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Sillogismi e analogie quasi mai colgono la complessità della vita, soprattutto in politica

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La nonna corre, il treno corre, la nonna è un treno. Il ragionamento di Pierino, quello delle barzellette di una volta, sembra ormai essere diventato LA regola. Anche se Aristotele storcerebbe il naso per l’uso disinvolto dei termini che compongono il celeberrimo ragionamento del sillogismo, anche se certe affermazioni di oggi sembrerebbero ben lungi dal sillogismo perfetto e soltanto impropriamente attribuibili allo schema di quello retorico, non v’è campo dello scibile nel quale non si possa fare a meno di ragionare secondo tale impostazione mentale.

In particolare, se prestiamo attenzione al comune discorrere delle cose quotidiane, è davvero difficile argomentare le proprie ragioni senza ricorrere a sillogismi di facile presa. Ciò premesso, per quanto sia quasi inevitabile nell’immediatezza del discorso, tale metodo non è sempre corretto, e quasi mai lo è parlando di politica. Facciamo qualche esempio: parliamo, tanto per scegliere un politico a caso, di Renzi. Gli oppositori del disinvolto rignanese, ammesso che sia facile identificare chi lo stimi e chi no, ragionano così: “Era necessario far saltare il governo Conte, Renzi ha fatto saltare il Governo Conte, Renzi è stato necessario” e da questa logica difficilmente ci si schioda, indipendentemente dal fatto che a sfiduciare Conte potessero essere molti altri, e pure facendolo prima. Stesso ragionamento, ancora basato su soggetto, predicato e conclusione, è ugualmente adottato dall’opposta fazione, ove si vogliano mettere taluni sostenitori di Salvini contrariati dal suo abbandono nel primo governo Conte che oggi impieghino questo semplice schema: “Per fare bene bisogna stare dentro il governo, adesso la Lega è (di nuovo) al governo, la Lega sta facendo bene”, non considerando minimamente l’estrema complessità e la intrinseca pericolosità della posizione della Lega nell’attuale Governo Draghi.

Esempi del genere potrebbero andare avanti all’infinito, e non risparmierebbero nemmeno Grillo o le patetiche Sardine laddove si sopravvaluti l’importanza del predicato intermedio tra le due parti del sillogismo, per cui si ritenga apoditticamente meritevole e corretto accostare due situazioni (sovrapponibili?) che conducano alla medesima conclusione. Purtroppo, le cose non vanno esattamente così ed innumerevoli sono i casi storici nei quali una determinata azione “meritevole” sia stata positiva o ferale, se commessa da soggetti diversi o in circostanze diverse. Nel secolo scorso, molti criticarono l’interventismo dannunziano e furono proprio quelli che poi tacciarono gli Stati Uniti di essere entrati in guerra troppo tardi. Del pari, azzardando qualche passo nel intricato campo dell’economia politica, è ancora quasi universalmente considerata positivamente la teoria di John M. Keynes, secondo la quale lo Stato deve intervenire con iniezioni di danaro per smuovere le acque stagnanti dell’economia e così, genericamente, per cui si ritiene corretto ogni investimento statale a pioggia, indipendentemente dai danni secondari e dallo scontento che ne deriverà fatalmente qualora dette erogazioni si dimostrino inefficaci o addirittura ingiuste e dannose. Se uno fece bene una volta, agendo in un dato modo, non necessariamente ne deve derivare che chiunque altro, agendo in modo simile, faccia altrettanto bene.

La società, i nostri schemi statali, le diverse fattispecie d’intervento pubblico sono drammaticamente diversi e mutevoli per poterci affidare alle regole universali e la comprova è persino riscontrabile nell’incredibile mole di norme regolatorie che compongono il nostro corpus iuris, mai come ora tanto effimero e provvisorio, proprio perché troppo spesso ci si avvale del facile schema che faccia riferimento a situazioni che appaiono analoghe e magari non lo siano affatto, oppure, ed è pure peggio, quando si voglia normare in Italia nel solco tracciato da altri Paesi che della nostra quasi unicità abbiano pochissimo o niente del tutto. Il saggio contadino della pianura padana non ci pensa neppure ad impiegare una piccola ed agile falciatrice da montagna, così come a quello del maso trentino l’utilizzo della mietitrebbia gigante, comune a Piacenza, non verrebbe mai in mente. Si potrebbe dire allora, seguendo il principio del sillogismo, che “se il contadino è saggio, il ministro deve essere saggio, il ministro deve essere un contadino”? Oddio, qualcuno lo sostiene, abbiamo perfino assaggiato qualcosa del genere, ma i risultati li abbiamo visti tutti.

Tractent fabrilia fabris, dicevano i romani, ma rimane pur sempre il dubbio di chi possa onorevolmente definirsi un fabbro e quali oggetti debbano far parte del suo armamentario professionale, potendo altresì constatare che di falsi fabbri ne vediamo moltissimi e non parliamo di quelli che, magari, fabbri lo sono ma utilizzano strumenti da panettiere. Comunque la si voglia mettere, finiamo sempre nello stesso angolo: non sappiamo rassegnarci a giudicare con più equilibrio ed approfondimento l’opera altrui, soprattutto quando il giudicante sia del tutto sprovvisto delle minime basi cognitive e di esperienza in quel settore, perché ormai tutto sembra dover rispondere per forza alla facile soluzione basata sulla nonna e sul treno, che spesso vede la povera vecchietta annaspare miseramente sorretta dai bastoni e che di correre non soltanto non ne ha le forze ma, cosa non trascurabile, nemmeno la benché minima voglia.

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