I sinistri non preferiscono le bionde

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Così adesso lo sappiamo: quella strana e buffa cosa che (non) risponde al nome di Pap, Potere al popolo, e vorrebbe ripapparsi il comunismo spappolato, si fa anche delle storie tese, per dire battaglie forti, concrete, urgenti: la papessa Viola Garofalo chiama alla pugna tutte le pappine e i pappini contro le bionde dello shampoo: sono razziste e fasciste, sono il fardello della donna bianca, se proprio volete una pubblicità almeno metteteci una migrante, oppure, meglio ancora, niente shampoo e messa in piega: robaccia di destra, cespuglioni e doppie punte invece sono di sinistra, Giorgio Gaber non fece in tempo a prendere nota. Garofalo sembra fuori dal mondo, ma non v’ingannate: lo è davvero, la polemica contro la cura del corpo è stata superata dall’immaginario femminil-femminista, ormai le signore di sinistra, a cominciare dalle sofisticate deputate piddine, sfoggiano tolette e borsette degne di una Colazione da Tiffany, ma nelle sacche dell’improbabilità insurrezionale resta quel je ne sais quoi di sciatto, di trasandato, di esteticamente dubbio, direttamente proporzionale alla collocazione delle masse muliebri nel centro sociale.

Nadia Desdemona Lioce, l’ultima brigatista, coinvolta negli omicidi di Massimo d’Antona, Marco Biagi e Emanuele Petri, da organicistica qual era, non rifiutava forse di radersi le gambe per non fare il gioco del capitalismo imperialista? Il femminismo storico degli anni Settanta non esibiva orgogliosamente polpacci amazzonici, e financo baffi, per marcare una chiara differenza di consapevolezza politica rispetto a tutto quel fatuo prestarsi alla borghese deriva consumistica corporale che pregiudicava l’acquisizione di una autentica coscienza rivoluzionaria nell’ottica della acquisizione di classe funzionale alla maturazione di un nuovo orizzonte fisiologicamente egualitario, dove, come diceva Giovannino Guareschi, “le donne avevano finalmente raggiunto il diritto di vestirsi da uomini” e cioè in divisa cinese? Il miliardario combattente Giangi Feltrinelli non rinunciava forse a lavarsi per settimane, nell’intento di somigliare sempre più agli operai che sfruttava dall’Italia alla Bolivia?

Quella tricologica e più in generale cosmetica è forse la penultima frontiera della sinistra radicale, la sinistra papaia che dal suo Pantheon che va da Rosa Park a Dolores Ibarruri passando per Angela Davis, Tina Modotti, Frida Khalo, Emmeline Pankhurst, Astrosamantha per approdare a Paola Egonu, una che sa benissimo di cosa parlare fingendo di non volerne parlare, espunge la inquieta, patetica, oggettivata ma troppo bionda Marilyn. “Gli uomini preferiscono le bionde”? Pellicola da censurare, da bruciare viva; “Blondes have more fun”, come il disco infame di quel torvo sciupafemmine di Rod Stewart, peraltro un biondo tinto? Galeotto l’album e chi lo cantò. “Le bionde trecce” di Battisti (Lucio), poi, manco a nominarle: aaah, orrore, fascista, appendetelo.

La sinistra-sinistra, “quella vera”, come usa chiamarla, senza che nessuno mai s’azzardi a specificare dove albergherebbe, forse non sbagliando visto che quella che c’era, dove c’era spediva ai campi o alla forca milioni e milioni di compagni coatti; la sinistra millantata, fantasticata, modellata sul mito della forza “socialista che lottava contro l’imperialismo e per gli operai”, come salmodiano i naif uniti nella più volonterosa ma alle volte sconfortante sconoscenza, i pedoni del populismo socialista in sedicesimo come questo Enrico Lucci di “Nemo”, uno che solo a sentire come parla… Ecco, la sinistra al cubo, al cuneo, che di storia sa niente, che come apre bocca fa strazio, che appena respira inanella falsi storici e bestialità, che pensa di essere autentica sol perché si dissocia dal macchiettismo, dal pariolismo di facciata, insomma la sinistra-Fenice le sue battaglie se le è fottute tutte, da quella sulla convivenza – mai vista gente più morbosamente faziosa, più agitati e ondivaghi del Cappellaio Matto con il Ghiro e la Lepre Marzolina – a quella delle volpi argentate del Metoo, che già sconta l’effetto Corazzata Potemkin (oggi l’ennesima sedicente violata dal mandrillaccio Kavanaugh ammette di non averlo mai incontrato, d’essersi inventata tutto “per tenere viva l’attenzione in vista del midterm”); fino al capolinea della sua stessa sopravvivenza, ormai aggrappata ai dreadlock perché di ciocche bionde facciamo a meno, grazie.

Tutte: basti rileggere quel campione di analisi e di logica che fu Raymond Aron, non solo nell’“Oppio degli intellettuali” quanto nel deliziosamente profetico “La lotta di classe”. Proprio oggi, chi scrive s”è imbattuto in un grugno che leggeva proditoriamente il Manifesto en plen air: è stata una rivelazione, quasi uno choc, ma come? Io mi credea del tutto esser partito, certo che ormai l’ineffabile “quotidiano comunista” uscisse per mero onor di firma, “quanti ne abbiamo venduti oggi?”, “zero”, “Bene! È già un progresso, compagni, il sol dell’avvenire risorge da qui!”. E invece, uno c’era a sventolar la testata, uno con l’incazzatura coreografica che gli sfumava dalla narice terza, uno che pareva un Coniglio Rosso risbucato dal mondo sotterraneo.

Ma ancora una battaglia, la sinistra-sinistra, vera, autentica, reale, radicale, duraepura, fancazzista, rivoluzionaria, antagonista, anticapitalista, antimperialista, antitrumpista, antisalvinista, antitricologica, antishampoo, ce l’ha. È lì, pronta per essere raccolta: le freme tra le dita, le torna, forse, calda calda dal Brasile. Si chiama Cesare: Battisti, what else? L’altro Battisti, l’è lu, il piffero della Banda non d’Affori ma dei Pac, l’unico a poter risvegliare l’immaginario nostalgico collettivo e, dunque, la pugna. Vedrete, che è solo questione di tempo. Basta che l’esecrato Bolsonaro ce lo rispedisca in pacco-regalo, e subito la sinistra vera, finta, pariolina, papina, papona, leuista, leninista, maoista, stalinista, leopoldista, per magia si ricompatta come l’avvoltoio della Strega di Mare, cui bastava zufolare nel flauto maledetto per rimettere insieme i pezzi dell’uccellaccio fatto a pezzi da Popeye.

Che farne? Ma è chiaro: un eroe, un faro, un corpo mistico nel quale riaggregare, pro tempore, ad interim, una tantum le millanta sinistre sbiscottate che non aspettano altro. Noi dunque sollecitiamo, noi “fogniamo”, come direbbe Jovanotti, una grande Chiesa che va da Giulietto a madre Boldrini, passando per Mimmo Lucano, l’inventore della libera Repubblica di Riace dove si stampavano i soldi del Monopoli ma si incassavano gli euro veri, Saviano con tutta la scorta, Zero Calcare coi disegnini incrostati, Michela Murgia col fascistometro che sarebbe l’Agenzia delle entrate dei camerati, la compagnia di giro di Fabio Fazioso (però coi necessari distinguo, ah beh, sì beh), don Ciotti e don Biancalani, Gino Paoli e Gino Strada, il reducismo sofrinista di Lotta Continua, l’eterno trombato Luca Casarini, che nacque antagonista e morì partita Iva, il collettivo di scrittori antiberlusconiani griffati Berlusconi, Wu Ming, ispirati ai Residents, i pard Valerio Evangelisti e Giuseppe Genna, copywriter del grido strozzato “corri Cesare corri”, oggi dedito a floreali ritratti quirinalizi, i trettrè ingialliti del sovversivismo Negri, Piperno & Scalzone, le velate rappresentanti, le martiri con turbanti, i prelati silenti (quando si parla di macelli cristiani), i centri sociali, le piccole vedette dell’Anpi, i reduci dell’Anpi, le femministe dell’Anpi, gli ambientalisti dell’Anpi, i filosofi da trespolo e da vetrina, i professorini da scuola media in fregola, i kollettivi di san Lorenzo dove regnano multikulti, e konkordia, gli studenti democratici che non fanno entrare chi gli pare a loro, la compagnia della buonamorte di menestrelli, guitti, imbrattacarte, giullari, saltimbanchi, nani, ballerine, zdanoviani, zelanti, qualche ex fidanzatina quindicenne del Bonco mezzosecolare, il mistofrutta della consapevolezza umanitaria, la krema der kulturpessimismus, la mejo gioventù de ieri, de oggi, de domani, le retroguardie stropicciate, spettinate, al kamut della lotta di classe, tutti “comunisti cosììì!” uniti nella reificazione (clinica) della mitopugnetta: Cesare martire, vittima del sistema imperialista, braccato dai servizi, protetto da nessuno, povero in canna, pieno di problemi tra un carnevale di Rio e una scuola di samba; Cesare grande giallista, anche se a leggerlo perdi un po’ il piacere della suspense, già dalla copertina sai chi è l’assassino. Forza venite gente, che queste so’ cose vere, so’ cose serie: mica come quella privilegiata di Asia Bibi o le stragi di cristiani copti, su cui si può tacere.
E allora, fermo restando che questa nostra è una fantapolitica, un “fogno” jovanottesco, ecco cosa ci vediamo ad occhi aperti: la Grande Chiesa dei “restiamo umani per Cesare” che si coagula, spara, come allora, appelli per firmajoli volonterosi e un po’ coglioni, invade i media, nessuno tocchi Battisti; Cesare arriva; non fa un minuto di galera; parte in tour per i media, visita nell’ordine Mara, Barbara, Maria (“Amici” e “Tu si que vales”), infila “l’Eredità“, “I soliti ignoti“, “I migliori anni“, “Tale e quale“, “Sanremo giovani“, “Grande Fratello Vip“, “Mezzogiorno in famiglia“, “Otto e ½“, “In ½ ora“, “L’aria che tira“, “la Domenica Sportiva“, “Portobello“, “Porta a Porta“, “Maurizio Costanzo Show” (“Mallei, puando ppapava, penpava che ptava ammappando quaccuno o non ci penpava?”), “Doreciakgulp“, “Chi l’ha rivisto“, fino al quanto mai opportuno “Ballando con le stelle“. A quel punto Giugenna, chi meglio di lui, vergherebbe una vibrante richiesta di Grazia al nostro Mattarella: situazione win-win, perché anche se il presidente si opponesse, anzi a maggior ragione, la sinistra-ma-quella-vera avrebbe finalmente il messia che attendeva, l’autentico, unico e solo Cappellaio Matto. Vero e brasilero. E per niente biondo.

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