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Il suicidio della cultura occidentale

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Conversazione con Giulio Meotti

Giulio Meotti è giornalista del Foglio e autore di diversi libri di approfondimento politico e geopolitico. “Il suicidio della cultura Occidentale. Perché l’Islam radicale sta vincendo”, pubblicato da Lindau, è il suo ultimo lavoro.

ADRIANO ANGELINI SUT: Partiamo dal titolo, drammatico se vogliamo. E’ davvero così? Tu dici, l’Occidente è ancora forte militarmente ma si è suicidato culturalmente. Ma questo vuol dire una sua schizofrenia interna. E come se ne esce?

GIULIO MEOTTI: Soltanto ritrovando la fede nella cultura occidentale fondata sull’Illuminismo e l’umanesimo di matrice giudaico-cristiana. Il primo è oggi tradito via da una laicità floscia e schizofrenica, che aggredisce il cristianesimo ma porge il fianco all’Islam. Voltaire si fa valere soltanto contro il cattolicesimo. Il secondo è insidiato a morte da un “politeismo dei valori” post-sessantottino. Non combatti qualcosa con il niente.

AAS: Perché hai dedicato l’apertura del libro al Festival Burning Man che si svolge ogni anno in Nevada?

GM: Perché l’edonismo è la nuova religione contemporanea e il Burning Man lo celebra senza imbarazzo. Lo spiega bene D.F Wallace nel suo capolavoro, “Infinite Jest”. In occidente sta sorgendo una enorme “classe inutile” dedita soltanto a coltivare il piacere fisico ed emotivo. Ci siamo ubriacati di piacere e di diritti che non sappiamo più nemmeno perché difenderli quando finiscono sotto attacco. Ma come faranno i transumanisti a convincere un miliardo e mezzo di musulmani a dedicarsi alla felicità, all’orgasmo e alla pace dei sensi? E’ lo scontro fra l’Occidente transumanista che vuole costruire qui il suo paradiso e una antica religione che persegue la beatitudine nell’aldilà delle 72 vergini, fra l’“Homo Deus” e la soumission, fra la società del piacere eterno e la civiltà della vita eterna, fra l’edonista e il martire. E’ una obsolescenza culturale che ha partorito un essere umano dal ventre molle, che rifugge dalle sue responsabilità storiche. E’ la Spagna di Zapatero, che dopo le stragi di Atocha si ritira dall’Iraq e si getta nelle braccia di un nichilismo spaventoso.

AAS: Oggi i paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) sembrano gli unici ad aver compreso appieno il pericolo islamista e hanno dato non solo una forte stretta all’immigrazione proveniente dai paesi a rischio radicalizzazione ma al suo interno le destre che si rifanno alla tradizione cattolica sembrano aver riconquistato posizioni (alcune frange, c’è da dire, con posizioni antisemite piuttosto discutibili e pericolose). Per questo, la solita sinistra salottiera, tramite i suoi giornali à la page, li accusa di xenofobia e razzismo. Tu credi che anche l’Italia, uno dei paesi più esposti all’immigrazione, dovrebbe seguire il loro esempio?

GM: Il nucleo di Visegrad si fonda sull’identità, sulla riscoperta delle radici e su una certa sfrontatezza post-comunista allergica al pensiero unico, ieri di Mosca e oggi di Bruxelles. Non vedo questi meccanismi in atto in Italia. Noi siamo un grande bacino di indifferenza. Paradossalmente la battaglia si gioca nei paesi più islamizzati, come la Francia, dove ancora resistono sacche di rivolta intellettuale, nei giornali, nei libri, nella politica, persino fra i cattolici.

AAS: Mi ha colpito, nell’introduzione, l’affermazione dell’ex ministro dell’Istruzione polacca, Ryszard Legutko, che riporto: “L’analfabetismo culturale non ha aperto le menti delle nuove generazioni; al contrario, le ha chiuse a un livello difficile da immaginare anche mezzo secolo fa. La nostra libertà è notevolmente diminuita ma noi, avendo accettato senza riflessione la retorica prevalente, riteniamo che sia cresciuta. L’uomo nuovo non tollera alcun dissenso.” Ecco, io sono molto d’accordo su questo e anche preoccupato. Che mi dici delle nuove generazioni?

GM: I millennials sono i “fiocchi di neve”, una generazione placida e comica che non sa più perché democrazia, stato di diritto, capitalismo e cultura occidentale siano meglio delle alternative. Vogliono “spazi sicuri” che li mettano al riparo dalla concorrenza delle idee. Vivono in una nicchia orrenda di luoghi comuni e di pensiero debole ma che è fortissimo nell’industria culturale.

AAS: Io sono convinto di una cosa. Il nostro stile di vita si difende con l’ordine pubblico e il blocco totale dell’immigrazione e, lì dove serve, qualche bel regime change in stile neocons nei paesi che Trump ha giustamente definito shithole; davanti a noi (e questo è il mio parere) non abbiamo affatto persone ragionevoli e accomodanti, ma eredi dei conquistatori arabi dei secoli scorsi, il cui DNA non è mai cambiato; in una sorta di drammatico stallo evolutivo. Tu pure fai riferimento al fatto che il nostro stile di vita lo difendiamo a chiacchiere. Ci ricordi qualche bell’esempio di chiacchiera?

GM: I concerti al Bataclan di Sting, le candele, gli orsacchiotti, gli slogan come “Je suis Charlie”, le veglie, le marce, i fiori, le dichiarazioni altisonanti come “non cederemo al terrore”. Sono manifestazioni di una cultura del rimorso e della disfatta in cui, di fronte al massacro islamista, non abbiamo niente da contrapporre. Siamo fermi alla caccia alle cellule terroristiche, siamo diventati bravi in questo, ma la guerra si vince ideologicamente. E quella la stiamo perdendo.

AAS: Un’ultima riflessione. Con l’immigrazione islamica in Europa ritorna l’antisemitismo che sembrava sconfitto dopo il Nazismo. Carl Lagerfeld, il noto stilista tedesco, nel novembre scorso ha giustamente affermato che questo tipo di immigrazione è un affronto alle vittime dell’Olocausto, accusando le folli politiche di accoglienza messe in pratica dal governo tedesco di Angela Merkel. Tu racconti molto bene quanto sta avvenendo non solo in Germania, ma soprattutto in Francia. Ti faccio una domanda provocatoria. Davvero queste politiche immigrazioniste sono legate soltanto al nostro ridicolo senso di colpa che ci spinge ad aprire le braccia perfino ai nostri carnefici, oppure alle semplici necessità pratiche di forza lavoro, o c’è dell’altro?

GM: Forza lavoro e pensioni sono soltanto delle scuse. All’origine della crisi migratoria c’è l’incapacità occidentale di “tenere duro”, di non cedere alle sirene di un facile umanitarismo che serve, politicamente, soltanto a produrre consenso a buon mercato. E c’è l’idea di sinistra che vede nell’immigrato il nuovo proletariato. Hanno perso tutto, dal comunismo alla classe operaia. Restano loro soltanto le minoranze, culturali e religiosi. E la vecchia decostruzione della cultura di matrice post-marxista.