, si definiva “populista e sovranista, termini inscritti nella nostra Costituzione nella locuzione sovranità popolare”. Sono passati meno di due anni da quel giorno ma Conte ha saputo far valere il suo ruolo a Palazzo Chigi ponendosi come il nuovo rappresentante di un establishment votato a tutto pur di mantenere lo status quo.
Ecco che, di fronte alla “minaccia delle destre” – sempre evocate al plurale – si rispolverano gli aspetti più nocivi della Repubblica dei Partiti: una legge elettorale concepita per i segretari di partito e volta a creare incertezza assoluta dopo il voto, impedendo inoltre ai cittadini di scegliere i rappresentanti sul territorio; la nascita di nuove formazioni personalistiche con percentuali da prefisso telefonico in grado di tenere in scacco governi e parlamenti; e, infine, il riemergere del “centro” come luogo deputato al fare e al disfare di maggioranze di destra e di sinistra alle spalle dell’ignaro corpo elettorale. Un salto indietro di circa trent’anni. Stupisce – ma, in realtà nemmeno tanto – che parlamentari di lungo corso vedano il sistema proporzionale come la panacea di ogni estremismo politico quando la storia ha già ampiamente dimostrato che la frammentazione partitica e l’estremismo prosperano proprio nei sistemi politici che prendono derive assembleari. Le “menti” che hanno partorito il Rosatellum, d’altronde, lo avevano pensato proprio per tagliare fuori i 5 Stelle e si sono ritrovati con l’unico sistema elettorale che consente loro di fare il bello e il cattivo tempo a Montecitorio e Palazzo Madama.
Il centro che ha in mente Conte poi dista anni luce da quello Democratico Cristiano che ha fatto la storia – nel bene e nel male – della nostra Repubblica sin dalla sua nascita. Pur senza condividerne ogni scelta, si può obiettivamente affermare che la Dc ha garantito la libertà all’Italia ancorandola al Patto Atlantico con delle scelte nette e coraggiose; ha portato avanti un’ideologia, quella della dottrina sociale della Chiesa, non senza avere dimostrato indipendenza e anche insofferenza verso le gerarchie ecclesiastiche; ha avuto leader di assoluto livello come De Gasperi, Moro, Rumor, Zaccagnini e Andreotti; ha dato spazio a visioni politiche e intellettuali diverse all’interno del suo stesso partito. Il nuovo centro invece è opportunistico, privo di idealità condivise e si regge sull’ipocrita asserzione della prevalenza del buon senso. È impolitico, perché la politica presuppone scelte e decisioni improcrastinabili. Se ascoltate i suoi fautori leggerete tra le righe l’apologia della paralisi, la difesa dell’esistente, l’arroccamento nelle idées reçues.
Giorgia Meloni fa bene ad annunciare una battaglia a tutto campo contro il sistema proporzionale e in favore di un sistema presidenziale che preveda checks and balances e che costituzionalizzi il ruolo delle minoranze. La stessa Lega aveva capito che per scardinare il sistema bisognava mettere mano alla legge elettorale e riproporre la legge maggioritaria. Chi pensa a loro due come a dei pericolosi estremisti (sic) si accorgerà che è il proporzionalismo il coronavirus che minaccia di mandare a gambe all’aria l’Italia. E che farà proprio il gioco dei protestatari, degli anti-sistema, delle forze che da fuori mirano a conquistare il Palazzo. In fondo, è un film che abbiamo già visto di recente, no?