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Stato d’emergenza e taglio rifornimenti per fermare il Freedom Convoy, ma la protesta si allarga

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Non si fermano le proteste contro gli obblighi vaccinali in Canada. A distanza di più di una settimana dal loro arrivo in downtown a Ottawa, i camionisti del Freedom Convoy ed i loro sostenitori hanno tenuto fede alla loro parola e sono ancora stabilmente accampati presso Parliament Hill, dove ha sede il Parlamento canadese.

Le autorità sembrano però intenzionate a far terminare la protesta, tanto che il sindaco di Ottawa ha dichiarato lo stato di emergenza. Piuttosto che uno scontro frontale, la strategia sembra puntare su interventi mirati per fiaccare la resistenza dei manifestanti: controllo ossessivo di documenti e assicurazione dei camionisti, qualche arresto per dare l’esempio (si è parlato di non meglio specificati danni alla proprietà privata), e soprattutto colpi alla catena di approvvigionamento, con la rimozione di una struttura dove erano stipate taniche di carburante. La polizia ha anche annunciato la volontà di arrestare chiunque porti benzina o gasolio e generi di conforto ai camionisti.

L’intenzione è quindi di rendere la vita difficile ai manifestanti per portarli ad abbandonare spontaneamente il luogo della protesta, così come avvenuto a Quebec City, dove un convoglio ha lasciato la città dopo minacce di multe e sequestri di veicoli.

La partita però è tutt’altro che chiusa, dal momento che altre città canadesi sono in stato di agitazione. Vancouver, Calgary, Edmonton, Regina: la lista delle città con proteste contro le restrizioni vaccinali non fa che allungarsi, con marce, cartelli, bandiere con la foglia d’acero, il grido “Freedom!” ripetuto ovunque, e soprattutto tanti automobilisti che suonano il clacson per solidarizzare con i manifestanti. Un valico di frontiera in Alberta è tutt’ora occupato da diversi camionisti. E un altro gruppo di manifestanti ha bloccato l’Ambassador Bridge, il più importante valico di frontiera, che collega la città di Windsor (Ontario) a Detroit.

CBC, la televisione di stato canadese sembra aver adottato un approccio un po’ meno filo-governativo: privilegia sì ancora le voci che condannano i manifestanti, ma ha concesso qualche spazio a chi ha criticato i politici che si sono rifiutati di incontrarli, e soprattutto ha ammesso che non si tratta di una minoranza così piccola e che molti sostenitori del Freedom Convoy chiedono un ritorno alla normalità: non la “nuova”, fatta di mascherine, bambini confinati in casa e distanziamento sociale, ma l’unica possibile normalità, quella pre-pandemica.

Troppo presto forse per concludere che il premier Justin Trudeau non sia più gradito ad un establishment che sembra prepararsi a scaricarlo, ma certo una differenza si nota.

La protesta ha ormai catalizzato l’attenzione internazionale su quel che succede a Ottawa e dintorni. Si dice che quando l’elefante (gli Stati Uniti) starnutisce il Canada si prende il raffreddore. Questa volta però sembra essere l’opposto, dal momento che i camionisti americani si preparano a seguire l’esempio dei loro vicini del nord. Anche Trump ne ha parlato in un suo comizio, definendo Trudeau un pazzo estremista di sinistra.

La decisione di GoFundMe di non sbloccare i rimanenti 9 milioni di dollari raccolti in favore dei camionisti, ma di rimborsarli ai donatori, ha suscitato l’indignazione di Elon Musk (che ha accusato la piattaforma di essere “ladri professionisti”) e la rabbia di un peso massimo dei Repubblicani americani, il senatore Ted Cruz, che ha chiesto alla Federal Trade Commission di aprire un’indagine sul comportamento di GoFundMe. I manifestanti si sono rivolti così ad un’altra piattaforma di crowdfunding, di ispirazione cristiana, GiveSendGo, raccogliendo oltre 4 milioni di dollari:

In questo quadro così mutevole cerca di farsi strada l’astro nascente del Partito Conservatore canadese, Pierre Poilievre. Classe 1979, già ministro nel governo Harper in carica fino al 2015, con una mossa ricca di significato si è auto-candidato a prossimo premier del Canada. Senza nemmeno attendere le primarie in un partito ancora scosso dalla cacciata del leader Erin O’Toole (cui si rinfaccia la sconfitta alle ultime elezioni e l’essersi spostato troppo a sinistra, con una sua proposta di carbon tax), Poilievre cerca di presentarsi come il volto nuovo in grado di riportare ai fasti i tradizionali valori conservatori: intervento statale ridotto al minimo, lotta all’inflazione che erode i salari, ed una immancabile strizzatina d’occhio ai manifestanti, con un chiaro riferimento alla libertà di scelta in fatto di vaccinazioni.

Chiara anche la sua contrapposizione al primo ministro in carica, con una frase diretta: “Trudeau pensa di essere lui il capo. Ed invece il capo sei tu, artefice del tuo proprio destino”. Un discorso insomma al Canada profondo, quello dei liberi professionisti e dei commercianti colpiti dalle restrizioni, da contrapporre alle elite snob dei liberal.

Dopo giorni di silenzio, torna a farsi vivo Justin Trudeau, dichiarando in Parlamento che le manifestazioni devono finire perché danneggiano la democrazia. Le sue ultime dichiarazioni, che definivano i camionisti in protesta come “una piccola minoranza con idee inaccettabili” non devono aver riscosso molta simpatia tra chi ritiene che non pensarla come lui non significhi necessariamente avere idee inaccettabili. Così come la minacciosa “rassicurazione” che per il momento non verrà impiegato l’esercito.

Comunque andrà a finire, Trudeau ha aperto una ferita che sarà difficile rimarginare fino a che rimane primo ministro. Impossibile dimenticare violazioni sostanziali della costituzione. Le normative federali impongono infatti l’obbligo vaccinale ai passeggeri che partono dal Canada o vi entrano. Norme non proprio in linea col Charter Of Rights, la parte della costituzione canadese che protegge i diritti fondamentali, tra i quali il diritto di spostarsi liberamente all’interno del Paese, di lasciarlo e di rientrarvi. Charter Of Rights che, per ironia della sorte, entrò in vigore nel 1982 su impulso dell’allora premier Pierre Trudeau, il molto popolare padre dell’attuale primo ministro.