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Saman, vittima dell’ipocrisia occidentale sull’islam

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Anna Mahjar-Barducci è presidente dell’associazione Arabi Democratici Liberali

Vorrei sentire la stessa veemenza nel ribadire che l’Italia è uno “Stato laico” anche quando si parla di islam e non solo quando si interviene contro l’ingerenza del Vaticano. I media italiani sembravano ben compiaciuti quando l’UCOII ha emesso qualche settimana fa una fatwa per condannare i matrimoni forzati, dopo la tragica vicenda di Saman, senza ricordare a questo organismo che viviamo in uno stato di diritto e che non abbiamo bisogno di opinioni basate sulla sharia, la legge islamica. Non siamo l’Iran, non siamo una regione dell’Isis, non siamo la Gaza di Hamas, almeno per ora, perché se nessuno dice niente – sul fatto che stiamo creando un pericoloso precedente accettando le emissioni di fatwe – allora ci stiamo avviando sulla strada per diventare un Paese in cui le libertà individuali vengono calpestate. 

Gli intellettuali nostrani si scaldano tanto contro il Vaticano, ma nel frattempo lasciano che la democrazia “liberale” occidentale (di cui ahimè è rimasto ben poco) venga erosa quotidianamente nel nome della “tolleranza” (da notare che i nostri intellettuali scelgono che cosa “tollerare” e che cosa no, dato che solitamente poco sopportano il disaccordo). Se infatti oggi la fatwa ci sta bene perché critica i matrimoni forzati, domani però una fatwa può essere emessa per condannare a morte un intellettuale per blasfemia, come ha fatto l’ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1989 contro Salman Rushdie, o per dichiarare “haram” l’emoji che ride su Facebook, come è accaduto la scorsa settimana in Bangladesh. 

E’ chiaro che l’Italia, e l’Occidente in generale, debba risolvere la propria crisi d’intentità. Stiamo vivendo in una società che vuole negare e dissolvere l’identità collettiva occidentale, come se fosse il male assoluto, lasciando invece spazio a comportamenti inaccettabili perché dobbiamo “rispettare l’Altro”. Ma stiamo davvero rispettando l’Altro? Ho visto foto del centro di Torino con donne con il burka, nemmeno il velo, ma il burka talebano. E i nostri intellettuali dicono: “ma è la loro cultura”, “ma se la donna decide liberamente di mettersi il burka è suo diritto”. No, anche se fosse una “scelta” della donna, il burka rimane comunque una imposizione culturale, che rappresenta la negazione della libertà di una persona. Questa non è né tolleranza né libertà di scelta. Non possiamo avere nelle nostre città europee persone con il burka, perché simboleggia l’antitesi stessa della democrazia liberale.  

Sinceramente, sono più preoccupata per il futuro dell’Occidente che non per quello del mondo arabo musulmano. Lo scorso 8 marzo, per la Giornata internazionale dei diritti della donna, le associazioni femminili pakistane sono scese in piazza, sfidando i leader religiosi islamici, chiedendo uguali diritti per le figlie femmine nell’eredità lasciata dai genitori e di mettere fine ai delitti d’onore e ai matrimoni forzati. Nonostante abbiano rischiato le loro vite, migliaia di donne sono andate a manifestare nelle maggiori città pakistane. Ecco, in Italia, dove nessuno rischia la vita per scendere in piazza, dopo la morte di Saman, non ho visto neanche una manifestazione indetta dalle “femministe” nostrane. Ho sentito più parole spese dalle “femministe” per dire che “l’Islam non c’entra niente” con la negazione dei diritti della donna che per difendere i diritti di Saman. Dopotutto, si sa, in Italia siamo tutti virologi quando si parla di Covid, siamo tutti esperti di Medio Oriente quando si parla di conflitto israelo-palestinese, e adesso siamo tutti imam che conoscono il Corano, i Hadith, la sharia, ecc.  

In Occidente siamo arrivati ad un punto paradossale, per cui, per esempio, si è più sicuri in un Paese arabo che non in Europa. Un amico arabo che vive in Francia, molto noto per le sue posizioni contro i Fratelli Musulmani (ma di cui preferisco non fare qui il nome), ha deciso di mandare i propri figli a studiare negli Emirati Arabi, perché nelle scuole a Parigi rischiavano di essere vittime di violenze. Alcuni miei amici ebrei si sono inoltre tolti la collanina con la Stella di David a New York, dopo gli attacchi indiscriminati a Manhattan. A Milano, abbiamo visto dare fuoco alla bandiera israeliana in piazza del Duomo. Il passo successivo sarà vedere ballare la gente nel centro di Milano o di Torino quando ci sarà un attentato terroristico. Dall’altro lato, sono stata recentemente a Dubai, e ho visto musulmani ed ebrei partecipare insieme a una cena di Shabbat in un ristorante kosher. Un paradosso: nonostante gli Emirati non siano una democrazia liberale, sembrano esserci maggiori spazi di libertà che in Italia. A Dubai, così come a Manama nel Bahrein, si può camminare tranquillamente con la kippah in testa e parlare in ebraico per la strada. Ma se mi metto una maglietta con la Stella di David, posso davvero passeggiare per Milano senza che nessuno mi offenda?  

Siamo arrivati a questo punto: ad avere paura. La colpa è soprattutto dei media occidentali, che continuano a dare spazio a voci ambigue o schierate con i Fratelli Musulmani, facendo diventare mainstream quel tipo di pensiero integralista. L’arabo, che invece chiede un cambiamento radicale all’interno del mondo arabo-musulmano, non verrà ascoltato, ma sarà sbeffeggiato, deriso, e apostrofato come “l’arabo di servizio” o “l’imam degli ebrei”, come nel caso di Hassen Chalgoumi, imam della moschea di Drancy a Parigi. Allora l’Occidente, se continuerà a non fare niente per proteggere i propri valori liberali, diventerà ben presto il promotore egli stesso di culture e ideologie che vanno contro i diritti dell’uomo. Saman aveva chiesto aiuto, ma – nel nome della solita “tolleranza” – nessuno l’ha difesa. Per questo motivo, a causa del nostro lassismo, possiamo considerarci tutti complici e responsabili della morte di Saman.

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