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Se il cristianesimo perde la sua identità, e l’Europa resta anestetizzata, la sfida con l’islamismo è perduta

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Nei suoi saggi domenicali, Eugenio Scalfari, dall’alto dei suoi 95 anni, che gli hanno lasciato il dubbio esistenziale ma sempre più acquetato dal costante dialogo col Papa, ritorna costantemente sul messaggio pontificale del Dio unico. C’è, pare esserci, un tracciato nel suo percorso religioso, dominato dal mistero filosofico del cosmo, ancor più che da quello assai più comune dell’aldilà: se c’è un Dio creatore, non può essere che uno solo, se pur adorato in modo storicamente diverso, con un effetto virtuoso di accomunare tutti gli uomini al di là di ogni fede. Solo che questo presuppone anzitutto una concordanza generale sulla stessa esistenza di un Dio creatore, con una proiezione al di là del limite invalicabile del big bang, di fronte a cui si è condannati ad arrestarci qualche attimo prima. Certo la fede salta a piè pari il mistero insolubile, sostituendo la ragione con una convinzione interiore, acquisita dalla nascita o conquistata in seguito, con una voglia di certezza frustrata dalla stessa realtà quotidiana. Quindi Scalfari, riecheggiando il Papa, parla a uomini di fede, sia pur di qualsiasi fede, che abbia un ente soprannaturale unico come referente: ma questo non è così, perché il confucianesimo, il taoismo, il buddismo, non hanno questo come dato acquisito e l’induismo ha un olimpo molteplice e variegato.

A stringere, il discorso riguarda le tre religioni monoteiste, quelle del libro, l’ebraismo, il cristianesimo, l’islamismo, ma qui c’è una prima fondamentale differenza: l’ebraismo ha Jahvè, l’islamismo ha Allah, ma il cristianesimo ha Cristo, sia pur collocato dentro il dogma astruso di un Dio trinitario, poco o niente rilevante per una religione fondata su un Dio incarnato per finire crocefisso a riscatto del peccato dell’ uomo, percepito non come quello leggendario di Adamo, ma come quello di ciascuno di noi nel corso precario del nostro itinerario umano. Qui sta il divario essenziale fra le due religioni che considerano infinito il distacco fra il loro Dio e l’uomo, tanto da considerare al limite impronunciabile e certo non raffigurabile quel Dio, e una che è tutta fondata sul Cristo, visto assai più come uomo che come Dio, un quasi sacrilegio per l’ebraismo e l’islamismo.

Si può anche dire che esiste un Dio unico, ma quello che costituisce il termine del discorso nell’ebraismo e nell’islamismo, costituisce per il cristianesimo solo il principio: non una differenza storica, superabile con una buona dose di ecumenismo alla buona, ma una caratteristica intrinseca del cristianesimo, tanto da essere definito nel nome di Cristo, con a libro non il vecchio testamento, ma il nuovo, il Vangelo, totalmente astorico, non confinato né confinabile al tempo di una società nomade, itinerante nel deserto , fosse quello del Sinai o del deserto arabico; e come a simbolo la croce del calvario.

Se si interpreta il messaggio del Dio unico come un augurio di fratellanza all’insegna della comune umanità, al di là di ogni differenza di qualsiasi natura, ivi compresa quella religiosa, niente da dire, ma questo è già proprio del cristianesimo, cioè appunto del suo spirito evangelico, bene; ma non bene se ne faccia conseguire un appiattimento nel generico e ambiguo concetto del Dio unico di quanto costituisce l’essenza del cristianesimo.

Se il cristianesimo perde la sua identità, la scommessa con l’altra religione espansionista, cioè aperta tendenzialmente a tutti, l’islamismo, è perduta in partenza, perché quest’ultima la conserva con tutta la sua aggressività escludente, il cui fondamentalismo rimasto, largamente protetto da ogni secolarizzazione, domina la più larga parte dei Paesi in cui rimane religione di Stato. Alla situazione di questi Paesi bisogna guardare, dove la negazione della libertà religiosa spesso sconfina in una intolleranza fanatica, con persecuzioni che trovano poco o nessuna eco in una Europa anestetizzata, che crede di poter sopravvivere sulla eliminazione di qualsiasi identità, come se l’unica che le appartiene per una storia bimillenaria non fosse quella cristiana, che ne ha fatto la sede privilegiata della cultura filosofica ed artistica. Non bisogna limitarsi a giudicare dal come si comportano le masse dei musulmani immigrati. Certo, oggi la loro integrazione in una realtà secolarizzata e pluralista è indubbia, ma mantengono rigidamente la loro fede, nel pubblico e nel privato. Che cosa succederà domani, quando saranno una minoranza significativa e fonderanno un partito islamico? Perché no, non l’hanno fatto i cattolici? D’accordo, ma troveranno un altro De Gasperi?

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