Una volta acquietatesi le acque vale la pena di ritornare alla vicenda della professoressa che ha fatto passare un video in cui si paragonava la promulgazione delle leggi razziali con quella del decreto sicurezza, con a sottofondo l’omologazione a Mussolini di Salvini, così da beccarsi da parte dell’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari una sospensione dall’insegnamento e dallo stipendio di due settimane. Lo svolgimento della vicenda ha avuto un andamento tipicamente italiano, con una tumultuosa protesta da parte dell’opposizione di sinistra e dei mass-media “indipendenti”, che ne faceva una eroina della libertà di insegnamento, esercitata col rispettare fino in fondo la libera espressione di opinione da parte degli studenti. Ovviamente il destinatario era Salvini, come se fosse stato lui a imbeccare il dirigente, ma questi, con il fiuto che lo caratterizza, ha giocato d’anticipo, andando a trovare la suddetta, intrattenendola in un cordiale colloquio debitamente pubblicizzato, sì da togliere l’arma dalle mani dei suoi oppositori. Ma così ha inizio a una sorta di beatificazione congiunta della nostra eroina, conclusasi con la pessima figura dello stesso dirigente, elevato a capro espiatorio, con conseguente atto di pentimento, cioè il ritiro della sanzione. Il costo, niente di che, lo sputtanamento di quel che doveva essere considerato un fedele servitore dello Stato, precedente significativo di un permissivismo illimitato a doppio taglio, cioè una forzatura utilizzabile, oggi, a sinistra e, domani, a destra. Il messaggio è nudo e crudo, d’ora in poi ogni dirigente dovrà badare ai fatti suoi, facendo propria la morale delle tre scimmie, una non vede, una non sente, una non parla.
Solo che la vicenda ha qualcosa d’altro da dire. Si è letto in questi giorni l’appello di molti intellettuali contro la penalizzazione dell’insegnamento della storia, con cui sono perfettamente d’accordo, perché anche lo studio del diritto richiede di collocare il presente sullo sfondo del passato. Ma chi la dovrebbe insegnare la storia – almeno nella presentazione dei fatti, perché senza conoscerli non è possibile valutarli – confrontando le varie interpretazioni date dagli esperti del settore? A quanto sembra non l’insegnante che dovrebbe farsi carico di quella materia, consegnata intonsa nelle mani di studenti, nati tutti dopo l’inizio del secondo millennio, privi di memoria personale sul secolo precedente. Chi allora? I mass media che, quando va bene, forniscono una lettura orientata di opinionisti schierati più o meno apertamente, con un aristocratico disdegno per una ricostruzione degli avvenimenti, oscurati da tesi interpretative personali?
Una qualche risposta paradossale è fornita dalla conclusione della vicenda. Perché equiparare le leggi razziali al decreto sicurezza, poteva agire in entrambe le direzioni, cioè di magnificare la nostalgia fascista di Salvini, ma anche di ridimensionare la portata delle stesse leggi razziali. Se le stagioni erano le stesse allora l’antisemitismo delle prime doveva essere né più né meno del razzismo di Salvini, quindi una cosa relativamente da poco, rispetto al considerarle una collaborazione consapevole nella tragedia dell’Olocausto. Cosa, questa, ben percepita da una persona che l’aveva vissuta in prima persona, la senatrice Segre, la quale in tutta fretta convoca la professoressa e i suoi studenti al Senato, per, poi, dopo averla abbracciata ed essersi complimentata per la fermezza dimostrata, spiegare a tutta la classe cosa siano state effettivamente in sé e nelle loro conseguenze le leggi razziali. Alla fine gli studenti intervistati si dichiarano soddisfatti di aver saputo da una anziana signora, che occupa la sua vita a far testimonianza nelle scuole, quel qualcosa che avrebbero dovuto sapere dalla loro insegnante, sia pure in maniera più dialogante.
Dunque è accertato, l’insegnamento della storia non tocca più all’insegnante, che si limiterà a prendere atto della libertà di opinione esercitata da adolescenti, ancora bisognosi di aver briglie abbastanza strette sulla loro naturale irruenza e superficialità. No, occorre che intervenga qualcuno che sia abbastanza autorevole per la testimonianza personale e la carica rivestita. Una volta che quel qualcuno sarà morto, che succederà della memoria delle leggi razziali? Se c’è una morale amara da trarne, impallidirà fino a sfumarsi sullo sfondo, come una cosa cattiva, ma non la prima né l’ultima.