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Su Silvia Romano la fiera dell’ipocrisia politicamente corretta che rivela l’odio di sé dell’Occidente

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Si cominciano a inquadrare meglio tante cose. La madre di Silvia Aisha Romano: “Provate voi a mandare una figlia in un posto del genere, poi vediamo se non vi torna convertita”. Uno le ha risposto su Twitter: “Gentile signora, nessuno sano di mente manda o lascia partire una figlia in un posto del genere”. Questo è odio, oppure istintiva reazione della logica umana, senza la quale siamo perduti? Un lancio di agenzia informa che “dopo l’atteggiamento fortemente critico di alcuni giornali, si sta valutando di assegnare una scorta a Silvia Romano”. Si capisce, non versava in pericolo come ostaggio dei peggiori macellai sulla faccia della terra, rischia adesso siccome i giornali, pochissimi per la verità, non scodinzolano a comando, fanno domande invece che le feste. Sì, si capisce anche troppo bene. Inaugurato dalla cantante organica Fiorella Mannoia, è partito il giochino sui social: ignoranti, bestie, fascisti, chi non esulta per il riscatto di “una vita umana” lo taglio fuori perché non è degno di me.

Questa latitanza dell’intelligenza non si accetta più. La “vita umana” può essere un punto di partenza, non l’arrivo che chiude il cerchio lasciando aleggiare le ambiguità. “Beh? Una non può essere libera di convertirsi a quello che vuole?”. Non è così, la conversione, ammesso che esista, che non sia frutto di ottundimento sistematico e magari tossico, come ipotizza uno zio di Aisha, ex Silvia, non sarebbe all’Islam ma all’islamismo fanatico, radicale e c’è una bella differenza, anzi brutta, orribile. Preoccupante: guardatevi i filmati, divertitevi a cogliere i possibili segnali (la mano piegata in un certo modo, la pancia di continuo sfiorata, la tunica che la signorina ha assolutamente rifiutato di togliersi, sapendola un preciso veicolo di propaganda). È partita una ragazzina in crisi d’identità, scagliata all’inferno da una delle troppe ong di cartone che, a quanto è trapelato, risulterebbe perfino coinvolta nell’alone di realtà inquietanti. E questo, delle false associazioni che svolgono attività di copertura, è il segreto di Pulcinella da liquidare col girotondo: pace, amore, arcobaleno e maranathà. È partita una giovane ingenua, è tornato un enigma avvolto in una camicia di forza. “Mi serve tempo”.

La palandrana, a proposito. Simbolo di oppressione, bandiera bianca, o verde, di resa incondizionata eppure sbandierata dalle femministe, le metoo che montan su un casino per un bacio o una parola considerata stupro ma glissano sulla matrice fondamentalista cui Aisha è finita associata, che le donne le stermina a mazzi dopo averle ripetutamente violentate, adibite a fattrici di nuovi terroristi. Come la presenzialista Selvaggia Lucarelli, una delle troppe miracolate dall’informazione cabaret, che ipotizza demenziali paralleli tra lo straccio coatto del fanatismo islamista somalo e il sombrero delle vacanze, al che Maria Giovanna Maglie, sia benedetta, ce la manda senza neppure scomodarsi a nominarla. A corto di logica si sbandiera il sincretismo che se mai è sincretinismo, tutte le credenze frullate in un minestrone transfideistico in cui tutto vale tutto, nel misticismo di cartone. Per una chiesa cattolica che accoglie la figliola non tanto prodiga senza fiatare “perché è nostra figlia, la figlia di tutti”, ma tu senti che scemenze questi vescovi, c’è, anzi non c’è un imam, una voce autorevole con la faccia di dire: no, così non va, questa ragazza è stata rapita, segregata, costretta, annientata. Quello di Milano se l’è cavata con quattro banalità levantine, “Sono pronto ad incontrarla”, “bene se si è convertita spontaneamente”. Ma sì, pigliamoci pure per i fondelli. Se poi una donna, di cultura locale, araba, osa eccepire, con lealtà, dall’alto della sua esperienza, subito spunta la giornalistella in carriera, la piddina patinata, mai uscita dalla ztl, che le ringhia: non sai di che parli, vergognati.

La retorica passepartout della “vita umana” avvolge e neutralizza lo spinoso groviglio del riscatto, 4 milioni? 40? 400? “Perché, la vita umana ha forse un prezzo?”. No, certo che no, ma non ce l’hanno neanche le prossime vittime che i soldi del sequestro serviranno a mettere nel mirino; non ce l’hanno neppure i tanti religiosi, cooperanti, operatori sui quali oggi è messa una taglia virtuale: sono italiani, valgono tot, prendeteli, tanto lo Stato paga. “E deve pagare” spiega la carrierista ztl, “perché l’ostaggio è italiano e noi siamo italiani”. La “conversione spontanea”, nella circostanza, non depone? Il rinnegamento della propria matrice neppure? Il sovranismo, quando ci vuole, ci vuole? A questa stregua, serve una collana di decreti salvaitalia di Giuseppi con mirabolanti promesse di capitali freschi.

Guai a considerare il rischio mostruoso in cui versano queste avven/turiste del “bene” una volta spedite nelle viscere del pericolo: la generosità, la fratellanza, il coraggio di una donna – altro virus del pensiero, inteso come capacità di ragionare – sistema tutto: ripetuto a mitraglia dai qualunquisti del politicorretto, dagli zelanti filogovernativi che chiamano le guardie se uno gira senza mascherina e non lasciano i figli neppure in cortile. Ma quale coraggio? Quale generosità? Quale aiuto, quello di far giocare ragazzini con le cannucce spitturacchiandoli in faccia? Si risolve così la questione africana? Aisha non più Silvia sarebbe un’eroina, anzi una “eroa”, bando ai diminutivi, che sono sessisti. Non si capisce come e perché, però merita la scorta, come Saviano. È rimasta diciotto mesi in balia dei peggiori tagliagole della terra, e le mettono la scorta contro i twittaroli. Ma, tenuta presente la quota fisiologica di imbecilli e sfaccendati da tastiera, la faccenda ricorda quella per la senatrice Segre che riceveva “200 messaggi minatori al giorno”, secondo Repubblica, e poi si è scoperto che erano un paio al mese a esagerare. Secondo i riscontri, per Aisha i messaggi in qualche modo scabrosi non sono più di 40. Molti invece quelli sbracati e della volgarità demenziale, siamo d’accordo, ma da quelli nessuno è immune e diciamo pure che andrebbero evitati, che è come pretendere che la malapianta dell’umanità si raddrizzi. Hanno strillato le gazzette di cocci di vetro contro la sua casa, ma bastava avere una pratica sommaria della strada, del Casoretto, con la sua confusione multietnica, coi suoi negozietti esotici tenuti d’occhio dalla Digos, per cogliere la verità. E la verità poi l’ha ammessa lo zio della sciagurata: una bottiglia frantumata da due ubriachi che sbarellavano per i fatti loro. Odio no, demenza tanta, certo però che la fanciulla non ha brillato per empatia, molti hanno avvertito come un fastidio, un disagio: non spendeva una sillaba per i suoi liberatori, copriva di miele i suoi padroni, neppure l’ombra di un pensiero per le loro vittime, si è subito rivolta ai fan musulmani salmodiando su Facebook secondo formule rituali, tutta roba che ha irritato chi assiste a una situazione al limite del pazzesco.

Conversione a U anche sulla presunta maternità: “E allora?” urlacchiano i fanatici. “Era forse un delitto portare in grembo un frutto del suo amore?”. No, se mai sarebbe stato preoccupante se quel frutto fosse stato imposto dalla propaganda jhadista. Detta poi dalle esagitate dell’aborto sempre e comunque, la difesa d’ufficio suona un po’ maleodorante. Fino all’ipocrisia definitiva che è anche la più cinica: bisogna essere felici perché lei è felice punto e basta. Felice? “Non tornerà mai come prima”, dice lo zio. Si capisce l’odio atavico degli estremisti da destra a sinistra per tutto quello che sa di occidente, di Amerika, e perfino di Italia, tutto è buono per muovere la guerra di popolo, almeno idealmente: ma onghettine, metoo, antifà, antirà, facciamorete e restiamoscemi dovrebbero tenere presente che i terroristi di al-Shaabab, legati ad al Qaida, conservano una matrice neonazistoide per storia, presupposti, origini risalenti all’inizio del secolo scorso. O è questo che seduce morbosamente qualcuno? Ringhiano i buoni: silenzio, luridi vermi sessisti, esultare e zitti se no vi spacchiamo la testa, vi appendiamo a testa in giù. Forse la scorta dovrebbero darla a chi dissente, a chi ragiona.

Nessuno odia Aisha ex Silvia, se mai gli italiani prostrati da due mesi senza passato e chissà quanti senza futuro non capiscono, non gradiscono la scena di una che, costata quello che è costata, si ripresenta come una estranea, una che con loro non ha più niente a che spartire e non lo nasconde. Ma il diversamente tollerante Gino Strada liquida ogni questione così: e allora gli F35? Al che, se davvero siamo al teatro dell’assurdo, basterebbe replicare: kata-kata-katanga. Sì, una “vita umana” non ha prezzo. Ma se questa è una donna libera anziché selvaggina, come dolentemente l’ha definita Giulio Meotti, se va portata in processione anziché preservata e negata a una propaganda jihadista che richiamerà sotto l’ombrello della riemergente al Qaida migliaia di aspiranti macellai, se è la testimonial della gioia anziché di una angosciante resa dell’occidente in tutti i sensi – religioso, civile, politico, geostrategico, perfino industriale, se voi non capite tutto questo e vi drogate della vostra presunzione, della vostra spocchia, della stupidità bugiarda che vi contraddistingue, siete voi a dovervi togliere dalle palle e alla svelta.

“Silvia esempio da seguire”, dicono le estreme di destra e di sinistra che si specchiano nell’antioccidentalismo, dicono anche le testate confessionali cattocomuniste, sempre più comuniste. Ma l’“esempio” ha scatenato conseguenze diplomatiche immani e non ha convinto nessuno. Non era da seguire, è lei che segue se stessa, in fuga da se stessa, verso l’ignoto. Verso un alibi. Ne ho incontrate tante, dopo un po’ si stufavano, rientravano nelle loro comfort zone, ma almeno fingevano di darsi da fare in una comunità italiana, zero rischi, zero apporti e di nuovo il distanziamento sociale. Obiettore a servizio civile in un luogo di sofferenza, di handicap pesanti, chiedevo: perché sei qui? Sorridevano, ma senza rispondere. Una sola mi disse: in famiglia non ce la facevo più.

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