Stando alle ultime di ieri sera da Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe deciso di prorogare lo stato di emergenza e oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe assumere la decisione. Si parla di tre mesi, fino al 31 marzo, quindi oltre i due anni ad oggi consentiti dalla legge. Servirebbe dunque un adeguamento normativo.
Ma come abbiamo più volte sottolineato su Atlantico Quotidiano, sull’emergenza China virus si è giocata fin dall’inizio in Italia anche una partita politica: quella per la sopravvivenza della legislatura. Non solo perché deputati e senatori restano aggrappati alla poltrona e agli emolumenti fino all’ultimo giorno utile. La sopravvivenza della legislatura era, ed è fondamentale per la tenuta dell’assetto di potere esistente: bisognava scongiurare a tutti i costi un’elezione anticipata, dalla quale sarebbe potuta uscire una maggioranza di destra in tempo utile per eleggersi, per la prima volta, un proprio presidente della Repubblica. Il China virus è stato in questo provvidenziale.
E qui arriviamo alla seconda, più grande partita che nelle ultime settimane si è sempre di più intrecciata con l’emergenza. Altro che contagi e terapie intensive, lo stato d’emergenza come carta da giocare nella partita per il Quirinale. E sappiamo bene che a dispetto di silenzi e retorica, sia il capo del governo dei “Competenti” che l’attuale presidente della Repubblica sono della partita.
Ormai nelle dichiarazioni quotidiane dei politici e nei retroscena dei giornali non si prova nemmeno più a dissimularlo: il dibattito sullo stato di emergenza non segue logiche sanitarie, ma squisitamente politiche. L’emergenza allontana Mario Draghi dal Colle, quindi sono favorevoli alla proroga i partiti – il Pd su tutti – che lo vorrebbero inchiodato a Palazzo Chigi almeno fino al 2023. L’argomento è potentissimo, come ha già spiegato Musso: se siamo ancora in emergenza, allora Draghi non ha ancora completato il lavoro per il quale era stato chiamato a guidare il governo. L’emergenza ancora in corso suggerisce di mantenere l’attuale assetto, con Draghi a Chigi e Mattarella al Quirinale.
Draghi, ovviamente, al Colle vorrebbe andarci subito, quindi resiste. Come? La soluzione studiata nei giorni scorsi, ma a quanto pare naufragata, era di trasformare in ordinari gli strumenti e le strutture emergenziali, che quindi avrebbero potuto continuare ad operare anche senza una proroga formale dello stato di emergenza.
A questo proposito era uscito nei giorni scorsi su la Repubblica un retroscena piuttosto inquietante: struttura commissariale di Figliuolo da spostare sotto la Protezione civile ma con “pieni poteri”; avvalersi del Comando operativo interforze, al cui vertice sta per andare lo stesso Figliuolo, “per le operazioni sul campo”; misure straordinarie da ricondurre all’ordinario; mantenere il sistema a zone colorate, o decretare zone rosse, senza “l’ombrello dell’emergenza”.
Pare che ieri a Palazzo Chigi si siano arresi all’evidenza: risulterebbe, al momento, “non funzionalmente percorribile” il trasferimento della struttura commissariale guidata dal generale Figliuolo all’interno del Dipartimento della Protezione civile a causa delle “farraginosità non coerenti con i tempi di reazione necessari”.
Da qui la decisione di prorogare lo stato di emergenza, presa – tengono a precisare fonti di Palazzo Chigi – “senza condizionamenti dei partiti, ma solo in condivisione con il Cts”. Una frase per smentire ciò che era apparso sempre più evidente dalle cronache e dai retroscena degli ultimi giorni, e cioè che la decisione di prorogare o meno lo stato di emergenza rispondesse a logiche politiche. Ma è una toppa peggiore del buco. I “condizionamenti dei partiti” fanno parte del gioco democratico, è con i partiti di maggioranza che la responsabilità politica della decisione andrebbe condivisa, mentre Draghi tiene a farci sapere che essa è condivisa solo con il Cts, un organo tecnico. Una “rivelazione” di estrema gravità.
Questo è il momento però di mettere a fuoco l’enorme equivoco sullo stato d’emergenza, che in questi due anni si è ingrossato a dismisura, in parte per l’ignoranza diffusa nella classe politica e nel circo dei media, su cui però qualcuno ha giocato con estrema spregiudicatezza.
La nostra Costituzione non prevede uno stato d’emergenza che assegni al governo “poteri speciali”. Nel nostro ordinamento, lo stato di emergenza è previsto dal codice di protezione civile e serve unicamente alla Protezione civile e alle strutture commissariali eventualmente create ad hoc per adottare ordinanze in deroga, per esempio, al codice degli appalti (per superare le “farraginosità non coerenti con i tempi di reazione necessari”).
Bisogna distinguere dunque tra lo stato d’emergenza, che ha permesso alla struttura commissariale guidata prima da Arcuri poi da Figliuolo di operare agilmente, e le misure restrittive delle libertà fondamentali adottate dal governo Conte prima e da Draghi poi. Queste ultime prescindono, dal punto di vista giuridico, dallo stato d’emergenza, ovvero si sarebbero potute adottare anche senza. I lockdown, il coprifuoco, il sistema a zone colorate, il Green Pass basic e super, tutte le restrizioni non hanno bisogno della copertura giuridica di uno stato d’emergenza, ma di un decreto legge convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni. Questo è lo strumento che la Costituzione attribuisce al governo per governare le emergenze. E il primo vaglio di costituzionalità dei decreti legge spetta (o spetterebbe) al presidente della Repubblica che li firma, ma qui si aprirebbe un altro tema…
In pratica, nel nostro ordinamento lo stato di emergenza esiste a livello “amministrativo”, tanto che la legge prevede che sia deliberato dal Consiglio dei ministri, non dal Parlamento.
Tuttavia, è evidente che lo stato d’emergenza ha svolto in questi due anni anche una funzione politica. Può apparire paradossale, dal momento che non ne avrebbero avuto bisogno dal punto di vista giuridico, ma i governi stessi hanno promosso l’idea che le restrizioni, che fossero introdotte per Dpcm o per decreto legge, necessitassero dell’ombrello dello stato d’emergenza. In questo modo, sarebbero state più facilmente approvate dal Parlamento, sostenute dal sistema mediatico e digerite dall’opinione pubblica.
Prendete l’intervista di ieri del consulente del ministro Speranza, Walter Ricciardi. Titolo tra virgolette: “Urgenza da prorogare, a gennaio serviranno scelte forti”. Ma per queste non serve lo stato d’emergenza del codice della protezione civile, “scelte forti” possono essere assunte con lo strumento ordinario previsto nei casi di necessità e urgenza: il decreto legge.
Nelle parole prima di Conte e poi di Draghi, dei loro ministri e dei media allineati, lo stato d’emergenza che per legge serve solo a rendere più agile le strutture della Protezione civile è stato usato come espressione evocativa di poteri speciali del governo, per giustificare ogni tipo di restrizione senza dover dare troppe spiegazioni, senza supportarle con dati e travolgendo il principio di proporzionalità.
Vitalba Azzollini è stata la prima, già questa estate, a spiegare come lo stato d’emergenzia sia stato “snaturato” dal governo Draghi. Nella forma: a luglio, quando è stato prorogato per decreto legge (n. 105), anziché con delibera del Cdm. E nella sostanza: nel decreto non si richiama più la legge alla base dello stato d’emergenza, il codice della protezione civile (decreto legislativo 1/2018). Non è questione di lana caprina ma di sostanza. In pratica, il governo Draghi in questo modo si è inventato di sana pianta uno stato d’emergenza che non è previsto nell’ordinamento, che resterebbe svincolato dalle regole di riferimento e dai paletti entro cui era stato concepito.
“Gli stessi rappresentanti delle istituzioni – osservava Azzollini – ormai parlano di stato di emergenza in modo improprio, cioè slegato dai vincoli sanciti della legge citata”, con il rischio che in futuro – ma lo vediamo già oggi – ci sia la più ampia discrezionalità nel dichiarare un’emergenza. A tal punto da poter dichiarare o prorogare uno stato d’emergenza in ossequio ad un principio di “precauzione” che travolga tutti gli altri diritti, o trascorsi ormai due anni dalla comparsa del China virus, non più quindi un evento inatteso ma un problema con il quale convivere e da gestire con strumenti ordinari. Il rischio, paventato ieri da Roberto Pozzo, di uno stato di emergenza permanente senza emergenza, come nei regimi autoritari.
C’è di che preoccuparsi, dunque, a prescindere dalla proroga. È allarmante che sia stato snaturato lo stato d’emergenza a tal punto da far credere che giustifichi qualsiasi restrizione decisa dal governo. E ci sarebbe da preoccuparsi anche se non venisse prorogato, ma restassero in vigore i “pieni poteri” al commissario straordinario (“può adottare in via d’urgenza i provvedimenti necessari a fronteggiare ogni situazione eccezionale … in deroga a ogni disposizione vigente”), zone colorate e l’apartheid del Green Pass, “armi” che, si è ben capito, Draghi vorrebbe mantenere e rendere “ordinarie” sine die, a tempo indefinito. Da uno stato d’emergenza ci troveremmo – e forse già ci troviamo – in uno stato d’eccezione…