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Swing voters ancora decisivi, ma non sono i “moderati” che ha in mente l’establishment. Intervista a Tom Packer

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Il dottor Tom Packer è Research Fellow presso l’Institute of the Americas, University College London, e Associate Fellow presso il Rothmere American Institute dell’Università di Oxford. È esperto di storia, elezioni e conservatorismo statunitense. Lo abbiamo intervistato per comprendere le differenze tra i due candidati alle elezioni presidenziali e il loro potenziale impatto sugli Stati Uniti d’America e sul mondo.

ARIANNA CAPUANI: Crede che queste elezioni presidenziali siano in qualche modo senza precedenti, alla luce della polarizzazione dell’opinione pubblica negli Stati Uniti e altrove?
TOM PACKER: Direi che ogni elezione presidenziale ha i propri elementi distintivi, ma comunque esiste una continuità. I candidati sono sostenuti dalle stesse persone, le due coalizioni assomigliano molto a quelle delle scorse elezioni, entrambi i partiti sono molto uniti. I cambiamenti più notevoli sono semmai sui temi principali. Se la scorsa volta le elezioni erano soprattutto su Trump, la Clinton e l’immigrazione, stavolta i temi sono Trump, l’economia e il coronavirus, che ovviamente quattro anni fa non esisteva. Dopo la Nuova Zelanda, queste sono le prime elezioni ad aver luogo nel mezzo di una pandemia.

AC: E l’impatto di Black Lives Matter?
TP: Credo che la risposta del presidente in carica non sia stata molto efficace, né nei confronti di Black Lives Matter, né nei confronti del Covid. Ha cercato di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Guardando i sondaggi, il presidente riporta i risultati peggiori in materia di questioni razziali, il che è potenzialmente pericoloso per una sua rielezione. D’altro canto però riporta i risultati migliori nella lotta alla criminalità, e quindi credo che molto dipenda dall’ottica che adotteranno gli elettori. È anche interessante notare come Biden abbia cambiato prospettiva: è meno probabile ora che acconsenta a tagliare i fondi alla polizia. Black Lives Matter è un movimento importante, con il suo impatto, ma quanto abbia potere di influenzare le elezioni presidenziali è ancora da vedere.

Interessante comunque notare che Trump sta avendo i risultati migliori tra gli ispanici, migliorando anche tra gli afroamericani, perlomeno a confronto con le ultime elezioni. È meno gradito però tra i bianchi, specialmente tra coloro che hanno completato gli studi universitari, e tra gli anziani bianchi, ma per ragioni meno chiare, probabilmente la gestione del Covid. Negli ultimi anni, i più grandi cambiamenti si sono registrati tra i ventenni, che si sono spostati decisamente verso il Partito Democratico. Con l’aumentare dell’età degli elettori, Biden sembra raccogliere più consensi rispetto a Hilary Clinton, mentre Trump sembra più popolare tra i quarantenni e i cinquantenni. Alcuni dati sembrano suggerire un vantaggio del presidente in carica tra i settantenni, ma a questo punto si tratta di dati difficili da misurare.

Dai sondaggi sembra che Biden sia in ascesa tra i bianchi, e questo molto più di quanto Trump sia salito tra ispanici e afroamericani. In parte questo è dovuto alle preoccupazioni riguardo al carattere del presidente. È quindi meno popolare rispetto alle scorse elezioni, quando fu avvantaggiato per il semplice fatto di non essere tanto sgradito quanto la Clinton. Così, se non si può dire che Biden sia estremamente popolare, si può però affermare che lo sia moderatamente. Ha guadagnato qualche punto nell’indice di gradimento, mentre il presidente ne ha perduti venti. È quindi un altro fattore da tenere in considerazione: Biden non è impopolare quanto lo è stata la Clinton.

AC: Crede quindi che Biden vincerà, ma non in modo schiacciante?
TP: Credo che non si pensi abbastanza alla possibilità che possa vincere con ampio margine. Ma quanto possa avere margine di manovra dipende da una maggioranza significativa al Senato. Se i Democratici conquistassero 54-55 seggi in Senato, Biden presidente sarebbe in grado di cambiare il Paese. Credo però che Trump abbia ancora una possibilità, se l’attenzione degli elettori si spostasse – il New York Post sta investigando su alcune accuse di corruzione mosse al figlio di Biden, e questo potrebbe dare una mano al presidente in carica. Non nego quindi che Trump abbia ancora una possibilità, ma Biden sembra ampiamente favorito.

AC: Ritornando su Black Lives Matter – quale sarà il rapporto coi Democratici se dovesse vincere Biden?
TP: La leadership di Black Lives Matter, come anche la sua retorica, sono estremamente radicali – si veda l’appello per tagliare i fondi alla polizia. Alcune figure rispettabili (anche alcuni Repubblicani) si sono identificati con la loro causa – si ricordi Nancy Pelosi in ginocchio – ma se guardiamo alla legislazione promossa dai Democratici nel Congresso, è molto più debole. Si è parlato di togliere l’immunità alla polizia (i poliziotti americani al momento non possono essere citati in giudizio personalmente), di introdurre l’antirazzismo nel programma di tirocinio, il che può essere molto ideologico, ma sorprende la cautela di Biden. Se adottasse gli elementi più radicali di Black Lives Matter, si troverebbe nei guai, ma essendo un politico di una certa esperienza è stato estremamente cauto. Sarebbe interessante ciò che potrebbe verificarsi in caso di una vittoria di Biden, anche considerando le aspettative sulla sua persona. Biden ha promesso di eleggere la prima giudice donna e di colore alla Corte Suprema, ma non si capisce bene quali potrebbero essere le possibili candidate: Johnnie Rawlinson è una democratica, molto moderata, del Nevada; Janice Rogers Brown è una repubblicana molto conservatrice della California. Non credo che Biden voglia nominare nessuna delle due, e inoltre potrebbe avere dei problemi con alcuni dei giudici di colore più “liberal” nel confermarle.

AC: Riguardo la polarizzazione – quale sarebbe il ruolo dei “moderati”, dei possibili “swing voters”? E cosa ci dice della polarizzazione all’interno del Partito Repubblicano? Sto pensando a Sohrab Ahmari contro il “David French-ismo” – si può ancora sostenere un’ipotesi fusionista?
TP: Per quanto riguarda entrambi i partiti, bisogna considerare che gli “swing voters” ancora esistono – è una leggenda pensare che non esistano più. Certo, sono meno, ma restano le persone che decidono le elezioni. Una delle cose su cui bisognerebbe fare attenzione è pensare che questi elettori siano moderati in confronto alla classe politica. Se non sono i tipici elettori repubblicani o democratici, spesso sono trasversali rispetto alle posizioni più estreme di destra e di sinistra. Coloro che hanno eletto Trump tendono a essere molto a favore di un welfare state a beneficio della middle class, molto scettici rispetto al libero commercio e anche molto contrari all’immigrazione, molto contrari al politicamente corretto e scettici rispetto ai cambiamenti sociali. Non sono quelli che l’Economist, o Repubblica, potrebbero definire “moderati”, ma sono gli swing voters, un po’ come in Italia gli elettori di sinistra hanno finito col votare la Lega. È corretto chiamarli moderati, ma ciò non corrisponde all’idea di “moderato” che ha l’establishment.

All’interno del partito, le élite repubblicane non hanno una grande opinione di Trump, e anche coloro che lo sostengono a livello ideologico non lo apprezzano molto dal punto di vista umano. È comunque vero però che i Repubblicani più solidamente conservatori lo sostengono, e anche con maggiore forza rispetto al 2016. Jonah Goldberg o David French, pur sempre conservatori, hanno detto più volte che non voteranno mai per Trump, ma sono personaggi rari anche all’interno dell’élite. Non che non esistano, ma non credo che il Partito Repubblicano sia cambiato molto ideologicamente. La retorica relativa al commercio è cambiata, ma la maggior parte dei Repubblicani non ha apprezzato le “trade wars” di Trump. È cambiata anche molto la retorica sull’immigrazione, ma le misure di policy non molto, e la più grande differenza si registra nell’aumento della spesa pubblica (già aumentata sotto G.W. Bush). Trump è una persona abbastanza insolita, ma non per questo bisogna pensare che la sua amministrazione sia stata inusuale. Certamente il livello di caos, e il numero di individui che hanno rassegnato le dimissioni è stato fuori dal comune. In termini di policy, ci sono alcune differenze col passato, ma nulla che non ci si possa aspettare da un’amministrazione repubblicana. In un certo senso, possiamo dire che si tratti di una versione americana, più caotica, di Berlusconi: molta retorica, e interessante, ma nel concreto nulla di molto diverso rispetto al passato.

AC: Qual è la posizione dell’elettorato cristiano, in generale, in queste elezioni?
TP: Direi che esiste da molto una certa divisione nella politica americana – un po’ come in Italia – con i cristiani in generale e i Mormoni, bianchi in particolare, che tendono a sostenere nella maggior parte il Partito Repubblicano. È importante ricordare che gli afroamericani tendono non solo a essere più religiosi dei bianchi, ma anche più spostati verso il Partito Democratico. Possiamo dire che lo status quo si sia spostato a sinistra: ad esempio il matrimonio egualitario, che era un argomento molto divisivo una decina di anni fa, ora non è quasi più un problema, mentre ci si focalizza maggiormente su quelle organizzazioni religiose costrette a chiudere se non forniscono adozioni a coppie dello stesso sesso, ma fondamentalmente i Repubblicani si sono solo leggermente spostati a sinistra sulla questione dei diritti delle persone omosessuali. Trump ha fatto pressioni per rendere legale l’omosessualità nei Paesi dove questa era fuorilegge, ma i Democratici si sono spostati più a sinistra in modo molto più netto. Ad esempio, Biden ha una storia complicata per quanto riguarda la questione dell’aborto. Negli anni Settanta sosteneva che la sentenza Roe vs Wade dovesse essere cancellata e che l’aborto dovesse diventare una questione gestita a livello statale e non federale, e poi lentamente si è spostato verso sinistra, fino a sostenere l’aborto in qualsiasi circostanza, e fornito dallo Stato. Inoltre, a fine anni Novanta, ha votato per mettere al bando l’aborto a nascita parziale, mentre adesso sostiene il diritto di scelta in tutte le circostanze. Sospetto che, qualora passasse una legge simile, e i Repubblicani esprimessero la loro contrarietà all’aborto a nascita parziale, Biden adotterebbe una posizione di compromesso.

Probabilmente, un certo elettorato secolarizzato è meno spaventato della destra religiosa rispetto al passato. Un certo elettorato religioso, principalmente costituito da donne laureate che non apprezzano Trump, probabilmente per la sua posizione sull’immigrazione e per il suo carattere, sta spostando verso i Democratici. Gli elettori religiosi e con titolo di studio universitario sono ancora prevalentemente Repubblicani, ma meno rispetto a un tempo. E molto di questo dipende dal carattere del presidente in carica.

Nel 2016, Trump ha vinto per il rotto della cuffia. Tra l’altro, la conferma definitiva di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema significa che ben sei giudici sono stati eletti da presidenti repubblicani, cinque cattolici devoti e un episcopaliano, e quindi questo rende una sconfitta repubblicana meno temibile. Una Corte Suprema molto a sinistra avrebbe avuto, per molti cristiani, serie implicazioni a livello di libertà religiosa e in materia di aborto, oltre che per l’autonomia delle varie chiese.

AC: Guardando quindi a un altro possibile scenario, in cui Trump si assicura un secondo mandato, quali sarebbero le implicazioni, alla luce di una cultura progressista molto aggressiva?
TP: Credo che il presidente rieletto cercherà di respingerla in modo maldestro, mentre il potere giudiziario sarà più fermo nel respingere i licenziamenti facili nelle università statali, dietro dubbie accuse di razzismo. I Democratici probabilmente riporteranno buoni risultati nelle midterm, e con una loro maggioranza a livello di Congresso i Repubblicani non avranno molto successo in campo legislativo. Ciò nonostante, il presidente potrebbe incrementare la deregulation, insieme ad alcuni interventi interessanti in Medio Oriente e Cina. Se vincesse Biden ovviamente tutto dipenderebbe dal margine della vittoria. Se la maggioranza al Senato fosse consistente, potrebbe intraprendere alcune riforme radicali. In realtà, credo che la campagna elettorale di Trump non si sia focalizzata abbastanza su questo – in assenza di una maggioranza in Senato, Biden non potrà aumentare la spesa pubblica e attribuire una protezione costituzionale all’aborto come paventato.

Credo comunque che Biden potrebbe riuscire a emulare Obama quanto a espansione del potere dello Stato. In politica estera Biden è invece difficile da prevedere, probabilmente ritornerà su una posizione più simile a quella di Obama, più filo-europea, meno filo israeliana, meno favorevole al Regno Unito. Non immagino cambiamenti radicali, ma ovviamente se dovesse vincere non sarà una buona notizia per il Regno Unito, lo sarà invece per la Ue, ma tuttavia questo non significa che implementerà policies radicali. Non bisogna credere che Trump sia stato così diverso dai predecessori, è stato certamente diverso in materia di politica estera, in misura minore in materia di commercio, e certamente si è distinto con azioni simboliche come spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme, importante, certo, ma non quanto iniziare o finire una guerra. Entrambi i candidati si sono guardati dal farsi coinvolgere in nuovi conflitti, e quindi dubito che possano contribuire a iniziare una nuova guerra in Medio Oriente.