Il premier in conferenza stampa si accanisce su una piccola percentuale di non vaccinati, cita dati vecchi e in modo scorretto, usa argomenti a sostegno dell’obbligo che ne confermano l’illegittimità. Tutto questo mentre rischiamo un lockdown di fatto e la paralisi dei servizi essenziali a causa di regole sorpassate su isolamenti e quarantene, i prezzi dell’energia sono alle stelle, l’inflazione corre, milioni di cittadini sono discriminati e il Paese è diviso
Ricorso al capro espiatorio, anzi accanimento su di esso, per coprire ritardi ed errori; dati riportati in modo scorretto; slide ad effetto con dati vecchi di un mese; risposte eluse. Questo, in estrema sintesi, il copione della conferenza stampa del premier Draghi e dei ministri Speranza e Bianchi di ieri sera, sulle gravissime decisioni adottate da un Consiglio dei ministri di ben 5 giorni prima, il 5 gennaio.
“Gran parte dei problemi che abbiamo dipende dai non vaccinati”, “la circolazione del virus mette di nuovo sotto pressione i nostri ospedali, soprattutto per l’effetto sulla popolazione non vaccinata”.
Si potrebbe ironizzare su queste due affermazioni ricordando che le uniche misure di chiusura più recenti hanno riguardato luoghi in cui l’accesso è riservato ai possessori di super Green Pass, cioè vaccinati o guariti da non più di 6 mesi: la chiusura delle discoteche e la proposta dello stesso premier di giocare le partite di Serie A a porte chiuse, accolta dalla Lega Calcio riducendo la capienza degli stadi a 5 mila spettatori – praticamente nulla – per due turni. Colpa dei non vaccinati?
Il premier Draghi, e il ministro Speranza, hanno supportato le due affermazioni con un dato non nuovo, ma riportandolo in modo scorretto: “i non vaccinati occupano i 2/3 delle terapie intensive”. Dato vero, ma come osserverebbero i migliori fact-checkers, fuorviante per mancanza di contesto. Si dimenticano di aggiungere, infatti, che si tratta dei 2/3 delle terapie intensive occupate da pazienti Covid, attualmente il 17 per cento dei posti totali. Quindi, sarebbe corretto dire che i non vaccinati occupano l’11,3 per cento delle terapie intensive.
Vi sembrano numeri da emergenza tale da ricorrere all’annichilimento di un diritto cardine della nostra Costituzione, come il diritto al lavoro, e alla privazione dello stipendio, quindi per i più del principale mezzo di sostentamento, oltre a tutte le limitazioni della vita sociale già adottate? Vi sembrano misure proporzionate? A noi sembra una caccia alle streghe.
Certamente i non vaccinati corrono più rischi di ammalarsi gravemente e occupano più posti in terapia intensiva dei vaccinati, ma nessuno ha mai obiettato e messo in discussione l’efficacia dei vaccini contro la malattia grave. Motivo per cui qui non si contesta la campagna vaccinale, men che meno se fosse concentrata sugli over 50. Anzi, abbiamo criticato duramente il governo per essere in ritardo di almeno due mesi con la campagna per le terze dosi, che sapevamo fin da luglio scorso essere necessarie soprattutto per anziani e fragili.
Il punto è che il dato sulle terapie intensive, brandito per giustificare il super Green Pass e l’obbligo vaccinale, non li giustifica affatto. Il dato da guardare è quello delle diagnosi, come tra breve spiegheremo. Dall’ultimo rapporto ISS (5 gennaio) emerge che i 3/4 dei contagiati nel periodo 3 dicembre-2 gennaio sono vaccinati, il 74 per cento, e che i non vaccinati sono meno del 50 per cento dei ricoveri ordinari e dei decessi – dati chiaramente omessi nella conferenza stampa di ieri. Se l’86 per cento dei vaccinati “produce” il 74 per cento dei contagi nella popolazione over 12, vuol dire che rispetto all’infezione il vaccino è quasi neutro, quindi non ferma e nemmeno rallenta la trasmissione del virus. Bisogna osservare, tra l’altro, che con Omicron, che buca i vaccini più della Delta, questa tendenza è destinata a rafforzarsi e che proprio a causa del Green Pass i vaccinati sono sottoposti meno di frequente ai test, quindi probabilmente sono sottorappresentati nel numero dei contagi.
In conferenza stampa Draghi ha spiegato che l’obbligo è “concentrato” sulle classi di età che occupano maggiormente le terapie intensive, ovvero gli over 50, citando come motivazione la tutela della loro salute: “Lo abbiamo fatto sulla base dei dati che ci dicono che gli over 50 corrono maggiori rischi, e che le terapie intensive sono occupate per 2/3 da non vaccinati”. Sebbene, come abbiamo visto, in percentuali tali da non destare allarme (l’11,3 per cento).
Peccato però che queste due motivazioni non sono tra quelle contemplate dalla giurisprudenza costituzionale perché un obbligo vaccinale sia legittimo. La condizione-chiave, infatti, è che il trattamento protegga dal contagio anche gli altri. Il che, con i vaccini anti-Covid, non esiste, come si evince dal dato delle diagnosi: i 3/4 dei contagiati sono vaccinati, quasi la stessa proporzione dei vaccinati nella popolazione generale. Non basta quindi come giustificazione dell’obbligo la tutela della salute del singolo, né nelle sentenze viene citato l’obiettivo di alleggerire la “pressione” sugli ospedali (che comunque attualmente non si avvicina nemmeno ai livelli di guardia: 17 per cento).
Tale è la nostra sfiducia nella Corte costituzionale, data la sua forte politicizzazione, che siamo certi che sosterrebbe qualsiasi decisione del governo, ma allo stato attuale – e con una sentenza recente (2018) – l’obbligo vaccinale, formale o attraverso super Green Pass, è illegittimo proprio alla luce degli argomenti usati dal premier.
Ma c’è un altro aspetto da sottolineare della conferenza stampa di ieri. In una slide ad effetto mostrata ai giornalisti per supportare l’affermazione secondo cui “gran parte dei problemi dipende dai non vaccinati”, il ministro Speranza ha presentato dati vecchi di un mese, da 30 a 60 giorni: l’incidenza di vaccinati e non sulle terapie intensive tra il 12 novembre e il 12 dicembre scorsi. Siamo al 10 gennaio.
Premesso che siamo certi che il Ministero della sanità sia in possesso di dati più aggiornati, il problema è che quelli presentati escludono completamente l’impatto della variante Omicron, come sappiamo molto più lieve della Delta anche per i non vaccinati.
Persino l’ultimo rapporto pubblico dell’ISS, quello del 5 gennaio, riporta dati sulle terapie intensive più aggiornati di una settimana rispetto a quelli presentati dal ministro – 19 novembre-19 dicembre – dai quali emerge che i non vaccinati hanno occupato in quel periodo (comunque pre-Omicron) il 65 per cento delle terapie intensive occupate dai pazienti Covid, in quel momento meno del 15 per cento.
Come abbiamo cercato di spiegare con l’articolo di ieri, la pressione sugli ospedali, più che dai pazienti Covid, vaccinati e non, dipende dalla crescita esponenziale di positivi e contatti tra gli stessi operatori sanitari causata dal “raffreddore” Omicron e, quindi, dalle regole ormai insostenibili sull’isolamento dei positivi, anche se asintomatici, e sulle quarantene da contatto. Un rischio paralisi che per gli stessi motivi riguarda anche molte aziende e altri servizi pubblici essenziali, come trasporti e scuole. Sono 2 milioni gli italiani positivi in isolamento, per lo più asintomatici, più i relativi contatti in quarantena. Tra parentesi, 500 mila solo in Lombardia, dove il 95 per cento degli over 12 è vaccinato.
Mentre altri governi, prendendo atto del nuovo scenario con Omicron (boom di contagi ma variante molto più lieve) stanno allentando o hanno già allentato quelle regole proprio per evitare il blocco del Paese per un “raffreddore”, per esempio richiamando in servizio gli operatori sanitari positivi se asintomatici, il governo Draghi persevera nel suo approccio ideologico e nel suo accanimento sul capro espiatorio: i non vaccinati. In Italia, ad un bambino guarito per tornare a scuola non basta un test negativo, serve una ulteriore specifica certificazione della Asl, per la quale spesso si attendono giorni.
Non è un caso, che ieri l’unica domanda scomoda a Draghi, a cui non ha risposto, sia stata posta dal corrispondente del Times. Nel Regno Unito i ministri stanno riconoscendo al premier Boris Johnson di aver avuto ragione a non introdurre nuove restrizioni, pass e obblighi, i contagi stanno diminuendo comunque: perché in Italia è diverso? No comment di Draghi.
Nel Regno Unito alle prese con l’ondata Omicron con un paio di settimane di anticipo rispetto a noi, la media settimanale dei nuovi casi è in calo per il quarto giorno consecutivo, i morti sono 77 e le terapie intensive occupate 844, il minimo da due mesi e quasi la metà delle nostre. Inoltre, le autorità sanitarie stanno assistendo ad un crollo della durata dei ricoveri e gli scienziati stanno arrivando alla conclusione che Omicron è addirittura meno letale di una influenza.
Non solo il governo Johnson. Ieri il governo spagnolo guidato dal socialista Sanchez ha annunciato l’intenzione di trattare il Covid come l’influenza, quindi senza più contare i singoli casi e senza sottoporre i cittadini a test davanti al minimo sintomo. In pratica, questo significa niente più quarantene da contatto e isolamento di asintomatici.
Questi governi hanno preso atto che in questa nuova fase della pandemia, a mettere sotto pressione i servizi essenziali – dalla sanità alla scuola ai trasporti – e tutte le attività dei loro Paesi, non è più il virus, molto attenutato, non è una minima percentuale di non vaccinati, ma sono le stesse misure di contenimento, non più giustificate. Il governo Draghi va nella direzione opposta, si accanisce sui non vaccinati, li incolpa dei problemi che lui stesso sta contribuendo a protrarre ed alimentare.
E allargando lo sguardo al di là del Covid: oltre a servizi essenziali ed economia a rischio lockdown di fatto per isolamenti e quarantene immotivate, abbiamo i prezzi dell’energia alle stelle, l’inflazione che corre, debito record e ora d’aria Bce agli sgoccioli, libertà e diritti costituzionali calpestati, discriminazioni, un Paese diviso. Di fronte a tutto questo, sostenere che “gran parte dei problemi dipende dai non vaccinati” è una impostura, nel puro schema del capro espiatorio.