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Tra Draghi e il Dragone: italiani vittime collaterali della nuova Guerra Fredda, occhio al precedente greco

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La contesa tra due blocchi, entrambi devotamente europeisti, ma l’uno sinofilo e l’altro sinofobo

Non ci beviamo che la politica estera italiana sia in balia di dilettanti, e men che mai di un sondaggio Swg. È al solito plasmata dai salotti buoni dell’economia e della politica, le cui infatuazioni e compromissioni sono per convenienza scaricate sui relativamente vulnerabili Di Maio e Di Battista, quando non direttamente sull’inerme popolo italiano

Si può essere tentati, e per “déformation professionnelle”, e perché è in genere l’approccio più proficuo, di analizzare gli eventi italiani di questi mesi tenendo meramente conto delle interazioni tra economia, mercati e politica europea. Chi vi scrive non è tuttavia miope abbastanza da non aver notato il convoglio militare russo a zonzo per l’Italia in cerca di photo op, e il servizio fotografico è stato innegabilmente suggestivo, o l’ancor più significativa attività di information war cinese; né è sordo abbastanza da non aver colto la cagnara globale che le è seguita. Tenteremo qui di mettere ordine in questo groviglio di eventi, di denunciare molteplici episodi di disonestà intellettuale, ed infine di evidenziare le connessioni più ovvie, senza alcuna velleità di svelare tutto, e perché la somma sapienza è in questo Paese prerogativa di una manciata di famiglie cui non apparteniamo, e perché, se davvero sapessimo tutto, non saremmo qui a spiattellarlo gratis.

Il solitamente apprezzabile Geminello Alvi, evidentemente irritato da un periodo di isolamento sociale che pare averne leso non solo la serenità ma soprattutto la franchezza, tonitruante descrive prima il sinofilo Di Battista come un analfabeta da restituire ai villaggi turistici, poi accusa di Maio di mancare della “percezione costante di trattati e alleanze che legano l’Italia all’Europa e all’Occidente” e “di aver fatto arrivare i camion dell’Armata Rossa e i militari russi, e i cubani, nonché i cinesi”. E continua imperterrito con una condivisibile foga anticinese, che proprio rifiuta di scindere da un forzato europeismo germanofilo di corredo, al punto da teorizzare tra le righe qualcosa di riconoscibilmente listiano, un’Europa blocco commerciale altamente protezionistico motore della deglobalizzazione. Prenderne nota.

Riscuote invece il plauso di chi vi scrive Luigi Bisignani, che su Il Tempo ci fa il favore di non darci a bere che la politica estera italiana sia in balia di dilettanti, e men che mai di un sondaggio Swg. Tutt’altro. Bisignani ci presenta Colao, e prima scrive che a supportarlo sono “Enrico Letta e Paolo Gentiloni, con l’appoggio di tutto un mondo cattolico, tra cui spiccano Massimo Tononi, ex presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Romano Prodi, i soliti Guzzetti e Bazoli e i consulenti di McKinsey“, poi aggiunge che “il gruppetto d’assalto che fa il tifo per Colao a cui si è aggiunto furbescamente in corsa Matteo Renzi, pensa a lui in chiave squisitamente europea vista la sua repulsione per Donald Trump. L’inglesità di Colao piace ad un altro innamorato come lui di tecnologie e piattaforme digitali, Davide Casaleggio, che ha passaporto Uk. Il guru del Movimento 5 Stelle, vicino ai big tech cinesi, sa pure che General Atlantic, il fondo di Colao, di atlantico ha solo il nome. Investe, infatti, massicciamente nel Paese del Dragone e ha una decina di società cinesi in portafoglio che si occupano di piattaforme streaming e biomedicali. Mentre Draghi, al contrario, è considerato da sempre, per studi, vocazione e rapporti, l’italiano più vicino alle lobby di potere Usa, con Goldman Sachs in testa. Per super Mario si sta infatti muovendo il Deep State americano, deciso, nell’ordine, a polverizzare il M5S, ormai considerato primo partito cinese d’Italia, a spezzare l’asse Vaticano-Mattarella, che offre copertura all’influenza di Xi Jinping in Italia, e soprattutto a evitare che l’Italia, per salvarsi dal default, si faccia sottoscrivere il proprio colossale debito pubblico dalla Cina.”

Insomma, la politica estera italiana risulta al solito plasmata dai salotti buoni dell’economia e della politica, le cui infatuazioni e compromissioni sono per convenienza scaricate sui relativamente vulnerabili Di Maio e Di Battista, quando non direttamente sull’inerme popolo italiano, indotto periodicamente ad assumersi la responsabilità dell’ultimo fallimento della nomenklatura che lo opprime. Ma è un’altra questione quella su cui è necessario soffermarci. Emerge, nel pezzo di Bisignani, la contesa tra due blocchi, entrambi devotamente europeisti, ma l’uno sinofilo e l’altro sinofobo, con il secondo benedetto dalle stesse lobby americane cui non è estraneo Mario Draghi. Il lettore starà già pensando, e non credo sia in errore, al Britannia, ma non è certo per riproporre quelle ovvietà che son qui a scrivere.

V’è piuttosto qualcos’altro di largamente ignorato in Italia, e che intendo portare a galla: il profilo cinese di Yanis Varoufakis, l’esuberante ex ministro del governo Tsipras. Profondo conoscitore del repertorio anti-colonialista marxiano, esistono tuttavia investimenti esteri in asset strategici delicatissimi che a Varoufakis non dispiacevano affatto, quelli di Cosco, conglomerato nelle mani dello stato cinese, con notevoli interessi nel Pireo. Particolarmente ostile a Cosco soleva essere proprio Syriza, che, da partito veterocomunista qual era, tra il 2008 e il 2015 si opponeva non solo ad una sua ulteriore espansione, ma desiderava estrometterlo completamente dal Pireo. In controtendenza, Varoufakis, al tempo mero accademico ed intellettuale di sinistra, aveva per anni raccomandato di cedergli financo il sistema ferroviario. Nel 2015 Syriza si ritrova al governo, Varoufakis ne è ministro così come alcuni colleghi anti-Cosco, e da subito si opera per ribaltare l’approccio del partito al colosso cinese, a suo dire per meglio contrastare il tentativo di strangolamento operato da Berlino, Bruxelles, e da Francoforte sede della Banca Centrale Europea di Mario Draghi. Suo obiettivo è incoraggiare investimenti esteri in generale, ed interesse nei buoni del tesoro greco in particolare. La sera del 25 febbraio, a cena con l’ambasciatore cinese e le rispettive consorti, Danae Varoufakis indossa per l’occasione un abito in seta cinese, costui rassicura il greco che per la Cina Cosco è “la mascella del Dragone”: prima bisogna assicurarsi che addenti profondamente, di modo da consolidare la presa, poi alla mascella seguirà il resto del corpo del Dragone. In breve, l’intesa tra Grecia e Cina è particolarmente felice, ed il governo di Tsipras ottiene la promessa di acquisti di buoni del tesoro per diversi miliardi. Varoufakis è convinto di potersene servire per negoziare con le controparti europee da una posizione di forza, potendo mostrare a Draghi che le banche greche che la Bce ha strangolato non sono l’unico compratore disponibile. Nelle due fatidiche aste il governo cinese compra tuttavia solo 100 milioni per volta. A Tsipras Pechino rivela di aver ricevuto da Berlino l’intimazione di tenersi alla larga dai greci finché le trattative europee saranno in corso. Ennesima prova, per Varoufakis, che ai creditori non interessi riavere il proprio denaro, ma cementare il proprio potere geopolitico.

Parallelamente al resoconto di Varoufakis, abbiamo a disposizione anche la corrispondenza del team Clinton. Nel luglio 2015 la Casa Bianca chiede a John Podesta, il noto sherpa e faccendiere clintoniano, se WJC (Bill Clinton) sia in sufficiente confidenza con Tsipras da potergli telefonare personalmente e raccomandargli di accettare l’offerta europea. Clinton accetta, e suggerisce di fare pressione anche sulla Merkel usando come pretesto la disponibilità ad offrirle consigli sulla Bosnia, di cui egli ha particolare esperienza. È la fase in cui le trattative europee sono in un vicolo cieco, e la proposta di Schauble di ripristinare temporaneamente la dracma una valida opzione. Ad entrambi Bill Clinton ribadisce “l’importanza di preservare l’appartenenza della Grecia all’Euro per questioni sia economiche che geopolitiche”.
Nel leggere Bisignani, è impossibile non ripensare istantaneamente al precedente greco.

Dovremo tenerne conto nella seconda parte di questa nostra riflessione.