A urne chiuse la partita in Emilia Romagna si è dimostrata un po’ meno aperta di quanto ci si aspettasse alla vigilia. Va registrato l’ennesimo flop dei sondaggi, che fino al giorno del voto descrivevano un testa a testa ma che sembrano ormai succubi del chiacchiericcio romano e della bolla mediatica. Ma la bolla mediatica questa volta era Matteo Salvini, o meglio la paura di Salvini. È innegabile infatti che ad avvalorare la sensazione di un arrivo al fotofinish non è stata solo la centralità mediatica che anche in questa tornata elettorale era riuscito a conquistarsi il leader della Lega, grazie alle sue doti comunicative e all’ossessione per lui coltivata dai suoi avversari, ma sono stati anche l’allarme rosso suonato dalla stampa di sinistra e il vero e proprio terrore che si leggeva nelle dichiarazioni e nelle mosse dei suoi avversari, che parevano aver ormai messo nel conto di poter perdere anche una storica roccaforte come l’Emilia Romagna.
Non è andata così per una serie di fattori, tra cui probabilmente su tutti quello strutturale: ha retto il sistema di potere della sinistra in Emilia Romagna, sebbene ridotto sempre più all’osso di quattro province (Bologna, Reggio, Modena, Ravenna).
Indubbiamente una vittoria personale del presidente uscente Bonaccini, che chiedeva la riconferma dopo quattro anni certo non fallimentari e che in campagna elettorale ha saputo tenere da un lato la barra dritta sui temi di interesse del suo territorio, dall’altro a debita distanza simboli ed esponenti nazionali del suo partito, mentre come vedremo altri pensavano a rispondere a Salvini sul terreno della sfida “ideologica”.
Nonostante Bonaccini non abbia fatto ricorso al logorato “brand” del suo partito, il Pd ha tenuto, migliorando il risultato delle scorse elezioni europee. Va ricordato però che sulla scheda non erano presenti i simboli di Leu e di Italia Viva e che un ruolo non secondario ha giocato la liquefazione sia del Movimento 5 Stelle che di Forza Italia. La Lega aveva già assorbito probabilmente tutto quello che poteva da queste due forze politiche in profonda crisi, sia pure per motivi diversi. Ci stava quindi che gli elettori grillini rimasti, quelli più orientati a sinistra, che hanno condiviso la scelta di governo con il Pd, si riversassero su Bonaccini in funzione anti-Salvini, e che i pochissimi di Forza Italia si avvalessero del voto disgiunto.
Matteo Salvini ha scommesso fino in fondo sulla vittoria in Emilia Romagna probabilmente al di là delle possibilità di successo che egli stesso intravedeva, personalizzando su di sé la sfida e attribuendo dall’inizio a questo voto un alto valore ideologico (per “liberare” una regione governata da settant’anni dalla sinistra) e un forte significato politico nazionale (per “mandare a casa” il governo Conte 2, come ha più volte ripetuto). Non ce l’ha fatta, ha mancato la spallata e ci sta che oggi lo sconfitto sia lui e a festeggiare siano i suoi avversari non solo a Bologna ma anche a Roma.
Ma è stato un puro azzardo il suo? Vanità e ingordigia politica senza senso? Sarei molto cauto a definirlo un autogol, un grave errore, come sostengono in queste ore gli stessi che quest’estate gli imputavano di aver sbagliato a far cadere il governo. Come hanno dimostrato questi mesi, smentendo chi già parlava di inizio della fine, Salvini non ha affatto perso forza e centralità politica da agosto ad oggi. E probabilmente non si sgonfierà nemmeno dopo questa sconfitta.
Va tenuto in considerazione almeno un aspetto: se non avesse personalizzato, polarizzato e nazionalizzato la sfida di domenica, data la solidità di Bonaccini rispetto alla Borgonzoni, probabilmente il voto in Emilia Romagna sarebbe finito come in Calabria, con una ventina di punti percentuali di differenza, solo a parti invertite, e una ventina di punti di affluenza in meno. E la Lega un risultato così non poteva permetterselo, in Emilia Romagna aveva qualcosa di politicamente molto prezioso da difendere: il 33 per cento preso in questa regione alle europee, solo pochi mesi fa. Tanta roba. Immaginiamo oggi i commenti se fosse finita 50 a 30 con la lista della Lega ferma poco sopra il 20. Certo, Salvini avrebbe potuto nascondersi dietro al carattere locale della consultazione, ma avrebbe in qualche modo disperso un capitale politico e di voti.
Da questo punto di vista la sua scommessa è stata ripagata. Nonostante la sconfitta e la mancata spallata al governo, infatti, il 32 per cento della Lega, oltre il 40 di Lega più Fratelli d’Italia e il 45 per cento di tutto il centrodestra sono dati comunque impressionanti, se pensiamo che si tratta della “rossa” Emilia Romagna e se consideriamo la massiccia affluenza in territorio “ostile”. Perché suggeriscono percentuali ancora più elevate a livello nazionale, confermando i sondaggi più promettenti per la Lega e l’intero centrodestra: se Salvini è al 32 per cento in Emilia Romagna, a livello nazionale potrebbe viaggiare sul 33-35, così come Fratelli d’Italia sul 10-12 e la coalizione intorno al 50 per cento.
Era evidente che personalizzare e nazionalizzare la sfida non poteva essere nell’interesse di Bonaccini, che infatti si è tenuto a debita distanza, ma una volta personalizzata e nazionalizzata da Salvini, ci hanno pensato le sardine a rispondere. Difficile valutarne a pieno l’impatto, ma l’antisalvinismo delle sardine è servito, specularmente al leader leghista, a mobilitare sull’orgoglio un elettorato di sinistra un po’ apatico e rassegnato, che non si sarebbe scaldato per il Pd, né per Bonaccini (come nel 2014), tanto meno per il M5S.
Insomma, era nelle cose che il protagonismo di Salvini avrebbe potuto scatenare la reazione dell’elettorato avversario, maggioritario nella regione, e così è stato, ma il gioco valeva la candela.
Anche rispetto alle possibilità di caduta del governo e di elezioni anticipate, venuta meno la spallata esterna, non si può però escludere del tutto una crisi interna. L’Emilia Romagna espugnata dal centrodestra sarebbe stata probabilmente un’umiliazione troppo grande per non provocarne la caduta, ma sbaglierebbe il presidente Conte a dormire sonni troppo sereni, così come Zingaretti a cantare vittoria per aver tenuto una roccaforte. Scongiurata la spallata di Salvini, infatti, non è da escludere che la vittoria in Emilia Romagna, nei termini in cui si è verificata (l’evaporazione del M5S), accresca anziché ridurre le tensioni interne alla maggioranza. In teoria, 5 Stelle e Renzi dovrebbero temere ancor più di prima il ritorno al voto e aggrapparsi quindi alle poltrone, ma è anche vero che sentirsi troppo messi all’angolo da un Pd rinvigorito e di nuovo “maggioritario” può portarli alla mossa della disperazione o a gesti inconsulti.