Ormai non passa giorno senza leggere notizie che stravolgono le idee correnti sull’America e sulla sua cultura. In altre parole, il politically correct, la gender theory e la cancel culture stanno cambiando radicalmente il Paese e la sua immagine internazionale, tanto da indurci a chiedere se davvero gli Stati Uniti riusciranno a conservare in futuro il ruolo di nazione-guida dell’Occidente.
Ammesso, ovviamente, che l’Occidente liberaldemocratico tuttora esista, e che gli americani – o, almeno, la loro maggioranza – siano ancora interessati a conservare quel ruolo. Domande tutt’altro che peregrine, e alle quali non è per nulla facile rispondere.
Tre notizie recentissime confermano che la crisi culturale e ideologica che ha colpito al cuore gli Stati Uniti minaccia di essere epocale, e non transitoria. Parlo di crisi culturale e ideologica perché essa è nata, cresciuta e maturata in primo luogo nel mondo scolastico e universitario.
È stata innescata dalla presenza sempre più massiccia di insegnanti delle scuole superiori e delle università che hanno diffuso tra gli studenti modelli culturali e letture della storia alternativi, svilendo il sistema valoriale americano e occidentale per esaltarne altri.
Veniamo dunque alle notizie di cui sopra. In una High School del Massachusetts gli insegnanti, adottando lo slogan “Disrupt Texts”, sono riusciti a far passare l’idea che Omero fosse un bieco razzista e sessista, ragion per cui Iliade e Odissea sono state “purgate” ed eliminate dai programmi, pare con il consenso di moltissimi studenti.
Stessa sorte toccherà ad autori più vicini temporalmente come Nathaniel Hawthorne e Francis Scott Fitzgerald, ma in questo caso l’impressione è un po’ minore. Grande sconcerto desta invece il fatto che alla Brown University, nel Rode Island, gli studenti chiedano di abbattere le statue degli imperatori romani Augusto e Marco Aurelio poiché sarebbero “suprematisti bianchi”, mentre al New York Times alcuni redattori propongono di cancellare ogni riferimento ad Aristotele poiché “giustificava lo schiavismo”.
La seconda notizia è, se possibile, ancor più gustosa. Emanuel Cleaver, un deputato democratico del Missouri, nonché pastore protestante e importante esponente della comunità afroamericana, ha concluso il suo discorso inaugurale del nuovo Parlamento del suo Stato con la frase “Amen and Awoman”. Omaggio evidente alla parità di genere.
Tuttavia Cleaver è uomo di Chiesa e avendo 76 anni (è nato nel 1944) dovrebbe pur sapere che la parola amen è ebraica, e ha vari significati, tra i quali i più importanti sono “in verità” e “così sia”. Insomma nulla a che fare con sesso e genere e, soprattutto, niente a che fare con la lingua inglese. Si è quindi scatenata, giustamente, una bufera. Il buon Cleaver conosce, da pastore evangelico, l’etimologia di amen? Parecchi ne dubitano, ma ciò getta un’ombra sinistra sulla qualità dei politici Usa che amano definirsi “progressisti”.
Terza e ultima notizia. Dopo mesi di proteste e petizioni della locale comunità afroamericana, il sindaco democratico di Boston ha infine accolto la richiesta di rimuovere dalla metropoli del New England la statua di Abraham Lincoln. Sembra che per ora non sia stata abbattuta, ma solo trasferita nel vicino District of Columbia, in attesa di conoscere la sua sorte.
Strano destino per il presidente che dichiarò guerra alla Confederazione Sudista e la vinse ponendo così termine alla vergogna dello schiavismo. Odiato per questo dai razzisti bianchi, uno dei quali lo assassinò. Ebbene, gli autori della richiesta leggono la storia in modo alternativo, giacché per loro anche Lincoln era uno sporco razzista, che in effetti agì solo per opportunismo.
In realtà mise in gioco, rischiando molto, l’unità della nazione scatenando una guerra civile lunga e sanguinosa pur di porre termine alla schiavitù. Tuttavia i fautori della cancel culture, tra cui si collocano fior di accademici, non esitano a insistere e senza dubbio in breve tempo Lincoln finirà tra gli obiettivi degli abbattitori di statue, al pari dei generali che servirono la Confederazione Sudista.
Si rammenti, infine, che la pervasività del politically correct ha toccato persino i cartoni animati più classici della Disney, da Peter Pan a Lilli e il Vagabondo, da Gli aristogatti a Il libro della giungla. Difficile ormai vederli in tv perché la Disney si è adeguata alle regole della correttezza politica facendoli precedere da note informative. Vi si spiega, per esempio, che gli indiani di Peter Pan forniscono una rappresentazione derisoria dei nativi americani, mentre ne Il libro della giungla la scimmia King Louie canta in stile “dixieland” e sarebbe pertanto un’altra rappresentazione razzista e caricaturale degli afroamericani, aggravata pure dalla pigrizia del personaggio animato.
Che dire, è davvero difficile tornare indietro quando si tocca un livello così basso. Cos’altro dovremmo attenderci? Forse che qualche fanatico della cancel culture imiti quanto fecero i talebani distruggendo le statue di Buddha in Afghanistan. Qualcuno potrebbe raggiungere il Monte Rushmore e distruggere con la dinamite i volti di George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e dello stesso Abraham Lincoln. Nessuno di essi, a ben guardare, si salverebbe dalla mannaia del politically correct.