A meno di una settimana dall’esito delle elezioni politiche, gli elettori iniziano a batter cassa. “Hanno vinto i Cinque Stelle, vogliamo i moduli per il reddito di cittadinanza”, hanno urlato molti cittadini del Sud che in questi giorni hanno letteralmente invaso i Caf.
La politica assistenzialista, proposta e promessa da Luigi Di Maio, ha un prezzo. Per i grillini, che solo cinque anni fa dicevano di voler “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, non è facile far digerire alla propria base un esecutivo con l’appoggio esterno di un Pd “de-renzizzato”, che ricorda tanto la Prima Repubblica. Peggio ancora un governo di coalizione sempre con il Pd e la sinistra di Grasso e Boldrini, oppure con a un centrodestra a trazione leghista. Vediamo perché.
Da un lato i Cinque Stelle sono il (non) partito più votato nel Paese e il gruppo parlamentare più numeroso ma hanno preso meno voti e meno seggi del centrodestra. D’altra parte, sono anche la forza politica con la maggior capacità di raggiungere una maggioranza nei due rami del Parlamento. Un patto con Matteo Salvini, però, comporterebbe la perdita, in un nanosecondo, di tutto il credito di fiducia ottenuto dagli elettori del Centro-Sud che, sebbene abbiano votato in buona parte anche per la Lega, hanno istanze ben diverse dagli elettori del Nord. Conciliare flat tax e reddito di cittadinanza sarebbe impossibile. Un accordo con gli stessi esponenti che fino alla settimana scorsa appoggiavano incondizionatamente Matteo Renzi e la sua cerchia non funzionerebbe. Anche qualora nascesse un esecutivo grillino sostenuto dal Pd avrebbe un margine molto ristretto, troppo ristretto per garantire la governabilità. Stando ai numeri, un governo M5S-PD-LeU potrebbe contare su circa 320 deputati alla Camera e 159 senatori a Palazzo Madama. Ciò significa che un esecutivo del genere non vedrà mai la luce. Il 90 per cento dei parlamentari Pd sono stati scelti direttamente dal segretario uscente e, anche mettendo in conto che ora lui finisca in minoranza dentro il partito, avrà sempre una quota di fedelissimi che non voterà mai la fiducia a un governo M5S-PD-LeU. Ve li immaginate Pier Carlo Padoan, Maria Elena Boschi e Luca Lotti votare la fiducia a Luigi Di Maio?
Scartata l’ipotesi Di Maio premier, la palla passa a Salvini il quale, a mio avviso, ha tutto da guadagnare con la nascita di un governo M5S-Pd e tutto da perdere se sale a Palazzo Chigi raccattando voti tra i peones dei cinquestelle o tra i renziani delusi. Sarebbe un governo troppo debole mentre un periodo di opposizione, dal punto di vista elettorale, sarebbe salutare per il centrodestra. Chi sta all’opposizione non corre rischi di perdere consenso anzi, solitamente, cresce nei sondaggi. Non dimentichiamo che il centrodestra resta la coalizione più votata e con il maggior numero di parlamentari eletti e, se nascesse un governo Di Maio con “una congiura di Palazzo”, Salvini potrebbe gridare allo scandalo di fronte al “quinto governo non eletto dal popolo”. Viceversa un governo Lega-Cinquestelle non funzionerebbe, non solo per i motivi politici già citati, ma perché non converrebbe allo stesso Salvini che rischierebbe di perdere la leadership del centrodestra e non avrebbe la sicurezza di ricevere l’incarico di premier. Insomma, si sa che due galli (Di Maio e Salvini) nello stesso pollaio non possono convivere. Allo stato attuale, quindi, si può dedurre che quello che appare come il remake di “una poltrona per due” sarà tutto un altro film, con un terzo protagonista ancora sconosciuto.