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Sul Covid un rischioso esperimento sociale: da Roma a Madrid, la democrazia cuoce a fuoco lento

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Documento numero uno.
“Vieteremo le feste private in casa” (Roberto Speranza, ministro della salute)
“E come farete a controllare?” (Fabio Fazio)
“Aumenteremo i controlli, ci saranno segnalazioni” (Roberto Speranza, ministro della salute)

Documento numero due.
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone”.
(Noam Chomsky, dal suo “Media e Potere”)

Documento numero tre.
“Sono, con tutta evidenza, esperimenti sociali volti a testare la capacità di sottomissione di un popolo. E vanno tutti a buon fine”.
(Max Del Papa, Atlantico Quotidiano di ieri)

L’articolo potrebbe finire qui. Aggiungo poche considerazioni, a costo di rovinarlo. Detesto le iperboli in politica: non scomoderò mai fascismo e comunismo dove non li vedo, le dittature sono una cosa seria e le parole sono importanti. Nonostante ci sia chi applaude all’idea del vigilante di condominio, la Stasi è morta trent’anni fa in terre sufficientemente lontane, Roma e Madrid non sono Minsk né lo saranno mai (si spera). Tira, però, un’aria pesante nelle nostre stanche democrazie, almeno quelle di cui ho esperienza diretta, un cupio dissolvi in nome e per conto di quei giganteschi comitati di salute pubblica in cui si stanno trasformando i nostri governi.

Sette mesi dopo l’inizio di un’emergenza che “non si poteva prevedere” (così ci fu detto), in Italia e in Spagna i due governi più a sinistra dello spettro politico europeo (quella portoghese è un’esperienza a parte) ne stanno cavalcando un’altra, come se il tempo fosse trascorso in vano, come se la loro stessa esistenza dipendesse da quella del virus che proclamano di voler combattere. Uno stillicidio di misure e messaggi contraddittori, di allarmi e sanzioni a colpi di decreto, di arresti domiciliari “per il nostro bene”, di polemiche politiche con i governi regionali, di sensi di colpa indotti, di stanze del panico, di informazione somministrata come un anestetico o un eccitante (a seconda del bisogno) dai canali di Stato: la strategia del populismo “progressista” di Palazzo Chigi e della Moncloa, a ben guardare, segue da mesi gli stessi schemi consolidati. È la politica dell’avvertimento, della minaccia, una truffa intellettuale.

Temo che non ci si renda conto della trasformazione in atto nel rapporto fra governanti e governati, mentre è in corso un esperimento sociale dai tratti indefiniti e dagli esiti incerti, sapientemente orchestrato in omaggio al sacro principio della difesa da un nemico invisibile, “oggettivo” si direbbe in altri contesti. La sovranità popolare è stata di fatto sospesa in nome della preponderanza di governi ormai senza pesi e contrappesi, che obbediscono soltanto alla loro versione dei fatti priva di contraddittorio. La risposta facile è che si tratti di una situazione provvisoria dovuta all’emergenza e che, una volta cessata, tutto tornerà come prima. Ma chi decide quel che è emergenza e quel che non lo è, se non gli stessi che si arrogano poteri speciali per affrontarla? È dovere dello Stato farsi carico del benessere della collettività, ci viene insegnato fin dalle scuole elementari, dove invece si tace che in una democrazia liberale i limiti del potere sono tutto. Che i governi, gli apparati statali, le amministrazioni tendano ad espandersi appena intravedono gli spazi per farlo, è cosa nota. Che abbiano potuto permetterselo senza praticamente trovare resistenza è una realtà che nemmeno i più devoti apologeti della preminenza del pubblico sul privato, del collettivo sull’individuale, si sarebbero mai sognati. La cittadinanza si guarda inebetita e spesso complice, sballottata tra un’ora d’aria e una sessione di smart working, tra un divieto di cantare e una pacca sulle spalle. Lo Stato ci vuol bene, ci sgrida per renderci responsabili, ci protegge da noi stessi, nel gregge è la salvezza della pecorella smarrita. Le pecorelle oggi indossano tutte la mascherina, anche all’aperto, anche dove non ci sono i lupi. Precauzione, la chiamano alcuni. Dare l’esempio, dicono altri. Sempre più facile che pensare, che fare i test e tracciare i contatti, che isolare i malati e lasciare liberi gli altri.

Sul coronavirus è scomparsa anche l’opposizione politica, avrete notato, rassegnata, schiacciata sulle posizioni ufficiali, qualche protesta in televisione ma in fondo disposta ad accettare le imposizioni in nome del “bene comune”. Poche sono le voci che gridano nel deserto, mentre i governi interpretano l’emergenza come un assegno in bianco, che non richiede discussione politica né giustificazione. Anche la scienza diventa un paravento, i virologi si succedono come semplici pedine di una comunicazione contraffatta, in cui si lancia il messaggio che conviene nel momento che si ritiene opportuno: nemmeno il loro parere ormai è rilevante per chi comanda, ogni decisione è amministrativa. Siamo davanti a un sostanziale svuotamento dell’azione politica in favore di un modello gestionale non soggetto a scrutinio, ma fortemente impregnato di uniformità ideologica. L’etichetta di “negazionista”, affibbiata come uno stigma a chiunque osi presentare obiezioni (non sull’esistenza del virus ma semplicemente sulle misure per affrontarlo), chiude ogni possibile confronto tra chi è dalla parte giusta della storia e il resto dei condannati.

La DDR è lontana, ma sia Italia che Spagna si confermano terreni favorevoli ad esperimenti sociali di stampo paternalista e fondamentalmente coercitivo. Si bolle la rana in pentola aumentando gradualmente la temperatura. Occhio.