Dittature e regimi autoritari hanno sempre utilizzato i grandi eventi sportivi a fini propagandistici. Tutti citano al riguardo le Olimpiadi del 1936 a Berlino, che fornì a Hitler una passerella ideale per proiettare un’immagine positiva del nazismo. A parte qualche piccolo “incidente”, come le quattro medaglie d’oro vinte dell’afroamericano Jesse Owens, che al fuhrer rovinarono la festa.
Ma ci sono stati altri casi più recenti. Ai tempi della Guerra Fredda, le nazioni occidentali e quelle alleate dell’URSS entravano in competizione anche per dimostrare al mondo che i rispettivi sistemi socio-politici erano migliori di quelli degli avversari. È facile rammentare, al riguardo, il grande entusiasmo dei militanti del PCI a fronte di ogni vittoria degli atleti sovietici, della DDR etc. Lo sport, insomma, usato quale arma di lotta politica.
Oggi i due vecchi blocchi non ci sono più, anche se la Nato mantiene un certo ruolo come scudo occidentale, mentre la Federazione Russa sta implementando gli accordi militari con molte ex Repubbliche sovietiche, come si è visto di recente in Bielorussia e Kazakistan.
Del tutto naturale, quindi, che la Repubblica Popolare Cinese stia sfruttando i giochi invernali attualmente in svolgimento a Pechino per “rinfrescare” la sua immagine internazionale, molto appannata dopo l’incidente (ancora misterioso) di Wuhan, la repressione del movimento democratico a Hong Kong, e la persecuzione contro i tibetani e gli uiguri musulmani dello Xinjiang.
Geniale la trovata di far accendere il braciere olimpico proprio a un’atleta uigura, la fondista Diniger Ylamuijang. Si sarà accorta, costei, che il suo gesto aveva una grande valenza propagandistica, giacché intendeva dimostrare che la persecuzione – o il genocidio, come molti preferiscono dire – degli uiguri è un’invenzione della propaganda occidentale, che ricorre a una caterva di fake news per screditare il regime cinese e la sua natura comunista?
Eppure i lager cinesi, i celebri laogai, nello Xinjiang ci sono per davvero, così come in Tibet e in alte regioni “autonome” del grande Paese asiatico. Pechino vuole però dimostrare che si tratta di semplici prigioni in cui i detenuti, quasi sempre dissidenti, trascorrono le loro giornate lavorando serenamente e ricevendo un’opportuna “rieducazione politica”, come già avveniva ai tempi di Mao Zedong.
Ciò che più importa, tuttavia, è la presenza “pesante” di Vladimir Putin ai giochi invernali di Pechino. Il leader russo non si muoveva da Mosca da parecchio tempo, pare per il timore di contrarre il Covid-19. Il fatto che ora, invece, abbia deciso di partecipare in prima persona la dice lunga sui suoi progetti e sui futuri scenari internazionali.
Xi Jinping lo ha infatti accolto con calore e ha già avuto lunghi colloqui con lui. Da molto tempo tra Mosca e Pechino non c’erano rapporti tanto cordiali. Il ricordo della vecchia ostilità, a un certo punto sfociata addirittura in pesanti scontri militari sull’Ussuri, non è stato cancellato del tutto. Il problema è che, ora, i due leader hanno compreso di aver bisogno l’uno dell’altro. Il più potente è Xi, ma ciò non impedisce a Putin di comprendere che dell’appoggio cinese la Russia ha grande bisogno, ovviamente in funzione anti-occidentale.
I due regimi si supportano a vicenda quando vengono attaccati per qualsiasi motivo. Putin ha fatto capire con chiarezza di essere a favore dell’annessione di Taiwan. Xi non si è affatto opposto agli interventi russi in Kazakistan e Bielorussia, attribuendo loro una funzione stabilizzatrice.
Pur non essendo accettabile che Mosca chieda alla Nato di impegnarsi formalmente a non far entrare l’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, è probabile che si potesse fare qualcosa di più per impedire che l’asse tra i due regimi diventasse così forte. Si tratta di un problema che Biden dovrà affrontare in tempi rapidi, non potendo gli Stati Uniti, che attraversano un periodo difficile sul piano interno, fronteggiare contemporaneamente Pechino e Mosca.
Forse è troppo tardi per dividere i due autocrati, cui conviene restare uniti per fronteggiare un Occidente quanto mai debole e incerto. Tuttavia qualcosa si può fare, e si spera che la grande esperienza internazionale del presidente Usa gli consenta di trovare soluzioni per staccare, almeno parzialmente, i due autocrati.