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Roger Scruton sta al Sessantotto come Edmund Burke alla Rivoluzione francese

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Roger Scruton è stato un filosofo prima di tutto. Certamente il massimo pensatore conservatore degli ultimi decenni, benché sia limitativo rinserrarlo in questa definizione. E del resto basta vedere la vastità degli argomenti trattati nella sua vita, dall’estetica all’architettura, dalla filosofia morale a quella del diritto, fino, ovviamente a quella politica. Una vastità che andava oltre gli specialismi imposti dall’insegnamento universitario, che pure praticò prima nel Regno Unito poi, costretto dall’intolleranza di colleghi e studenti, negli Stati Uniti, e che fanno di lui in qualche sorta un filosofo nel senso classico, greco antico del termine.

La ricerca della verità, in tutti gli ambiti trattati da Scruton, era la sua prima missione, la verità raggiungibile solo attraverso il dialogo, il contatto e l’ascolto della tradizione. Scruton quindi è stato prima un conservatore nel senso ontologico ed etico, e solo successivamente un conservatore in politica. È bene specificare questo aspetto perché, nella storia del conservatorismo politico più volte abbiamo visto invece conservatori in politica che erano poi liberali dal punto di vista etico e materialisti da quello ontologico. Per Scruton invece tutto ciò non è separabile, e la fondazione politica del conservatorismo deve poggiare su una solido basamento etico e morale, da un lato, ontologico dall’altro.

Ma Scruton non è stato solo un conservatore teorico, cioè uno spirito speculativo, che rifletteva sulla politica senza scendere nell’arena, come era stato, per esempio, un altro grande filosofo conservatore britannico, Michael Oakeschott. Scruton aveva studiato nelle università occupate del ’68, anche in Francia, aveva capito che il progetto progressista vuole soprattutto la distruzione di quella cultura, di quelle tradizioni, e anche di quei legami sociali ereditati nei secoli. Quasi due secoli dopo la Rivoluzione francese così aspramente combattuta dal suo amato Edmund Burke, uno dei punti di riferimento di Scruton, la rivoluzione del Sessantotto costituiva una nuova e più temibile minaccia. Da quel momento Scruton divenne anche un intellettuale militante, uno dei massimi nella storia intellettuale delle reazioni al Sessantotto, che ancora attende un suo storico. Militanza di gruppi e riviste che costarono a Scruton posti e incarichi, perché comunque, anche negli anni Settanta, definirsi conservatore nel Regno Unito non apriva proprio le porte. Il suo capolavoro di militanza fu la “Salisbury Review”, un quadrimestrale che negli anni Ottanta fece da barriera non solo agli intellettuali tardo neo marxisti ma anche a certe derive del governo di Thatcher. Come infatti scrive Scruton in uno dei sui ultimi lavori, “How to be conservative”, il conservatore sostiene il mercato ma solo a patto che non distrugga i legami sociali, i valori, la comunità. La critica al capitalismo, per Scruton, era qualcosa di troppo serio per lasciarla alla sinistra.

A costringere Scruton ad abbandonare le università inglesi per quelle statunitensi non è però stato il governo Thatcher, ma la camarilla universitario-mediatica di sinistra che ha cominciato a demonizzare l’attività dello studioso. Tanto più che, ancora negli anni Ottanta, egli si impegnò in prima persona per sostenere i dissidenti dei Paesi dell’Est, attività vista non di buon occhio da molti intellettuali di un Partito laburista molto simpatizzante con l’URSS.

Ma a Scruton, che nel frattempo era diventato, anche grazie al quasi esilio imposto negli Usa, una figura conosciuta a livello mondiale, non andò meglio negli anni dei governi Blair e neppure in quelli del ritorno dei Tories. Fu anzi proprio il governo May a levargli un incarico. Dopo che si era alzata la solita canea politicamente corretta e “diversitaria” per certe sue dichiarazioni del tutto di buon senso sul fallimento del multiculturalismo. Boris Johnson appena insediatosi lo ha subito reintegrato, tanto che non è difficile vedere nella nuova politica del premier conservatore il filone del pensiero scrutoniano, non fosse altro perché entrambi si dividevano sulle colonne dello Spectator.

Perseguitato tutta la vita, il grande Roger ha potuto vedere, nelle ultime sue settimane di vita, che quanto aveva seminato con tanta sapienza e perseveranza, comincia a dare i suoi frutti. A noi, idealmente, continuare sul solco tracciato dal suo aratro.