C’è sempre un “eroe” nuovo a sinistra. Dura al massimo tra le 36 e le 48 ore: dopo di che, sfiniti, gli stessi fan lo abbandonano.
La consecutio è nota. Basta un video sui social, e subito parte il rilancio sui siti dei giornali maggiori (la formula è: “E xxx incanta”, “E yyy commuove”, o banalità del genere). A seguire, nelle 36 ore successive, arrivano i commenti degli editorialisti pesi massimi.
L’estate scorsa era toccato al rude Ivano dei Castelli Romani: ascella pezzata, manona formato badile. Stavolta, come una versione italiana e maschile dell’ormai insopportabile Greta con le sue treccine, è arrivato Simone, il ragazzino pro accoglienza di Torre Maura.
Come in una classica coazione a ripetere, la dinamica della reazione a sinistra è stata sempre la stessa: hashtag #Simone sui social, più l’inevitabile appello “la sinistra riparta da Simone” (se deve ripartire ogni settimana, peraltro, vuol dire che la macchina è a corto di carburante), e il solito compiacimento di chi si ritiene moralmente-culturalmente-antropologicamente diverso e superiore rispetto al resto degli italiani.
Resta un solo dubbio. Il buon Simone si è potuto confrontare con i “cattivissimi” di Casa Pound, ed è tornato a casa sano e salvo: giustamente, inutile sottolinearlo. E la cosa fa onore a lui e a Casa Pound. Ma che sarebbe successo se un “Simone di destra” fosse andato a dire le sue ragioni davanti a un gruppo di estremisti di sinistra? Avrebbe potuto farlo? Sarebbe potuto tornare indietro senza danni? Ah saperlo, direbbe Dagospia.