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“Stare un passo indietro”: per le emergenze meglio non affidarsi solo a internet e cellulari

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“Pronto, chi parla?” si diceva una volta, rispondendo dal telefono bigrigio della SIP che aveva emesso qualche squillo, standardizzato per tutti. Nella frase fatta di chi rispondeva ad una chiamata c’era già tutto: la dichiarazione di essere pronto ad intraprendere una conversazione (allora via filo) con l’altro interlocutore e la richiesta di qualificarsi, secondo una minima regola di buona educazione, che vorrebbe che chi interrompe le normali occupazioni di chicchessia si debba, per prima cosa, qualificare, enunciando il proprio nome. Già nell’incipit della conversazione a distanza dei vecchi, cari tempi della linea telefonica in doppino si può scorgere il rispetto dei principi della buona educazione, che oggi parrebbe essere stata riposta in cantina assieme ad altre cianfrusaglie inutili.

Oggi tutto è diverso, e quasi mai accade che chi chiama dica subito chi è, preferendo chiedere se sta effettivamente parlando con noi, senza tanti preamboli. Anzi, se a chiamare è un odioso call center di qualsiasi specie, la conversazione, quasi immancabilmente via telefono cellulare, inizia con un autoritario: “Parlo con cognome – nome ?“, al che verrebbe già da rispondere che non siamo più a scuola o a militare, per cui quantomeno il nome dovrebbe precedere il cognome, ma, soprattutto verrebbe subito da rispondere: “E lei chi diavolo sarebbe, visto che pretende di sapere chi sta rispondendo a questo numero, prima ancora di avermi detto chi è?”. Ma, anche tralasciando le questioni di bon ton, non posso esimermi da alcune considerazioni, per così dire, di ordine pratico.

Abbiamo fortissimamente voluto l’interconnessione globale, la possibilità di connetterci sempre ed ovunque con il mondo intero, e va benissimo. Ma non mi si venga a raccontare che abbiamo ancora la capacità di scrivere, di attendere una risposta nei giusti tempi, di permettere al prossimo di valutare se e quando risponderci. Sostenere, nel terzo millennio, che il cellulare può tranquillamente essere tenuto spento e che non si sia mai costretti a rispondere non è soluzione per tutto e sempre applicabile, per i motivi che facilmente si possono scorgere, anche perché, noi popolo di telecomunicatori compulsivi, obbligati ad essere sempre connessi al telefonino per poter lavorare e portare a casa la più o meno modesta pagnotta quotidiana, non possiamo esimerci dall’essere, in sostanza, sempre disponibili per tutti. Basterebbe soltanto tale meccanismo per privarci del sacrosanto diritto di scegliere noi stessi con chi si voglia interagire, magari escludendo idioti, seccatori, disonesti di varia specie ed antipatici, costringendoci, invece, a dire a chiunque chiami cosa stiamo facendo e dove siamo.

Si è ormai consolidata una pandetta al Galateo di consolidata accettazione: se non si risponde alla terza chiamata è considerato uno sgarbo intenzionale e, quantomeno, bisogna inviare un messaggio di testo, addirittura prestampato sul telefonino, per scusarci ed assicurare che richiameremo al più presto. Dall’epoca delle segretarie che rispondevano che il dottore era eternamente in riunione e degli statali che assicuravano che l’altro dottore (quello con laurea dubbia) era “fuori stanza”, di acqua sotto i ponti (ripetitori) n’è passata molta e non possiamo negare gli immensi benefici della comunicazione mobile di oggi, ma qualche perplessità rimane, anche in tema di libertà individuale e di sicurezza collettiva.

Intanto, consideriamo che abbiamo consegnato la gestione della telefonia mobile nazionale in mani straniere, poiché ciò che rimane della nostra compagnia di telefonia nazionale (parzialmente privatizzata) non riesce a tenere il passo di quelle cinesi, francesi, britanniche e chi più ne ha più ne metta, col risultato che, essendo state inopportunamente affidate la massima parte delle telecomunicazioni a sistemi di telefonia e trasmissione dati di tipo GSM, 3G, 4G, 5G, anche quelle d’interesse prioritario e strategico, qualunque cosa (e non fatemi dire cosa) dovesse accadere con la proprietà di tali infrastrutture ne deriverebbe un diffuso blackout, in quanto sia la distribuzione del gas che quella dell’elettricità sono basate su reti integrate che impiegano abbondantemente terminali wireless, ossia basati sulla rete cellulare mobile.

Come ho già avuto modo di esaminare più in dettaglio, proprio su queste pagine, alla luce delle criticità derivate dall’abbandono, improvvido e avventato, delle tecnologie di comunicazione d’emergenza più collaudate e semplici, a favore di quelle interamente basate sulla rete internet e sulle celle telefoniche, sappiamo che un’emergenza nazionale, ad esempio di natura militare, potrebbe trovare risposte infrastrutturali inadeguate, se non mancanti. Accade invece che tali infrastrutture continuano ad essere in mani straniere e sono basate su accordi commerciali non chiarissimi, mentre l’ossatura del sistema di telecomunicazione nazionale richiede procedure affidabili, concrete, semplici e veloci da riparare quanto supportate da tecnologie “di secondo livello” che possano agilmente supplire ad eventuali imponenti guasti al sistema principale. Nulla di tutto ciò si è voluto fare, ma si poteva e si doveva considerare che buttarsi unicamente sulla rete internet sarebbe stato un azzardo, così come era ben prevedibile che sviluppare una rete di comunicazioni d’emergenza che utilizzi operatori di telefonia mobile che non siano interamente e sicuramente in nostre mani costituisce un gravissimo rischio di vederci “spegnere” certe parti della rete proprio nel momento peggiore. Pensare sempre al peggio, tuttavia augurandoci il meglio, è proprio l’abc della pianificazione delle emergenze, non soltanto nazionali; da che mondo è mondo è sempre stato così.

Ma no, noi ci beiamo di come i generosi cinesi ci diano (probabilmente) la più veloce rete di comunicazione senza fili e quindi buttiamo tutto sulla rete 5G (gestita dagli stessi cinesi). Altrettanto comico, se non fosse drammatico, assistere all’inarrestabile smantellamento delle strutture di ricetrasmissione via radio, a favore del passaggio delle comunicazioni di emergenza via rete cellulare. Dimentichiamo troppo spesso che una rete basata su apparati radio (magari anche soltanto tenuta come riserva) è semplice da manutenere, veloce da rimettere in funzione in caso di guasto, operabile dovunque e pressoché da chiunque in completa autonomia, mentre tutt’altro discorso si deve fare per una complessissima rete di comunicazione cellulare, in parte persino dipendente dall’utilizzo di satelliti quasi mai italiani, col rischio del ben noto “effetto domino” che conoscemmo nella notte del 28 settembre 2003, quando un singolo albero caduto su una linea ad alta tensione in Francia azzerò completamente, in pochi secondi, la disponibilità di energia elettrica sulla maggior parte del territorio italiano (e non solo) per oltre 12 ore.

Non si può, anzi non si deve assolutamente, dare per scontato che la fantastica rete internet e la fantastica rete cellulare funzioneranno sempre e comunque. Il mondo esisteva ed era già civilissimo anche prima di internet e dei cellulari e allora ciascun Stato sapeva perfettamente come provvedere in caso di disastro o calamità estesa, secondo uno schema d’intervento probabilmente meno standardizzato di oggi ma esageratamente più funzionale e semplice di quelli che vediamo oggi, interamente basati sui computer (che, quando manca corrente, si spengono in breve tempo) o su complessi sistemi di trasmissione dati che, poveretti, anche loro fanno la stessa fine dopo pochissime ore, se non minuti in caso di blackout elettrico. Ci starebbe più che mai un bel, sano passo indietro, secondo lo schema che io chiamo “stay one step behind”, ossia un sistema che non sia basato esclusivamente sull’ultimissima tecnologia, ahimè sempre più complessa, affidandoci, almeno in caso di emergenza, all’utilizzo di strutture ed apparati più semplici e collaudati, che non siano soggetti all’effetto domino, o, quantomeno, che ne risentano  meno sensibilmente e ciò sarebbe possibilissimo proprio attraverso le conoscenze e le tecniche della nostra era informatica.

Stare un passo indietro, pur con le metodologie ed i materiali di oggi, nonché dare prevalenza all’affidabilità più che alla performance sarebbe ampiamente auspicabile da chi gestisce le emergenze nazionali, perché la vecchia telefonata via filo, il più delle volte, riesce anche quando internet è down ed una radio ricetrasmittente funzionerà sempre, a meno che non sia guasta e non sia stata sostituita con altra, anche se con limiti di connettività in senso spaziale ben inferiori a quelli mondiali dei telefonini. Sembreremmo non ricordare che, prima del 1989 (anno della prima rete cellulare mediamente funzionante in quasi tutta Italia) e prima del 1992 (anno in cui la rete internet si diffuse capillarmente nel nostro Paese) le reti di comunicazioni di emergenza funzionavano piuttosto bene, ed anche in periodi ancora precedenti della nostra storia abbiamo affrontato guerre, terremoti, calamità enormi, tragedie nei trasporti ed attentati senza aver fatto palesemente peggio di quanto si faccia ora. Ma allora certe strutture erano regolarmente manutenute e tenute costantemente in esercizio, con operatori abilissimi e ben motivati. Oggi ci affidiamo esclusivamente a computer e cellulari. “Pronto, chi parla?“. Nessuna risposta. Non parla nessuno.

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