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Spygate: l’indagine Durham diventa “inchiesta penale” dopo “nuove prove scoperte in Italia” e rapporto Horowitz

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Ora sarà eventualmente la nostra autorità giudiziaria, Ministero della giustizia e Procura di Roma, ad essere chiamata a collaborare

Non è per puro caso che durante la conferenza stampa di mercoledì sera, al termine della sua audizione al Copasir, il premier Giuseppe Conte abbia tenuto a precisare, come subito notato da Atlantico, che con le autorità americane c’è stato un mero “scambio preliminare di informazioni”, perché se quella di Barr e Durham fosse stata una “indagine criminale”, allora il binario sarebbe dovuto essere quello della “cooperazione giudiziaria”, con le sue specifiche procedure, come le rogatorie. Una possibile evoluzione in tal senso era già trapelata su alcuni media Usa nei giorni scorsi, ma nella serata di ieri l’hanno confermato Fox News e New York Times, citando due fonti a conoscenza dei fatti: l’indagine del procuratore Durham sulle origini del Russiagate/Spygate e il coinvolgimento di alcuni Paesi alleati, tra cui l’Italia, è stata trasformata da indagine amministrativa in “inchiesta a pieno titolo penale”.

Il che conferisce al procuratore che la conduce, Durham, il potere di citare testimoni, esigere documenti, svolgere perquisizioni, formulare accuse e anche procedere ad arresti.

Un fonte ha aggiunto a Fox News che l’imminente rapporto dell’ispettore generale del DOJ Michael Horowitz sui presunti abusi dell’FBI nella sorveglianza contro la Campagna di Trump nel 2016-2017 farà luce sul perché l’indagine Durham è diventata “criminale”. Horowitz ha annunciato ieri che il suo rapporto sarà presto disponibile al pubblico, è quasi completata la fase di declassificazione, è lungo e ci sono “poche redazioni”, quindi “non prevede sia necessario preparare e divulgare una versione classificata e una pubblica”.

Ma probabilmente, oltre alla conclusione dell’indagine interna dell’IG Horowitz, ad avere innescato questa svolta è stata anche la recente visita a Roma dell’Attorney General Barr e del procuratore Durham il 27 settembre scorso, la cui notizia è trapelata poco dopo il loro rientro a Washington proprio dal Dipartimento di Giustizia, accendendo inevitabilmente i riflettori sull’Italia e sulla condotta del nostro premier.

Come riportavamo su Atlantico già mercoledì mattina, non solo c’era la possibilità della sua evoluzione in senso “penale”, ma l’indagine era stata già ampliata – più uomini, mezzi e un più esteso periodo sotto esame – proprio pochi giorni dopo il secondo incontro di Barr e Durham con i vertici dei servizi italiani e, come ha riferito Fox News, proprio sulla base di “nuovi elementi di prova scoperti a Roma”. Il procuratore Durham ha trovato “qualcosa di significativo”, a tal punto da dirsi “molto interessato” ora a interrogare gli ex direttori della CIA Brennan e della National Intelligence Clapper. Tra l’altro, le due visite in Italia sarebbero state preparate nei mesi precedenti da uomini fidati dell’Attorney General mandati in avanscoperta nel nostro Paese.

L’annunciata accelerazione dell’indagine e la sua trasformazione in “inchiesta penale” potrebbero essere dovute in parte anche al rifiuto opposto dalle autorità italiane alle richieste di Barr e Durham di fornire documenti e materiali utili all’indagine emersi durante lo “scambio preliminare di informazioni” tenuto nei due incontri a Roma e, probabilmente, avviato già nel giugno scorso. Da quando, cioè, l’AG Barr ci ha chiesto di collaborare, come rivelato mercoledì sera dal premier. E d’altra parte, questa è stata la versione subito fornita da fonti della nostra intelligence: i vertici dei nostri servizi non hanno fornito documenti, spiegando ai loro interlocutori Usa che “per qualsiasi richiesta la strada più idonea da seguire è quella dei canali ufficiali, tramite rogatoria”. Ora che l’inchiesta del DOJ è diventata penale, arriveranno forse le richieste tramite “canali ufficiali”, le rogatorie, e collaborare spetterà nel caso alla nostra autorità giudiziaria: Ministero della giustizia e Procura di Roma.

Anche perché, se come ha spiegato Conte la richiesta da parte Usa riguardava principalmente l’operato su territorio italiano degli agenti della loro intelligence di stanza a Roma, soprattutto le attività nella primavera-estate del 2016 e la figura del professor Joseph Mifsud, ad essere coinvolti sono gli agenti FBI presso l’ambasciata Usa di Roma, il legal attaché Kieran Ramsey e il suo assistente Michael Gaeta (che come capo di una unità anti-crimine organizzato in Eurasia ha collaborato con l’ex agente MI6 Christopher Steele, firma dell’omonimo dossier anti-Trump), di cui ci siamo ampiamente occupati nel nostro Speciale. Gaeta, in particolare, ha incontrato diverse volte proprio Steele, tra il giugno e l’ottobre 2016, sia a Roma che a Londra. Le autorità italiane con le quali sono naturalmente e istituzionalmente chiamati a collaborare gli agenti FBI in Italia, a Roma, sono la Procura di Roma e la Direzione nazionale antimafia. Dunque, se Durham vorrà sapere se Ramsey e Gaeta hanno collaborato con qualche autorità italiana, o anche privato cittadino, nel periodo sotto la lente della sua indagine, 2016-2017, è alla Procura di Roma che dovrà chiedere.

In ogni caso, la versione del presidente Conte sembra già venire contraddetta su un primo aspetto, cioè che “non avevamo informazioni” da dare a Barr e Durham. Il premier, da avvocato, è stato molto abile in conferenza stampa ad usare parole evidentemente non scelte a caso. Ma per fugare i sospetti che in agosto avesse barattato la nostra collaborazione con un sostegno da parte del presidente Trump in un momento decisivo per la sua riconferma a Palazzo Chigi dopo l’apertura della crisi di governo, ha dovuto dare una notizia: la richiesta da parte Usa “risale a giugno”, non agosto. E ha rivelato anche che “con l’occasione”, sono state fatte “verifiche” nei nostri “archivi” su un eventuale coinvolgimento dei “nostri” nel periodo di interesse, 2016-2017, quindi sotto i governi Renzi-Gentiloni.

Dunque, anche se da buon avvocato il premier Conte non ha usato questo termine, si può dedurre che sulla base della richiesta di Barr sia stata svolta dai nostri servizi una vera e propria indagine interna, durata circa due-tre mesi, da giugno a settembre, al termine della quale l’AG Barr e Durham sono venuti a Roma, il 27 settembre. Ed è difficile credere che l’Attorney General degli Stati Uniti si muova all’estero e abbia incontri con funzionari stranieri, peraltro con una evidente asimmetria di ruoli e status, senza motivo, solo per sentirsi dire “non abbiamo informazioni”, di Mifsud non sappiamo nulla, e comunque “fate domanda” tramite “canali ufficiali” e rogatorie.

Bisogna anche considerare che elementi possono essere stati raccolti in Italia non solo da Barr e Durham, ma anche dal capo della CIA Gina Haspel, che dall’inizio collabora all’indagine del DOJ, come abbiamo spiegato su Atlantico, e che è stata a Roma di recente per un incontro programmato da tempo (anche se non è chiaro se anche la sua presenza lo fosse) tra CIA e nostri servizi. Molto significativi i movimenti della Haspel ricostruiti da Luca Fazzo su il Giornale: oltre al premier Conte e al direttore dell’Aisi Parente, avrebbe infatti incontrato, all’ambasciata Usa di Via Veneto, il generale Alberto Manenti, ormai in pensione ma a capo dell’Aise dal 2014 (nominato da Renzi) al 2018, quando Conte 1 lo ha sostituito con l’attuale, il generale Carta.

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