Siamo ormai abituati ad un mondo patinato dove la morte non trova più spazio, l’abbiamo nascosta negli ospizi, camuffata con le badanti, esorcizzata con le modelline di Instagram, con le baby fidanzate degli attori ricchi e famosi, con la chirurgia estetica ossessiva di glutei, seni e persino polpacci, con l’ultimo ritrovato coreano della beauty care relegata nel privato, nel personale, nel profondo e, spesso, nel completo oblio. O, forse i più sensibili, i meno cinici, in dolci memorie e malinconie che, per pudore, non abbiamo neanche più il coraggio di condividere con gli altri, a paradosso di un’epoca in cui condividiamo persino quante volte andiamo al bagno e che mutande griffate caliamo.
È in questa epoca di superficie più che mai, in questo momento storico di eccessi e abbondanza, di consegne a domicilio “comodamente dal vostro divano” che nessuno di noi avrebbe mai pensato di vivere, che stanno venendo fuori, stanno resuscitando, come zombie implacabili, le nostre paure più recondite, le nostre inconfessate incertezze, per il presente e per il futuro: mai, mai, nell’età dell’inutile avremmo pensato di vivere sulla nostra pelle un’epidemia globale mortale quasi fantascientifica. Questa è la guerra della generazione a mille euro, di quelli che hanno lavorato anche gratis, meno cruenta ma altrettanto dolorosa.
La pandemia ci sta obbligando a rinunciare al superficiale, inteso non solo come carta igienica a tre veli. Anche perché non è che puoi stare al supermercato tre ore a decidere quale shampoo è meglio dell’altro, c’è gente anziana in fila che aspetta e che non va fatta aspettare.
Già, perché gli anziani non hanno tempo da perdere, perché a quanto pare non li possiamo salvare, non li riusciamo a proteggere, loro, che sono cresciuti con il concetto che non si butta via niente e ce l’hanno inculcato, che tutto si deve conservare perché può servire, che il pane raffermo si fa in panzanella e una busta di plastica è un piccolo tesoro.
Ecco, nell’impressione generale di questa malattia infingarda è che è proprio loro che stiamo buttando via. Con compassione, con affetto, con fatica, con rabbia, con grazia e, senza alcun dubbio, con grandissimo, infinito, amore.
Sono loro che non possiamo nemmeno salutare se superano la soglia di una terapia intensiva, che affidiamo ai sanitari che per loro e per noi rischiano la vita ogni giorno, sono loro le cui mani delicate non potremo più stringere ma solamente ricordare.
Sono migliaia le storie che sentiamo, leggiamo, vediamo alla tivù, migliaia di storie strazianti di migliaia famiglie straziate che perdono i loro cari senza nemmeno l’ultimo saluto. E sembra quasi che qualcuno abbia anche dimenticato che sono migliaia le famiglie che vivono della pensione del grande vecchio che sfama e ha sfamato tutti col suo faticoso lavoro.
Padri morali invisibili di una intera generazione che questa malattia ci sta strappando senza nessuna pietà, famiglie spezzate, figli abbandonati, corpi imbustati perché non c’era la procedura, perché il pronto soccorso era pieno, perché era una polmonite avanzata e il medico non era venuto a casa perché i suoi capi gli avevano detto di non uscire. Eppure, di medici ne sono morti e la colpa, la responsabilità, ancora non si sa di chi è.
E allora, passato in fretta anche il tempo inconsapevole delle canzoni e delle cicale, facciamo appello alla forza d’animo, tutti, alla speranza, ci rassegniamo all’imprevedibilità, alla burocrazia maledetta, ai decreti dell’emergenza affrontata come una procedura di bando infinita, all’ennesima inesorabile primavera che arriva, alla caducità dell’esistenza e riscriviamo l’elenco delle priorità: “faremo poi”, “diremo poi”, “protesteremo a tempo debito” perché, dicono loro, allo storytelling del disastro annunciato da fior di servizi giornalistici cinesi con tanto di chiare immagini serve autoaffermare che “non è il momento delle polemiche”.
Ma, qual’è il tempo debito della morte? Chi pagherà per il nostro dolore? Chi pagherà le aziende che non riapriremo? Le case che perderemo? Chi ripagherà i genitori, gli amici, i vicini di casa che abbiamo perso e perderemo per un’ambulanza non attrezzata che è diventata un focolaio o che non è neanche partita?
Senza invocare giustizie sommarie, ma inchieste e commissioni serie che non dovranno esser fatte mancare, se si vorrà incassare anche solo un euro di tasse, qualcuno dovrà ripagare il prezzo del dolore di una generazione che vive di economie distrutte ogni dieci anni e non riesce mai a rialzarsi, dovrà pagare l’impreparazione, l’approssimazione, la tardività, le teorie e le smentite delle teorie, gli spot, gli aperitivi. Ma, stiano pure tranquilli i vivi e i morti: se è vero che in Italia ci sono legge, democrazia e libertà, i responsabili, in un modo o in un altro, pagheranno caro, pagheranno tutto.