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Se gli attacchi alla Lombardia rivelano una diffusa e montante cultura anti-sviluppo e anti-impresa

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La religione del lavoro ai dissennati e monoculturali fratelli lombardi è costata la vita. È questo in estrema sintesi il succo dell’assurdo pezzo di Michele Serra comparso mercoledì scorso nella sua rubrica su Repubblica. Un pezzo che cerca di connettere maldestramente l’esplosione del virus in Lombardia al culto del profitto. Pur nella sua superficialità, la riflessione di Serra deve essere analizzata con il massimo rigore perché rivela un modo di pensare sempre più diffuso nel nostro Paese. Lo scrittore riesce a riassumere in poche righe quel cambio di stile di vita evocato più volte dal premier e da alcuni esponenti del governo. A essere sotto attacco non sono solo i lombardi, considerati come ignoranti automi dediti solo al lavoro, ma anche l’idea di sviluppo economico di matrice occidentale.

Quell’annebbiamento causato dal “dio denaro” a cui ha fatto riferimento il ministro Francesco Boccia parlando degli imprenditori che vogliono riaprire. Serra, infatti, attacca frontalmente la voglia di fare, di lavorare, produrre e guadagnare. Demonizza il profitto che considera come un male, dal momento che ottunde le menti e causa il deturpamento dei paesaggi, producendo quelli che definisce post-luoghi. Da questi rilievi fa così derivare la necessità di cambiare stile di vita. Una prospettiva non del tutto estranea al governo giallo-rosso, considerando alcune proposte avanzate da esponenti grillini: reddito di cittadinanza universale, decrescita felice e promozioni di massa, come esposto dal ministro dell’istruzione Azzolina. Una misura che, certo, è confinata all’anno scolastico in corso ma che potrebbe essere pericolosamente estesa. Contribuendo a costruire la nuova società e il nuovo stile di vita che dovrebbero renderci migliori, come è stato ripetuto a più riprese. Uno stile di vita e una società in cui il merito verrebbe azzerato grazie a una scuola che livella le capacità e i talenti dei propri studenti e a uno Stato che eroga sussidi per tutti, rendendo superficiale il mondo industriale tanto sgradito a Serra. Il lavoro alienante e disumanizzante verrebbe così ridotto o addirittura eliminato in nome di un’uguaglianza garantita da un’abnorme espansione dello Stato che provvederebbe a tutto, azzerando così la libera iniziativa. Un’uguaglianza costruita grazie all’annullamento dell’individuo e delle sue capacità, magari pilotata da qualche santone che indica quali sono i consumi giusti e quelli sbagliati (le tasse sulle merendine, sulle bevande zuccherate e sui voli aerei…), i passatempi, le attività culturali e anche cos’è bello e cosa non lo è. Come il cielo di Lombardia che Serra ritiene brutto rovesciando la nota citazione manzoniana “quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace”.

È chiaro che una svolta socialisteggiante di queste dimensioni necessita tempo e per ora è solo stata teorizzata. Ma i segnali che sono emersi negli ultimi giorni non possono che destare preoccupazione. Le tendenze antindustriali, l’aperta contestazione del modello di sviluppo lombardo, le accuse alla religione del profitto e il culto per i sussidi sono in espansione, coperti da frasi retoriche legate ai cambiamenti che imporrà il virus. Di questo passo non ne usciremo migliori. Anzi…