A mente fredda, a distanza di qualche giorno dalle elezioni di metà mandato americane, vi parlo di quello che è successo in Texas. Già, perché a contendersi il seggio al Senato per lo stato al confine col Messico erano il repubblicano Ted Cruz e il democratico Beto O’Rourke.
L’eco di Ted Cruz è arrivato, ormai da qualche anno, anche in Italia. Sfidante di Donald Trump alle primarie per la corsa alla Casa Bianca del 2016, rappresenta il prototipo del repubblicano di vecchia data. Assolutamente contrario all’aborto, se non nel caso in cui sia in pericolo la salute della madre, fervente oppositore dei diritti LGBT, è contrario all’immigrazione verso gli Stati Uniti a tal punto che ha affermato pubblicamente che ne avrebbero diritto i soli cristiani. Tutto questo condito dai tipici tratti del conservatorismo sudista: a favore della pena di morte, del libero commercio delle armi e di un federalismo sempre più marcato nell’ambito delle politiche commerciali ed economiche degli stati. A tal punto da far dimenticare ai longhorns qualsiasi legame coi salottini di New York. Dato che è non è un mistero che le periferie texane, le località desertiche tra un ranch e l’altro, siano lo specchio dei valori più tipici dei repubblicani del sud, il Partito democratico ha cercato intelligentemente di colpire proprio su quel terreno, al fine di lanciare un forte messaggio all’amministrazione Trump.
Da qui la scelta di puntare su Beto. Nato e cresciuto in Texas in quel di El Paso, cattolico, toccata e fuga ai piani alti per frequentare la Columbia University, torna a casa per fondare una società di consulenza informatica che ha successo fin da subito. Dai primi anni Duemila si appassiona alla politica. Cursus honorum tipicamente statunitense: prima due mandati in Consiglio comunale a El Paso, qualche anno di militanza, e poi dritto al Congresso dove conserverà un seggio dal 2012 fino a questa tornata elettorale. Rappresenta la borghesia texana, ancorata ai possedimenti terrieri, e si è espresso più volte contro ai traffici illegali di stupefacenti tra bassi Stati Uniti e Messico, attraverso una pubblicazione del 2011, dal titolo emblematico: “Dealing Death and Drugs: The Big Business of Dope in the U.S. and Mexico”. Raccoglie 2,4 milioni di dollari nei solo primi tre mesi di campagna elettorale, confermando un’ottima competitività elettorale.
Mentre non possiamo dimenticare i video propagandistici di Ted Cruz che cucina bacon accartocciandolo alla canna del suo fucile soprannominato per l’occasione “Machine-Gun Bacon”, Beto è artefice di una campagna elettorale tutta immagine e leadership, tanta forma e acclamazioni pubbliche. Sui temi macroeconomici si sfidano a colpi di bordate ultraliberali: non dimenticando che lo stesso Ted è un esponente del movimento “Tea-Party”, Beto è ciò che di più lontano si trovi a Bernie Sanders all’interno dell’area democratica.
Ora, venendo a noi, spendere Beto in queste elezioni di midterm per il seggio al Senato è stato un rischio notevole. Sì, perché nel momento in cui avesse vinto la sfida avremmo sicuramente assistito all’ascesa di un leader fresco, carismatico e raccoglitore di consenso e denaro. O’Rourke sarebbe stato tra i papabili democratici alla corsa alla Casa Bianca nel 2020. Ma avendo perso, si tratta di una doppia sconfitta: in primis perché dimostra che Trump è ancora estremamente competitivo sui suoi territori, grazie alla sua base popolare, e in secondo luogo perché viene affossato un valido leader dell’area liberal-democratica.
Il dato geografico mostra come, da previsione, Beto sia andato molto forte nei centri urbani al confine col Messico e nelle grandi città: Austin, Houston, Dallas. Ma non sia stato altrettanto competitivo, e conseguentemente sconfitto, in rimonta, tra le cabine elettorali delle campagne.
Utilizzo il Texas quale paradigma delle elezioni americane. Partiamo dal fatto che l’”onda blu” è stata parziale per due ragioni: la prima è che il surplus di voti conquistati dai Democratici nel voto popolare è il frutto di una radicalizzazione del consenso negli stati dove Trump era già debole. A questo va aggiunto che ciò avviene negli stati in cui i Democratici sono trainati da esponenti socialisti lontani dall’establishment pro-Hilary. I conservatori, inoltre, non solo hanno retto al Senato, ma hanno anche battuto i democratici sul risultato amministrativo: 26 governatori contro 23. Vincendo in due stati simbolo quali Georgia e Florida, in cui gli esponenti Dem erano di origine afroamericana.
Altro dato da rimarcare è l’adesione sempre più fedele del Partito repubblicano a Trump. Non di rado fino a qualche mese fa sentivamo spesso parlare di feroci critiche interne. I Bush che annunciavano pubblicamente di votare scheda bianca alle presidenziali; McCain che, con un colpo di reni, vola al Senato per fermare lo smantellamento dell’ObamaCare. Tutti questi sono ricordi ormai vaghi. Il tycoon ha tutta la base per sé, senatori e deputati sempre più fedeli. Un governo sempre più a sua immagine e somiglianza. Non a caso, mercoledì, c’è stata la staffetta al Dipartimento di giustizia tra Jeff Session e Matthew Whitaker.
A cornice di tutto questo c’è il problema della leadership in casa democratica. Perché archiviato Beto, i volti freschi e brillanti, vincenti sui media e spendibili pubblicamente, sono tutti della corrente sandersiana, e quindi minoritari e radicali, poco utili alla lotta per la presidenza. Non a caso la giovanissima Alexandria Ocasio-Cortez, già nello staff di Bernie 2016, ha spodestato alle primarie Joseph Crowley, numero quattro del partito, e rubato il suo seggio parlamentare al quattordicesimo distretto. I socialisti avanzano tra la base di sinistra, grazie anche alla polarizzazione elettorale derivata dai duri toni utilizzati costantemente, mentre la sinistra liberale che strizza l’occhio alla borghesia non sfonda.
Se, come abbiamo sentito, Hillary fa trapelare la sua voglia di mettersi di nuovo in gioco per vincere la Convention, e candidarsi di nuovo come prima donna alla Casa Bianca, i repubblicani conservano valide chance per le presidenziali. Nel frattempo, la Clinton e The Donald non perdono tempo: incassato il pareggio si stanno già fiondando alla ricerca di nuovi finanziamenti per un’altra estenuante campagna elettorale.