Premessa: quella che qui di seguito viene illustrata vuole essere una strategia realista per l’Italia nelle sue relazioni con l’Iran. Non è la strategia che preferisce chi scrive – contrario all’accordo sul programma nucleare iraniano (JCPOA), perché pieno di lacune e omissioni – ma è una strategia basata su quello che c’è oggi sul tavolo, sulle attuali condizioni diplomatiche, sulle pressioni dell’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini e, soprattutto, sul tentativo di far conto con la realpolitik pur preservando le relazioni con Washington.
Le posizioni sono chiare: l’Unione europea e la sua rappresentante Mogherini non intendono seguire quanto deciso dal presidente americano Donald Trump. Peggio, vogliono creare un meccanismo legale che consenta alle imprese europee di mantenere il business con Teheran e di aggirare le sanzioni secondarie nuovamente approvate dall’amministrazione Usa. E’ una scelta folle, non solo considerando il valore dell’interscambio tra Ue e Usa, ma anche perché – al di là delle posizioni politiche – il regime iraniano è quello che è: un regime, appunto, con altissimi livelli di corruzione interna e il primato di riciclaggio di denaro a fini di finanziamneto del terrorismo internazionale. Questa però pare essere la scelta, preservare l’accordo nucleare sembra essere il mantra di quasi tutti i Paesi Ue, Italia compresa.
Per quanto riguarda l’Italia, la posizione sembra ondivaga: per un verso, come ribadito anche ad India Times dal premier Giuseppe Conte, Roma vuole preservare il JCPOA e mantenere le relazioni commerciali con l’Iran. Per un altro, sempre citando lo stesso Conte dopo l’incontro con Trump del 30 luglio 2018, l’Italia è disponibile a valutare nuove informazioni di intelligence da parte americana sul nucleare iraniano e assumere, se necessario, una posizione più rigida.
Come conciliare queste posizioni? Come mantenere il JCPOA senza far infuriare Trump, un partner necessario per il governo italiano, soprattutto oggi che i Btp nazionali sono quasi al livello “junk”? Difficile delineare la strategia perfetta, ma forse un abozzo è possibile darlo. Questa strategia per il Governo Conte – o meglio il Governo Salvini-Di Maio – dovrebbe avere un doppio binario, anzi triplo. In primis, un binario positivo: usciti dall’accordo nucleare, gli Stati Uniti non hanno più voce in capitolo nel Procurement Working Group (PWG), ovvero il gruppo di lavoro creato dopo l’approvazione della risoluzione Onu 2231 che, teoricamente, ha il compito di monitorare e approvare il materiale venduto a Teheran, soprattutto se dual-use. Ad oggi, il PWG ha fatto pochino e non ha potuto fare nulla contro i canali illegali per mezzo dei quali, ancora oggi, Teheran continua a ottenere il materiale di cui ha bisogno per il programma nucleare e quello missilistico. L’Italia è però formalmente ancora dentro il PWG. Ergo, Roma può farsi promotrice di una maggiore partecipazione a questa commissione congiunta, premendo affinché faccia davvero un controllo più rigido, invitando gli altri Stati a comunicare adeguatamente i loro accordi con Teheran. Non è un compito facile, ma sicuramente gli Stati Uniti gradirebbero.
Secondariamente, un binario negativo: il Financial Times riporta che, nonostante le pressioni della Mogherini, ancora nessun Paese europeo ha accettato di ospitare formalmente il canale legale che dovrebbe garantire il meccanismo Ue di aggiramento delle sanzioni americane. Ecco, ciò che l’Italia deve fare è continuare a dire no a queste offerte, soprattutto se qualcuno proporrà di usare il canale Invitalia – creato ad hoc dal Governo Gentiloni in Legge di Bilancio 2017 – per garantire la linea di credito europea con Teheran. Quel progetto deve essere dimenticato, sia sul piano nazionale che, soprattutto, come sponda europea alla strategia della Mogherini.
Un ultimo binario, il terzo, tocca anche l’Iran indirettamente: la guerra commerciale tra Washington e Pechino è una cosa seria. Non è uno scherzo o qualcosa su cui accettare di chiudere un mezzo occhio (leggasi Russia). Inserire la Cina nelle infrastrutture critiche del Paese – 5G e Alitalia – non è solo una questione di scelte economiche, ma soprattutto geopolitiche. Su queste scelte, ogni oscillazione può costare davvero cara, specie ad un Paese del Mediterraneo come l’Italia che oggi, più che mai, ha bisogno della Nato.