EsteriQuotidiano

Sanzioni ed embargo sulle armi all’Iran: l’Ue si allinea a Russia e Cina contro le richieste di Washington

4.9k
Esteri / Quotidiano

Sabato scorso, il Dipartimento di Stato Usa ha annunciato l’avvio del meccanismo di snapback, ovvero il ritorno alle sanzioni contro il regime iraniano sospese dopo l’approvazione della Risoluzione Onu 2231 del 2015. Con questa decisione, per l’amministrazione Usa, ritornano in vigore le disposizioni prese con le risoluzioni Onu 1696, 1737, 1747, 1803, 1835 e 1929.

Ma per Russia, Cina e altri governi, Ue in testa, quello che sostiene Washington non sarebbe corretto. Per Mr. Pesc Josep Borrell, infatti, essendo gli Stati Uniti usciti dall’accordo sul programma nucleare iraniano del 2015 (Jcpoa), non è in alcun modo possibile per loro decidere di ristabilire le sanzioni contro Teheran.

Si scontrano qui due tesi diplomatiche opposte, solo apparentemente difficili da comprendere, ma in realtà molto semplici da spiegare: per Washington, legalmente parlando, l’accordo nucleare di Vienna – noto come Jcpoa – deve essere considerato separatamente dalla risoluzione Onu 2231. La seconda ha sì dato un riconoscimento internazionale al Jcpoa, ma ha un valore legale diverso rispetto a quest’ultimo. Dunque, per gli americani, uscire dal Jcpoa non significa uscire dalla risoluzione 2231. Di contro, per gli altri, questa tesi non vale e abbandonare l’accordo nucleare di Vienna, significa de facto e de jure non avere più diritto di mettere bocca su ogni argomento che concerne l’accordo nucleare con Teheran.

Ovviamente, neanche a dirlo, il regime iraniano oggi sostiene la seconda tesi ed è per questa ragione che Zarif sarebbe dovuto arrivare in Europa qualche giorno fa, con il preciso scopo di rafforzare la posizione di chi vedeva nel Jcpoa e nella risoluzione Onu 2231 la stessa cosa.

Eppure, quando Teheran firmò l’accordo, la posizione diplomatica iraniana era assai differente. Nel 2015, infatti, i diplomatici iraniani furono molto chiari: il loro impegno era solamente verso il rispetto dell’accordo di Vienna, il Jcpoa, e non della risoluzione Onu 2231.

E ciò per una serie di motivi: al contrario della 2231, infatti, il Jcpoa non conteneva alcun allegato che vietava i test missilistici con vettori intrinsecamente capaci di trasportare una bomba nucleare (Annex B, paragrafo 3) e alcun riferimento al bando sull’export e import di armi verso e dall’Iran. Insomma, nel 2015, a Teheran conveniva assolutamente considerare il Jcpoa e la 2231 come due mondi separati, per poter agire liberamente.

A riprova di ciò, si prendano le parole di Abbas Araghchi, vice ministro degli esteri iraniano e uno dei diplomatici più importanti che ha negoziato il Jcpoa. Il 20 luglio del 2015, intervistato dal secondo canale tv iraniano, Araghchi affermò testualmente:

“Il Ministero degli esteri iraniano ha dichiarato esplicitamente che l’Iran non ritiene legettima nessuna restrizione e minaccia. Se la risoluzione Onu 2231 sarà violata dall’Iran, questa sarà una violazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza e non del Jcpoa, similmente a quanto successo dieci anni fa, quando l’Iran ha violato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e niente è accaduto. Il testo del Jcpoa sottolinea il fatto che il contenuto del Jcpoa e quello della Risoluzione Onu sono due cose separate”.

Dunque, furono gli stessi iraniani a confermare la lettura americana del rapporto tra Jcpoa e 2231. Si può uscire dal primo, un accordo tra Paesi che non ha alcun valore de jure, pur restando nella seconda – la risoluzione 2231 – che ha invece valore legale e permette quindi anche agli Stati Uniti di poter invocare l’articolo 11, quello che permette di riattivare le sanzioni. È abbastanza discutibile quindi sostenere che gli Stati Uniti non possano richiedere lo snapback perché non fanno più parte del Jcpoa.

Il testo dell’articolo 11 attribuisce questo diritto agli Stati “partecipanti” al Jcpoa. Per il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, quindi, il diritto americano esiste perché nel 2015 – quando il Jcpoa fu firmato – gli Stati Uniti erano tra i partecipanti. Ovviamente, per chi non la vede come Washington, quel “Jcpoa partecipant State” va interpretato non al passato, ma al presente (gli Usa sono usciti e non godono più di quel diritto).

Come spesso accade nel diritto internazionale, un diritto estremamente difficile da attuare e spesso volutamente vago, stabilire inequivocabilmente chi ha ragione e chi torto è difficile. Resta il fatto, che nel 2015 furono gli stessi iraniani a sostenere implicitamente la tesi che gli americani stanno sostenendo oggi. Se il Jcpoa e la 2231 sono due documenti completamente separati, non c’è alcuna ragione per non considerare ancora gli Stati Uniti come sostenitori della risoluzione Onu.

Infine, la prossima scadenza (a metà ottobre) dell’embargo Onu sulla compravendita di armi con la Repubblica Islamica. È sconcertante che su questo tema l’Unione europea si sia di fatto allineata alle posizioni di Russia e Cina, che hanno tutto l’interesse a vendere armamenti a Teheran. E poco vale, a questo proposito, che come ha ricordato al Senato il sottosegretario per gli affari esteri Merlo, nella Ue fino al 2023 resteranno comunque in vigore dei limiti all’export di armi e software considerati dual use verso Teheran.

A Fox News il segretario Pompeo ha dichiarato che “armi, carri armati, sistemi di difesa aerea, tutto questo, in un paio di settimane, verrebbe permesso di essere venduto all’Iran. E gli europei non si sono uniti a noi su questo. Ci dicono in privato ‘non vogliamo che tornino le vendite di armi’, ma non hanno alzato un dito”.

Una più stringente morsa legale affinché il primo Paese al mondo per sostegno al terrorismo internazionale non abbia libero accesso ad armamenti dall’elevato potenziale distruttivo, anche se di provenienza non Ue, dovrebbe essere un imperativo morale dell’Unione europea. Soprattutto se questo stato, il regime iraniano, sta già violando i limiti sull’arricchimento dell’uranio, possiede già missili balistici capaci di arrivare anche in Europa e dichiara pubblicamente di voler distruggere Israele, un Paese Onu alleato dell’Europa. Considerare la prossima scadenza dell’embargo Onu sulle armi all’Iran come una mera questione burocratica, o peggio un’occasione per fare un dispetto all’amministrazione Trump, è un insulto ai valori su cui l’Ue pretende di fondarsi. Soprattutto se questa scadenza arriva poche settimane dopo le esplosioni di Beirut e nello stesso periodo in cui è stato reso noto che, anche in Italia, Hezbollah aveva nascosto pericolosi depositi di nitrato di ammonio per compiere degli attentati.