Draghi ha smesso di fare la sfinge e ha preso a parlare. Ha aperto le danze in conferenza stampa il 19 marzo. Dicendo No al Mes e No al ritorno del Patto di Stabilità, per poi chiosare: “Questa è la politica economica da fare oggi. E, quindi, basta”. Posizioni che conoscevamo già, almeno dal suo discorso di Rimini. Ma delle quali non conoscevamo lo sbocco. Ecco, ora lo conosciamo.
In conferenza stampa, il 19 marzo:
“Bisogna essere un po’, secondo me, pratici. Si cerca di rispondere insieme, di stare insieme. E, indubbiamente, il coordinamento europeo ha un grandissimo valore aggiunto, voi sapete, insomma, che l’ho sempre sostenuto in tantissimi aspetti della nostra politica, sia economica, sia di altri tipi. Ma qui, però, si tratta della salute e, quindi, se il coordinamento europeo funziona si segue il coordinamento europeo, se non funziona bisogna andare per conto proprio. Questo è un po’ il pragmatismo a cui facevo riferimento prima (…) ci vuol pragmatismo. Bisogna prima cercare il coordinamento europeo e poi, sennò, uno fa altrimenti (…) noi siamo un paese fondato sull’europeismo e sull’atlantismo. Quindi, i nostri rapporti, nell’ambito delle nostre relazioni internazionali, non sono in discussione … Ora, il punto è esser pronti, come ho detto prima, a se il coordinamento europeo non funziona (specialmente in questa materia che è la salute), bisogna esser pronti a fare da soli”.
In replica il 14 marzo al Senato, in vista del Consiglio europeo del 25-26 marzo:
“Per quanto riguarda il coordinamento europeo … l’ho detto in conferenza stampa l’altra volta: il coordinamento europeo va sempre cercato, bisogna lavorare continuamente per rafforzarlo. Se non funziona, in questi momenti drammatici dove il tempo è estremamente prezioso, occorre anche trovare delle risposte da soli”.
In replica il 24 marzo alla Camera:
“Più generalmente (ho già, credo, detto questo), il coordinamento europeo va cercato, bisogna far di tutto per rafforzarlo, se non funziona bisogna trovare altre strade. Quindi, in questo senso parlo di pragmatismo. Ma in un senso positivo nei confronti dell’Europa, non metto la ricerca di altre strade prima dell’Europa: non c’è nessun vantaggio in questo perché (ho detto all’inizio) la scelta europea è stata giusta”.
In conferenza stampa il 26 marzo, dopo il Consiglio europeo:
“Quello che ho detto l’altra volta lo confermo perché, insomma, qui c’è in gioco anche la salute degli individui, la vita la morte. Quindi noi dobbiamo sempre cercare il coordinamento europeo, dobbiamo far di tutto per rafforzarlo e, poi, se non si vede una soluzione, è chiaro che dovremo cercare altre strade”.
Insomma, l’Europa è un coordinamento. Che se funziona, bene. Se non funziona, dovremo cercare altre strade. Che vuol dire? Draghi aveva cominciato con bisogna esser pronti a fare da soli. Poi, chissà forse memore del destino del pur splendido Carlo Alberto di Savoia col suo “l’Italia farà da sé”, ha corretto in trovare delle risposte da soli. Espressione più matura e meno enfatica, poi ulteriormente addolcita in trovare altre strade, non necessariamente da soli. Altre dal coordinamento europeo, comunque. Quindi non da soli ma in coordinamento con qualcun altro … che non è Bruxelles.
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Si riferiva alla Sanità? Sì, direttamente sì. Ma, indirettamente anche no. Nel discorso a Senato e Camera, ha dedicato gran tempo a difendere a spada tratta il mercato interno: “Un mercato europeo unico, coeso, con stessi standard” … non con la stessa valuta. Ha continuato, “in sostanza, difendere l’unità del mercato significa difendere le aziende italiane che ne beneficiano in grande misura” … non difendere l’Euro significa difendere le aziende italiane.
Ma il mercato interno è, anzitutto, un blocco doganale e, così, in conferenza stampa post-consiglio europeo, Draghi ha lodato il nuovo presidente americano Biden per aver lì mostrato “la totale fiducia nelle regole multilaterali che presiedono al commercio internazionale”, meritandosi “da parte dell’Unione europea … grande compiacimento, grande soddisfazione che questo dialogo sia stato ripreso con tutti e 27 i Paesi”: cioè, Biden ha mostrato di voler parlare di commercio con l’Unione e non più coi singoli Stati membri come voleva Trump. Insomma, il coordinamento europeo in materia commerciale funziona. Ma di Euro non ha parlato.
Il senso di questi passaggi può essere meglio compreso alla luce di un suo precedente discorso di Lubiana, del 2017 e molto più esteso: il mercato interno è una meraviglia, che ci arricchisce ed aumenta la nostra influenza commerciale nel mondo. Ditto. Aggiungeva che esso aveva “portato direttamente all’Euro” a causa della concorrenza sleale prodotta dalle grandi svalutazioni, sulla quale si dilungava. Poi, però, specificava per bene che l’Euro non è, né una area valutaria ottimale, né un mercato finanziario veramente integrato, né una “unione monetaria completa, cioè una nella quale gli stati membri assumono responsabilità collettiva attraverso istituzioni comuni”. Passarono due anni e, in un successivo e molto breve discorso di Strasburgo, Draghi già intravedeva l’abisso: “in alcuni Paesi, non tutti i vantaggi dell’euro sono stati pienamente realizzati … in parte, poiché l’unione economica e monetaria rimane incompleta”. Sicché, l’osservazione che “l’Euro ha salvaguardato l’integrità del mercato interno” assumeva ormai il tono della sfida. Oggi come allora, Draghi sta dicendo ai tedeschi: se avete deciso di tenere in vita il mercato interno senza l’Euro, ditecelo.
Certo, in Italia ancora in troppi confondono la moneta unica col mercato unico. Così, in replica al Senato, Draghi ha concesso che “il mercato unico non è la risposta a tutti i problemi … non ha sanato le disuguaglianze”. E ha aggiunto che il rimedio può essere nazionale: “c’è un livello nazionale ed è lì che l’azione deve essere prevalente, non tanto che deve venire dai nostri partner” (ha fatto pure un esempio: “se il mercato del lavoro è duale, quella è una responsabilità nazionale non europea”). Ma solo dopo aver ben detto che “a livello europeo forse si comincerà a vedere qualcosa quando si comincerà a parlare di unione fiscale seriamente” … cioè mai. E, siccome a Lubiana e Strasburgo aveva ben spiegato che l’Euro può sopravvivere solo come unione monetaria completa … Cari Tedeschi: se avete deciso di tenere in vita il mercato interno senza l’Euro, a noi va bene.
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Si è concesso parole un pochino più esplicite con attinenza alla politica estera: “L’Italia difende … un po’ dovunque i propri interessi nazionali e la cooperazione internazionale nel campo della sicurezza con i suoi partner strategici. Se vi fossero interessi contrapposti l’Italia non deve avere alcun dubbio, ovviamente, a difendere i propri interessi nazionali. Né deve avere timori reverenziali verso qualche sia partner”. E, coi partner, sull’Euro vi sono interessi contrapposti, innegabilmente.
Certo, ha chiosato: “Mi pare, nel corso della mia vita, di aver sempre dimostrato estrema indipendenza nella difesa dei valori fondamentali, dell’Europa e della nazione”. Lasciando l’ascoltatore nell’incertezza di determinare cosa diavolo c’entrino i “valori” con gli “interessi”. Ma poi ha chiarito, in conferenza stampa post-consiglio europeo: con Cina, Russia e Turchia, “le differenze restano profonde, per quanto riguarda i diritti umani e Biden ha insistito molto sulla franchezza con cui occorre rilevare questa differenza … questo è stato essenzialmente l’intervento di Biden … questo è stato un po’ il filo delle considerazioni di Biden”. Cioè, i valori fondamentali dell’Europa sono argomenti di politica estera: interessi. L’interesse attuale della potenza nostra ultima sovrana. La quale è attualmente interessata ai diritti umani … non all’Euro. L’Euro non è un diritto umano, anzi.
Valori fondamentali dei quali, peraltro, egli fa un uso strumentale. Come notato da Francesco Galietti, con riguardo alla Russia. Di nostro, aggiungeremo il siparietto tenuto da Draghi a proposito di Polonia e Ungheria: dopo aver detto, in replica al Senato, che “l’Europa deve continuare, deve lavorare e continuare anche nei confronti di alcuni suoi membri, anche nei confronti di alcuni Paesi dell’Unione europea”, poi, nella conferenza stampa dopo il vertice, a precisa domanda su Polonia e Ungheria, ha risposto: “Non riesco a rispondere, che non se n’è parlato ieri. Per cui non so che dirle”. Il Gran Signore mangia diritti umani a colazione e, per cena, si fa servire uno studente in DAD. Ci sono 350 varietà di squali, senza contare i banchieri.
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E “l’Europa buona” che ci salva? E i mitici “209 euromiliardi”? E il leggendario Recovery Fund? Beh, li ha messi al Capitolo “iniziative di politica industriale”, Paragrafo “trasformazione digitale”. Avendo avuto cura di collocarli al di fuori della Parte “uscita dalla pandemia”. Di rilevante, ha solo da annunciare che la presidenza Biden ha mostrato “una certa quale apertura, una certa quale disponibilità” verso “una soluzione globale e consensuale sulla tassazione digitale internazionale”, cioè la principale tassa unionale che dovrebbe finanziare il Recovery Fund. In conferenza stampa dopo il consiglio europeo, è tornato a sottolinearlo: questa è “una cosa … molto importante… un grosso cambiamento”. Cioè, del Recovery Fund ne riparliamo quando avremo capito come finanziarlo. Ad occhio, l’uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto.
Abbastanza per lasciare smarriti i senatori del partito “Morire per Maastricht”. Così, in replica, a Draghi è partito il piede sull’acceleratore: “Il progresso dell’Unione europea e, anzi, dell’area dell’Euro, verso un’unione più integrata con l’adozione di un bilancio comune o, comunque, l’inizio di un tragitto verso l’unione fiscale, la discussione delle regole del patto di stabilità: non è previsto nell’ordine del giorno di questo consiglio”, “l’unico cenno che si fa a questo, è il fatto che le clausole di salvaguardia che sospendono le procedure del patto di stabilità (non sospendono il patto di stabilità, sospendono le procedure del patto di stabilità) vengono (si dice) dovranno essere riattivate nel 2023”. E basta. Ludibrio.
Gli è scappato persino di accennare, che lui vuole “un patto di stabilità diverso … regole diverse, che ormai tutti sentono la necessità che lo siano diverse”. Ma è un cenno dal sen fuggito. Gli è scappato. Non ha approfondito. Non gli serviva infierire. Anzi, ai “Morire per Maastricht” ha dedicato i soliti cazzabubboli su “un Vertice Sociale che sarà organizzato il 7-8 maggio dalla Presidenza di turno portoghese”, nonché la “Conferenza sul Futuro dell’Europa che prenderà il via il 9 maggio”: ad essi sono affidate le sorti de “i giovani e l’occupazione giovanile”. Sarcasmo.
La bomba la riservava al dopo. Lanciata da Reuters il 25 marzo, durante il Consiglio europeo, poi fatta esplodere da Draghi nella conferenza stampa il 26 marzo, dove ha elencato i sette modi per dire Eurobond. [1] Il primo è l’Eurobond del ruolo internazionale dell’Euro: “Cos’è che determina il ruolo internazionale del dollaro? Lo determina che il debito del tesoro americano è il titolo finanziario più scambiato nel mondo. Noi abbiamo il debito dei vari Paesi, ma il debito dei vari Paesi non ha quella caratteristica del debito del tesoro americano: cioè di essere completamente privo di rischi”. [2] Il secondo è l’Eurobond dell’unione bancaria (SRF-Single Resolution Fund, EDIS-European deposit insurance scheme): “Abbiamo un’unione bancaria che è stata avviata qualche anno fa con grandi sforzi, ma incontra ancora vari ostacoli”. [3] Il terzo è l’Eurobond dell’unione dei capitali (della quale un safe asset è ingrediente indispensabile): gli Usa “hanno un mercato dei capitali gigantesco … noi non abbiamo un’unione dei capitali, un mercato unito dei capitali”. [4] Il quarto è l’Eurobond del piccolo bilancio dell’Unione europea: “Gli Stati Uniti hanno un bilancio federale e noi non lo abbiamo. Abbiamo un piccolo bilancio che … non è utilizzato in funzione anticiclica, cioè di stabilizzazione dell’economia”. [5] Il quinto è l’Eurobond del Recovery Fund: “Sarebbe una via di mezzo: non c’è il bilancio, però la commissione si finanzia”, ma avrebbe rilevanza solo se l’iniziativa veramente partisse e venisse poi ripetuta. [6] Il sesto è l’Eurobond del Mes (l’EuroMesBond di Quadrio Curzio, il Mes riformato del Delors Centre di Letta): Draghi non lo ha citato il 26, ma già il 19 aveva detto che “il Mes non è una priorità”. [7] Il settimo è l’Eurobond della unione fiscale europea (cioè della Federazione, del Super-Stato): che “non è solo un titolo emesso, ma sta a fronte di un bilancio comune, quindi di una creazione di una istituzione”.
I primi sei sono “risposte non rilevanti ai problemi”: “Ci si ingegna per non affrontare la risposta giusta, che richiede, però, un investimento politico imponente da parte di alcuni Paesi”. Solo il settimo sarebbe “la risposta essenziale”. Purtroppissimo, da più di un decennio, i tedeschi rispondono che non se ne parla: Nein!
Draghi lo sa bene: “All’Eurobond ci si arriva quando ci vogliono arrivare tutti … Siamo un po’ lontani da questo. Ci sono dei Paesi che ancora [sic]. Quindi io non posso fare una previsione”, “il tragitto è molto lungo ed è anche molto molto difficile. Perché i vari Paesi la pensano in maniera diversa … Non so quante generazioni ci vorranno”.
Molte generazioni. E, nel frattempo? Nel frattempo ha detto di volersi accontentare di “un impegno politico, che non è che si concreti domani … un impegno politico che l’Europa marcia in quella direzione” e che mostri la “convinzione generale di tutti … nella prosecuzione di un’integrazione economica, che veda in questo strumento un passo fondamentale”. Ma ha fatto subito capire di star scherzando: “Noi abbiamo un imponente debito pubblico, da continuare a sostenere e da continuare a utilizzare per i nostri programmi di investimento. Ecco, occorre tener ben presenti tutte e due le cose qui, ecco”. E se i tedeschi non le tengono presenti? Eh beh, lo ha già spiegato: dovremo trovare altre strade, non necessariamente da soli.
Di fronte a tutto questo, intuire dove l’ambasciatore Massolo abbia potuto intravedere “una non velleitaria riaffermazione della sovranità europea”, fiutare dove Stefano Folli abbia potuto percepire “l’inizio di un lungo sentiero in Europa, il cui esito sarà quello di trasformare gli equilibri del continente”, richiederebbe doti esoteriche e cabalistiche che non ci appartengono.
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Solo su un Eurobond Draghi ha mostrato di essere possibilista, ma solo in teoria: la via di mezzo del Recovery Fund, “la commissione oggi ha visto ampliarsi i suoi mezzi finanziari, quindi è probabile che questo tipo di finanziamento venga utilizzato anche per altre cose”. Eppure non ne è confortato. E perché? Beh, perché conosce le carte e conosce Karlsruhe. Di entrambe, torneremo a parlare nel prossimo articolo.