Regola numero uno: cercare di capire, più che demonizzare. Regola numero due: provare a costruire un’agenda e un’iniziativa in positivo, anziché limitarsi a deplorare lo stato di cose esistente, o a biasimare i comportamenti altrui.
Queste due elementari regolette dovrebbero guidare gli osservatori occidentali anche nell’analisi di quanto è accaduto (pure in rete, pure sui social media) nei dieci giorni a cavallo tra l’attentato di Salisbury, le elezioni in Russia, e le settantadue ore successive a quel momento elettorale.
Lasciamo da parte (oggi) ogni contrapposto giudizio su Putin e sulla Russia. Atlantico (pur senza russofobia) ha le sue opinioni critiche, che abbiamo più volte espresso. Altri, da varie sponde (anche insospettabili) sembrano sensibili alla fascinazione putinista, e tendono a condonare a Mosca molte cose, forse troppe. Altri ancora, saggiamente, osservano che è difficile applicare alla Russia parametri occidentali. E infatti non si tratta di questo: ma – complessivamente – di capire come l’Occidente intenda riprendere una iniziativa e rinnovare la sua leadership in tutti i teatri dopo otto anni di generale arretramento obamiano (arretramento politico, militare, morale) che hanno determinato un vuoto. E poiché i vuoti vengono inevitabilmente riempiti, una serie di attori diversi tra loro (Cina, Iran, Russia, e su un altro piano la galassia dell’estremismo islamista) hanno approfittato di quel “vacuum” per guadagnare terreno. Ecco, sta all’Occidente – senza isterismi, senza fughe in avanti, ma anche senza sottovalutazioni – recuperare centralità.
Vale anche sul terreno dei social media, di una strategia di comunicazione (senza ipocrisie: di propaganda) che ci vede in questo momento paradossalmente soccombenti, culturalmente, rispetto a fortissime tendenze anti-occidentali.
Lo dico (anche qui) senza demonizzazioni, ma solo per descrivere una realtà, per capirla. Prima tappa. Su una serie di pagine Facebook e profili Twitter molto “militarizzati”, professionali, non improvvisati, in lingua non italiana, subito dopo i fatti di Salisbury, è partita una chiara operazione di propaganda pro-Putin, volta a mescolare mezze verità, mezze falsità e paragoni scombiccherati: “… e allora le armi di distruzione di massa in Iraq?”, “… e allora le campagne dello stato di Israele?”. Più il più classico degli esercizi dei regimi, quando sono accusati di alcune malefatte: “… ma perché avrebbero dovuto colpire Skripal, un pensionato, una ex- spia?”. Seconda tappa: nel giro di dodici ore, quegli argomenti, quelle parole, quegli interrogativi, sono stati – pari pari – rilanciati anche in lingua italiana da una serie di ben identificate pagine Facebook e profili Twitter di propaganda. Terza e ultima tappa: sono bastate altre dodici ore affinché una serie di persone (in buonissima fede e spontaneamente) facessero a loro volta propri quegli argomenti, li ritwittassero, li condividessero nei loro profili privati.
E’ un meccanismo limpido e perfino elementare: nel grande mare della rete, basta inserire in modo sapiente alcuni contenuti, che altri (“spintaneamente” e in modo preventivamente organizzato) li rilancino lingua per lingua, paese per paese, e infine ci sarà chi (lo ripeto ancora: in buonissima fede) farà il resto, dando ulteriore diffusione alla contro-informazione, e aggiungendo legittime (anzi: stralegittime) osservazioni di adesione, consenso, eccetera.
Ecco, anziché piagnucolare, il nostro Occidente dovrebbe fare lo stesso, naturalmente usando gli strumenti della verità e gli argomenti della libertà. Un esempio? Raccontare le bugie di Putin sulla Crimea e sull’Ucraina, le minacce (cyber e non) verso i paesi baltici, i rischi per il futuro, dieci anni di lavoro russo (riprendendo il peggio della tradizione sovietica) nei laboratori di armi chimiche e batteriologiche, più gli incredibili risvolti di una eventuale guerra cyber che potrebbe mettere in ginocchio (nel cuore del nostro Occidente) ministeri, ospedali, sistemi di pagamento, banche, reti elettriche…
Raccogliendo il vero, non il falso. Costruendo materiali (scritti, audiovisivi, anche in forma di infografica) che siano fruibili. Che non siano solo intellettualmente convincenti, ma che abbiano anche una efficacia emotiva. E’ solo un esempio: ma credo che una nuova semina di libertà e di democrazia si faccia anche così. Smettendo di piangere per le attività altrui, e giocando (con maggiori argomenti e maggiore buona fede) al gioco che abbiamo lasciato – per nostra responsabilità – agli autocrati del nuovo secolo.