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Se la pandemia fa riemergere pulsioni anti-moderne e autoritarie

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Cresce la preoccupazione per i danni irreversibili che il prolungato lockdown causerà al sistema economico e produttivo del nostro Paese. Cresce, ma non quanto dovrebbe. Siamo infatti preda di una sorta di isteria collettiva che sta oscurando la mente dei cittadini, sottoposti a un bombardamento mediatico senza precedenti.

Il noioso hashtag #iorestoacasa è diventato virale in tv e nei social network. Ogni rete propone a getto continuo talk show diversi solo in apparenza ma in realtà tutti uguali, perché dedicati esclusivamente al tema della pandemia, con la partecipazione maggioritaria di protagonisti del mondo dello spettacolo la cui competenza, in materia di coronavirus, è inesistente.

Siamo insomma, non solo in apnea, ma anche piombati in una realtà che più virtuale di così non potrebbe essere. Ci illudiamo di vivere ancora nel mondo empirico e invece, a poco a poco, ci stiamo trasferendo in una piattaforma Rousseau moltiplicata all’infinito.

Nel mondo dell’istruzione si sente la strana proposta di rendere in modo definitivo digitali le lezioni a scuola e all’università. Sai quanti disturbi si risparmierebbero con una simile rivoluzione? E finalmente tutti gli atenei diverrebbero telematici, un grande sistema virtuale che prescinde dal contatto tra maestri e allievi.

Nessuno intende sottovalutare i pericoli del virus, ma è giunto il momento di dire che stiamo esagerando. Contrapporre l’esigenza di salvare vite a quella di non affondare una volta per tutte un sistema economico e produttivo già asfittico di per sé, significa impostare il problema in modo scorretto.

Certamente salvaguardare la vita degli anziani è importante. Qualcuno, tuttavia, pensa a quanto nuocerà questo blocco completo alle giovani generazioni? Saranno loro a pagare il prezzo di un debito pubblico stratosferico e, con le proposte che circolano, tale debito è destinato a crescere ancor più, in modo esponenziale.

Dunque, stiamo assistendo a una richiesta sempre più pressante dell’intervento statale in ogni settore, quasi che le casse dello Stato potessero riempirsi a comando. Tale intervento, infatti, richiede anche la copertura finanziaria, e non si capisce davvero da chi possa essere garantita.

Per di più i continui decreti governativi ci stanno conducendo a uno Stato di polizia, dove la vita privata viene controllata in modo minuzioso. Smartphone per tracciare i movimenti, braccialetti elettronici per chi usa ancora i vecchi cellulari, droni che controllano dall’alto dove andiamo e quando. E, per finire, un predominio assoluto del governo sul Parlamento.

A rendere ancora più preoccupante la situazione è il fatto che, mentre pressoché tutte le filiere produttive sono bloccate, si leggono molto spesso articoli in cui viene espressa soddisfazione perché il lockdown ha abbattuto i livelli di inquinamento. Non mancano neppure gli appelli che invitano a ritornare a una “società rurale” e preindustriale.

E qui il campanello d’allarme suona fortissimo. I fautori della “decrescita felice” in Italia sono sempre stati forti, ma si dovrebbe rammentare ai giovani che la società rurale di cui sopra non era affatto bucolica e perfetta, poiché in essa gran parte della popolazione faceva la fame.

La pandemia ha fatto riemergere pulsioni anti-moderne che da noi sono sempre state presenti. Pulsioni che trascurano quanto scienza ed economia di mercato abbiano cambiato in meglio la vita quotidiana. Più che la Cina di Mao Zedong, gli attuali antimoderni rammentano la Cambogia dei Khmer rossi di Pol Pot. Inseguendo la purezza della vita rurale, e adottando un marx-maoismo duro e puro, fecero morire due milioni di persone in solo 3 anni per inseguire il loro folle sogno.

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